Il tempo della natura secondo Claudio Orlandi

Il paesaggio della mediazione affettiva è materiale: è fatto di tessuti aptici, atmosfere commoventi e fabbricazioni transitive.

Giuliana Bruno

In occasione della fiera d’arte contemporanea Roma Arte in Nuvola, la Galleria Gallerati di Roma ha presentato alcune fotografie di Claudio Orlandi che fanno parte del progetto Ultimate Landscape.

Accenni biografici

Nato a Roma, dove tutt’ora vive e lavora, Claudio Orlandi da sempre si dedica alla fotografia. A partire dal biennio 2009-2010, avvia un percorso artistico che lo porta a indagare la natura e il suo rapporto con l’intervento antropico. Egli pone l’attenzione verso quegli spazi dove l’incontro tra uomo e natura ha creato e sta creando maggiori problemi. Qui, che sia città, pianura, mare, collina o montagna, Orlandi registra sul suo taccuino fotografico i risultati dell’economia consumistica contemporanea.

Una lunga carriera come fotografo che lo vede esordire nel 1993 con la serie dei Tatuaggi di Luce. In questo caso il soggetto è il corpo di una donna, la quale è percorsa da onde e fasci di luce che descrivono e definiscono la sua fisionomia. Già da questo primo lavoro, si può notare come l’attenzione di Orlandi sia per l’andamento geometrico degli elementi naturali e il loro rapporto con l’essere umano. Donna e luce, corpo e tempo, si fondono e restituiscono una sensualità leggera e mai volgare, che si addice all’arte come, ad esempio, avviene nelle fotografie di Man Ray.

Geometrie e i confini naturali: i concetti della sua arte

Il suo lavoro, tuttavia, si sposta in città. Il Castello (2013) e Per Esempio la Pietra (2015) sono due lavori che indagano le possibilità che le strutture architettoniche offrono all’autore. La prima serie di fotografie riguarda il complesso abitativo Monte Amiata al quartiere Gallaratese, il quale è ritratto alla strenua di un’opera futuristica. Orlandi fotografa le caratteristiche dinamiche delle strutture, domandandosi su chi frequenta questi posti. Egli concentra il proprio sguardo sulla cromia variopinta e sulla pesantezza del cemento armato, il quale grava sempre più sul nostro ambiente. Orlandi, in questo caso, è abile a disorientare lo spettatore, in quanto le sue riprese non conducono da nessuna parte, se non nel proprio “Io”, dove si troverà, eventualmente, la risposta della realtà visionaria.

Il secondo lavoro, invece, si svolge interamente a Roma. Protagonisti sono i marmi della capitale, che Orlandi ritrae con calma e in maniera assennata. Si concentra sugli incontri e i rapporti che nascono in maniera geometrica e che sono ovunque nella città. Infatti, basta fare una passeggiata, durante la quale si può posare l’occhio sulle facciate di chiese e palazzi, per chiedersi: “Da quanto tempo sono qui?”. Eppure, queste impalcature marmoree sono lì da secoli e il loro tempo ha incrociato quello di noi esseri umani, che, molto spesso, viene da noi sottovalutato. Anche in questo caso Orlandi ci invita a riflettere e, come in tutti i suoi lavori, proprio in questa condizione risiede la delicata cifra politica dei suoi lavori.

L’approccio con la natura si può osservare a partire da lavori come Timeless (2016) e Mute (2019). Queste due serie di fotografie raccontano le lacerazioni e i pentimenti che la natura, e di conseguenza l’uomo, vivono. Mare e montagna sono raccontate secondo il tempo che risiede nell’incontro, deleterio, tra uomo e natura. Il passaggio dell’uomo, anche se non è direttamente presente alcun elemento, è evidente in queste fotografie, dove il bianco e nero dialoga con il candore della neve e il verde petrolio del mare.

La tecnica fotografia

Orlandi realizza principalmente inquadrature panoramiche orizzontali, le quali sono frutto di un profondo e intenso studio del soggetto naturale. Infatti, egli cerca di trarre il massimo sfruttando sia le condizioni metereologiche che di luce, attenzione che è ben evidente nelle sue serie fotografiche. Le sue sono visioni studiate, surreali e rese drammatiche dall’annerimento dello sfondo e dall’assenza velata dell’essere umano. Questo, infatti, è presente con il suo passaggio, un segno che resta indelebile nell’ambiente e che attrae l’attenzione del fotografo. Ma il lavoro non è eseguito solo in presa diretta, in quanto dietro c’è un lungo tempo impiegato nell’attività di post-produzione, dove Orlandi cerca, riuscendoci, di restituire la sua idea di fotografia e le sue emozioni.

La sua è una fotografia di tipo minimalista. Egli rifiuta ogni tipo di protagonismo, in quanto a parlare è la natura. Al di là della oggettività, che è il concetto base del minimalismo, la sua fotografia pone una alternativa allo sguardo illusorio ponendo delle questioni allo spettatore. Infatti, con il suo minimalismo Orlandi cerca risposte, incontri, fisionomie e segni di qualcosa che ancora non si conosce.

Ultimate Landascapes. Quando la terra chiama

Il mio lavoro è disorientare: cerco di mettere chi osserva di fronte a un rebus.

Claudio Orlandi

L’arco alpino da sempre è stato un territorio di passaggio prima che di confine. Ma, da qualche decennio, è anche testimonianza del cambiamento climatico che sta colpendo il nostro pianeta e i suoi ghiacciai sono testimonianza diretta di quanto sta accadendo. La fotografia è il mezzo che Orlandi scegli per riportare una situazione irreversibile, ma che l’uso dei teli geotermici sta in qualche modo rallentando.

Nei mesi tra giugno e settembre, per limitare la fusione del ghiaccio e della neve sui ghiacciai dove si pratica lo sci estivo e altre attività di montagna, sulla superficie della montagna vengono stesi dei teli artificiali. Una pratica che è stata avviata nel 2008 e, da questo momento, sono stati sperimentati vari materiali. Uno di questi, il più usato, è il telo in polipropene, poliestere e acido polilattico. Ovviamente questa pratica è un palliativo per i nostri ghiacciai, i quali fino a circa cinquanta anni fa erano circa il doppio, mentre adesso vengono “messi a riposo” e protetti dagli uomini, gli stessi che ne hanno provocato i maggiori danni.

La mostra è costituita da sei progetti fotografici. La prima, la terza e la quarta serie sono state fatte sul ghiacciaio del Presena, la seconda sullo Zugspitze (la cima più alta della Germania) e in parte sul ghiacciaio dello Stubai in Austria, che d’estate è preso d’assalto dalle nazionali di sci alpino di tutto il mondo. La quinta serie, invece, è stata eseguita nel ghiacciaio che si estende nella Valle di Zermatt, tra Italia e Svizzera, mentre la sesta ed ultima è stata eseguita alle sorgenti del fiume Rodano, sul Rhonegletscher, nel cantone Vallese.

Claudio Orlandi, Ultimate Landscape 1, fotografia, 2020, Collezione privata.

I sudari della nostra natura

Chi frequenta la montagna è a conoscenza della difficoltà che esiste nel vivere e mantenere le tradizioni. Orlandi racconta la difficoltà che i nostri ghiacciai stanno affrontando per sopravvivere e per mantenere intatta la propria memoria. L’occhio fotografico si sofferma sulla superficie dei teli e del manto nevoso, i quali sono testimoni dei passaggi dell’uomo e dei suoi effetti. Sono luoghi ruvidi, strappati, lacerati e caratterizzati da pieghe che descrivono l’andamento e il dinamismo di quel poco di ghiaccio che è rimasto.

Ecco che, allora, osservando le sue fotografie, si nota come queste pieghe siano il fulcro della sua indagine. Tra i loro movimenti verticali si nasconde la narrazione drammatica e tragica che la natura sta cercando di comunicarci e che Orlandi cerca di raccontare. Il tutto è sottolineato dall’assenza del paesaggio che circonda i ghiacciai e, così facendo, l’artista sottolinea, ma non denuncia, la necessità di intervenire al più presto per salvare il nostro ambiente. I contrasti di luce e di colore, soprattutto nella gradazione bianco-nero, sollevano questioni sulle luci e sulle ombre dei nostri comportamenti nei confronti della biodiversità.

Gian Lorenzo Bernini, Angelo con il Cartiglio della Croce, 1667-1669, Roma, Castel Sant’Angelo (dettaglio).

Le fotografie come prove evidenti di un cambiamento

Le pieghe sono considerate anche come metafora che ha un doppio livello di analisi. Da un lato esse ricordano ed evocano lo sgomento che si prova di fronte alle sculture barocche di Gian Lorenzo Bernini, Giuseppe Sanmartino o Antonio Corradini oppure alla Pietà di Michelangelo; dall’altro Orlandi richiama le domande che noi esseri umani elaboriamo quando entriamo in contatto con argomenti di tipo ambientalista, ma che poi restano nelle “pieghe della nostra mente”.

Chi osserva le sue opere non può non soffermarsi sull’importanza dei cambiamenti climatici. Al di là del giudizio estetico di queste fotografie, il fruitore sicuramente intuirà che qualcosa vada fatto e al più presto. Orlandi pone il problema in senso artistico prima che politico, ma ciò non sottrae la potenza che tali immagini trasmettono. Sono delicate, eleganti ma soprattutto reali e potenti; e proprio questi due elementi restano negli occhi e nella mente di chi esperisce queste fotografie.

 

 


Fonti

Ultimate Landscapes. Quando la terra chiama, (catalogo della mostra: Milano, Casa della Memoria, 2 luglio-25 agosto 2021), a cura di Alessia Locatelli, Antiga Edizioni, Crocetta del Montello 2021

claudiorlandi.it

galleriagallerati.it

Credits

La Copertina e Immagine 1 sono a cura del redattore, per ulteriori immagini cliccare qui.

Immagine 2

 

 

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