Dipendenza da gas russo: come stiamo affrontando la situazione?

Con l’inizio del conflitto in Ucraina, e quindi del ritorno della guerra in Europa, lo scenario internazionale ha preso una svolta inimmaginabile fino a poco tempo fa. Tutto ciò che un tempo davamo per scontato adesso si fa più incerto. Non solo costi umani, la guerra ci sta ponendo di fronte a una situazione di insicurezza su ogni fronte. Grano, fertilizzanti, gas e legname rientrano nella categoria di materiali i cui rifornimenti si fanno sempre più scarsi. Si aprono scenari piuttosto inquietanti e le materie prime diventano oggetto di manaccia contro i Paesi che cercano di opporsi ai piani del Cremlino.

Il ruolo dell’Italia

L’Italia è ormai un avversario della contrapposizione (al momento economica e diplomatica) della Russia. Oltre a essere stata inserita nella “lista dei Paesi ostili” è diventata bersaglio diretto della propaganda russa, con la minaccia di “sanzioni irreversibili se aderirà al nuovo programma di sanzioni contro il Paese. Di fronte al fatto sono sorte numerose ipotesi su quale potrebbe essere il campo di scontro tra i due Paesi, e tra le prospettive più valide è emersa la questione del gas e dei rifornimenti energetici.

Sia l’Italia che l’Europa si trovano in una situazione di forte dipendenza per quanto riguarda il gas poiché sono costrette a importare altissime percentuali di energia. In Europa, oltre l’80% del gas utilizzato è prodotto da Paesi stranieri come Russia, Norvegia e Algeria. In particolare, la Russia ne fornisce oltre il 40%. Anche l’Italia non si trova in una situazione molto diversa da quella dei suoi compagni europei: nel 2021 il gas importato dalla Russia ha toccato i vertici del 38%.

Uno scenario già annunciato

Già dalla fine del 2021 il prezzo del gas era in forte crescita, ma dopo l’inizio del conflitto l’aumento è incrementato ulteriormente. Come si può facilmente capire, il nostro Paese si trova in una condizione di forte subalternità nei confronti della Russia perché il rischio è quello di indurre il Cremlino a prendere la scioccante decisione di toglierci i rifornimenti. In vista di una simile prospettiva, le istituzioni italiane ed europee si stanno prodigando verso una possibile alternativa.

La Commissione europea, con il piano RePowerEu, presentato in data 6 marzo, punta a tagliare i due terzi delle importazioni di gas russo già entro la fine del 2022. Inoltre, si pretende che le riserve dell’Unione siano al 90% entro il primo ottobre. La strategia si basa sulla diversificazione degli approvvigionamenti, grazie all’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto e via gasdotto da fornitori non russi e all’aumento dei volumi di produzione e di importazione di biometano e idrogeno rinnovabile. Inoltre, sarà necessario ridurre più rapidamente l’uso delle fonti fossili nell’edilizia e nell’industria, puntando molto su efficienza energetica, aumento delle fonti rinnovabili e dell’elettrificazione.

Ma possiamo davvero farcela?Mario Draghi, Presidente del Consiglio

Questa domanda rimbalza nell’elaborazione dei piani dei singoli Paesi. La prospettiva di rimanere senza energia nel giro di poche settimane ha portato molti Paesi europei, Italia compresa, a rispolverare le “tradizionali” fonti di energia come le centrali a carbone. Lo stesso Mario Draghi ha paventato questa ipotesi affermando che, in vista di una possibile chiusura delle forniture di gas russo, potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone per colmare eventuali mancanze.

Le centrali a carbone in Italia sono sette e, secondo i piani iniziali del ministero dello Sviluppo Economico, dovrebbero essere dismesse o convertite entro la fine del 2025. Anche Di Maio ha ribadito che “tempi straordinari richiedono misure straordinarie“, e per questo “dobbiamo aumentare immediatamente la produzione di petrolio e gas“. La stessa strategia è comparsa anche nelle agende di altri Paesi europei.

Ancora combustibili fossili?

Solo qualche mese fa, in occasione della COP26, si era detto basta a quell’incessante “bla bla bla” che caratterizza molti degli interventi politici sulla questione ambientale. La mancanza di alternative energetiche rispettose per l’ambiente (o la mancanza di considerazione di quelle che già esistono) è il frutto di un sostanziale disinteresse per la crisi climatica. Ma incentivare la riapertura delle centrali a carbone come unica soluzione possibile per fra fronte alla situazione significa alimentare una crisi che è già in atto.

Come dimostrato in una nota tecnica del WWF sul Gas Nazionale, anche volendo sommare tutte le riserve nazionali, incluse quelle difficilmente estraibili a causa di costi economici ed energetici poco sostenibili, l’Italia avrebbe al massimo riserve di gas per 111,588 miliardi di m3. Dal momento che il nostro Paese consuma circa 75-76 miliardi di m3/anno, anche sfruttando tutte le riserve (poco realistico) queste sarebbero in grado di coprire appena un anno e mezzo della domanda di gas nazionale.

Le proposte ‘green’ per far fronte alla situazione

A fronte di questa situazione Greenpeace, Legambiente e WWF Italia hanno avanzato dieci proposte al Governo Draghi per affrontare in modo strutturale la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del gas. Si tratta di interventi da mettere in atto nel giro dei prossimi mesi e che permetterebbero di ridurre i consumi di gas di 36 miliardi di metri cubi all’anno entro la fine del 2026.

Il piano ha come obiettivo principale quello di fornire un’alternativa seria all’incentivo dei combustili e fossili e permettere il passaggio a un’energia più pulita. All’interno del documento le tre associazioni spiegano che

la riattivazione dei gruppi termoelettrici a carbone o a olio combustibile è un’opzione irrilevante perché non porterebbe praticamente a nulla, al confronto del contributo strutturale e rispettoso degli obiettivi climatici e di lotta all’inquinamento atmosferico che garantirebbe uno sviluppo fragoroso delle fonti rinnovabili.

Nella drammaticità della situazione che stiamo vivendo, il rischio di una crisi energetica potrebbe fare da impulso per avviare una reale transizione ecologica. In questo momento di svolta si preannuncia uno scontro tra ragioni etiche e ragioni di stato.

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