Immagine del pianeta terra che prende fuoco e viene distrutto

Millennial, Gen Z e l’impatto della crisi climatica sul volere figli

Molte cose vengono dette sui Millennial e Generazione Z – cioè coloro la cui nascita è collocabile per i primi dagli anni Ottanta a inizio Novanta, e per i secondi subito dopo – ma una sembra avere un fondo di verità.

Stando a molte indagini e sondaggi sono sempre di più le persone appartenenti a queste due generazioni a non volere figli ed effettivamente a non farne.

Circa il 60-80% delle persone con meno di 35 anni intervistate provenienti da Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito hanno dichiarato di posticipare l’idea di eventuali figli o di non volerne proprio. Le ragioni dietro questa scelta sono molteplici – non che servano chissà quali scusanti o motivazioni per il non voler fare dei figli – e spesso legate alla crisi climatica che stiamo vivendo.

Le ragioni alla base

Le persone che oggi identifichiamo come millennial e generazione Z stanno vivendo non solo una pandemia, con tutti i problemi che ciò comporta, ma una crisi climatica come mai prima, un’involuzione del mondo lavorativo che le vuole sempre più formate, sfruttate e sottopagate (e spesso anche presenti ventiquattro ore su ventiquattro grazie al lavoro da remoto iniziato in quarantena).

Sono i giovani principalmente a mobilitarsi per l’ambiente, a cambiare alimentazione, cambiare abitudini quotidiane (dalla differenziata alla frequenza e tipo di acquisti), a fare sensibilizzazione sul tema, attraverso i social e in piazza. Ma non è giusto.

I giovani dovrebbero essere giovani, vivere e godersi la propria età con i suoi pro e contro, senza doversi far carico e prendersi le responsabilità degli errori e della noncuranza delle generazioni precedenti.

Un esempio è il caso di Greta Thunberg con i suoi Fridays For Future: si tratta di iniziative (che hanno luogo ogni venerdì come suggerisce il nome) partite dal basso, dai giovani spesso minorenni. La giovane iniziò a saltare la scuola e manifestare di venerdì in segno di protesta verso la non azione da parte dei governi per contrastare i cambiamenti climatici. In un suo discorso, molto scossa, puntò il dito contro i governi e gli adulti, chiedendo loro come potessero essersi permessi di delegare, se non scaricare addirittura, tutto il lavoro sui giovani, quando avrebbero dovuto preoccuparsi solamente della scuola, non saltarla per chiedere di far qualcosa per non distruggere il pianeta sul quale si vive.

L’impatto ambientale di un figlio

Sebbene seguire una dieta vegana, riciclare, comprare usato, ridurre le singole emissioni e fare acquisti sostenibili sia un buon modo per ridurre il proprio impatto, non mettere al mondo un figlio permette di risparmiare 58.6 tonnellate di CO2 all’anno, si evitano pannolini, creme, moltissimi acquisti (anche se circolari, alle volte) di vestiario e giocattoli. Si risparmiano anche moltissima acqua e cibo. Basti pensare all’acqua, non solo necessaria al bagnetto medio o a necessità generiche, ma anche alla frequenza con la quale un bambino o una bambina si sporcano, si fanno male o altro.

Inoltre il pianeta è già sovrappopolato ed è stato dimostrato come la sovrappopolazione sia uno dei fattori più dannosi per il pianeta, soprattutto nel mondo occidentale con tutto il suo consumismo e inquinamento. Il sovrappopolamento e il consumismo eccessivo sono alla base di moltissime estinzioni di massa di specie viventi.

Si possono mettere a paragoni dei numeri per rendersi conto dell’impatto ambientale di certe scelte e azioni: non utilizzare l’automobile equivale a non immettere nell’ambiente 2.4 tonnellate di CO2, seguire una dieta priva di derivati animali 0.82 tonnellate di CO2, ridurre i voli transatlantici di ritorno equivale a 1.6 di CO2, riciclare 0.10 tonnellate di CO2, passare a un’automobile ibrida 0.52 tonnellate di CO2 e così via. Il maggior impatto è quello legato all’arrivo di una nuova persona sul pianeta.

Nonostante tutte queste piccole accortezze, e anche se ogni singolo individuo si premurasse di fare il meglio possibile, basterebbe che le grandi multinazionali si allineassero o migliorassero i propri processi di produzione per dimezzare le emissioni.

Inoltre, dato che già il quadro attuale non sembra affatto sorridente, moltissimi e moltissime giovani si domandano quanto sarebbe etico mettere al mondo qualcuno che dovrebbe vivere in una situazione climatica ancora peggiore. Questi ipotetici nascituri potrebbero dover vivere e crescere in un mondo dove la scarsità di risorse alimentari si fa sempre maggiore, dove la forbice che separa l’Occidente e i Paesi in via di sviluppo va sempre più allargandosi, un mondo in cui la barriera corallina sarà completamente sbiancata e distrutta, in cui specie di flora e fauna saranno dimezzate.

L’emigrazione dovuta ai cambiamenti climatici

Se già per via di guerre e ragioni politiche moltissime persone sono costrette a fuggire ed emigrare, si stima che almeno 200 mila persone saranno rifugiate climatiche, costrette a lasciare la propria terra natìa.

Ancora vengono intavolati discorsi o adottate misure nell’ottica di prevenire o frenare i cambiamenti climatici “prima che sia troppo tardi”, ma è già tardi, solo che i problemi principali si sono palesati in zone del pianeta spesso ritenute di serie B e meno sotto i riflettori, rispetto sempre all’Occidente.

Il Bangladesh verso la scomparsa?

Si prevede, infatti, che nell’arco di circa vent’anni il territorio del Bangladesh subirà notevoli riduzioni geografiche, rispetto alle sue attuali dimensioni.

Il territorio del Bangladesh ospita circa 165 milioni di persone su un’area più piccola dello Stato dell’Illinois, di cui un terzo vive sulle coste. Dopo anni e anni di forzate convivenze con alluvioni e altri fenomeni meteorologici ora la popolazione si trova costretta a spostarsi.

Negli ultimi dieci anni più di 700.000 persone sono state costrette a trovare altre sistemazioni in altre zone del Paese. E la situazione non può che peggiorare. Il rapporto del 2018 del World Bank stima che entro il 2050 il Bangladesh sarà il primo Paese al mondo per migrazione interna.

Il dilemma etico sulla natalità

Assieme alla questione dell’impatto ambientale a livello pratico e quella etica di in quale mondo vogliamo forzare le future generazioni a vivere, subentrano anche le questioni della coerenza e della sensibilità culturale.

Per quanto riguarda la prima, molte attiviste e molti attivisti si chiedono se sia ipocrita battersi per difendere l’ambiente e poi voler mettere qualcuno al mondo, sapendo dell’impatto che ha.

Per quanto riguarda la seconda, invece, in molte società le donne che non hanno figli – perché non vogliono o perché non possono – sono spesso mal viste o mal giudicate dalle loro pari o dalla propria comunità, quindi non è semplice andare in giro per il mondo e dire alle persone “smettete di fare figli”, senza tener conto del filtro culturale.

È indubbio, però, che sul pianeta ci sono troppe persone, in sempre meno spazio e con sempre meno risorse.

I figli e le differenze di genere

Tutto ciò rende la problematica del fare figli anche una questione di genere. Infatti sono le persone AFAB (assigned female at birth, cioè alla cui nascita è stato assegnato il genere femminile) ad avere i mezzi per portare avanti una gravidanza ed è quasi sempre esclusivamente sulle spalle delle donne che ricadono totalmente o quasi le responsabilità, spese, sacrifici, ansie, aspettative e impegni impliciti nella cura della prole. E le nuove generazioni stanno iniziando a stancarsi anche di queste dinamiche, ora che molti equilibri vengono annullati o ridisegnati.

Sempre di più si aspetta a fare figli perché si riesce a trovare lavoro, diventare indipendenti e poter prendere una casa più tardi. Raramente prima dei trent’anni. Poiché molte persone aspettano di avere uno stipendio regolare e un tetto sulla testa prima di metterne al mondo altre, non sapendo altrimenti come poterle crescere e curare, porsi la domanda se valga o meno la pena di fare dei figli che avranno molte più battaglie e responsabilità da affrontare, senza però alcuna colpa, è cosa lecita.

L’elemento interessante di questi dati è forse lo stigma, unito alla confusione da parte di alcune fasce di società, che si portano dietro.

Ciò prova ulteriormente quanto ogni nostra scelta abbia un impatto sul mondo esterno e, di conseguenza, su altre persone. Iniziare a prendersi cura dell’ambiente e del pianeta, che sono la casa comune di tutte le persone, potrebbe contribuire un giorno anche a sensibilizzare su altre questioni, quali le libertà personali delle persone, affinando l’empatia.

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