Vulvodinia, endometriosi, fibromialgia e neuropatia del pudendo. Cosa sono e perché non se ne parla abbastanza

Sabato 23 ottobre 2021, in ben venti città differenti d’Italia, ha avuto luogo un flashmob organizzato dal movimento Non una di meno per chiedere allo Stato e Servizio sanitario nazionale di riconoscere come malattie croniche e invalidanti la vulvodinia, la neuropatia del pudendo, la fibromialgia e maggiori tutele a tutte le persone che soffrono di endometriosi.

Tra le piazze principali troviamo Milano e Roma. A Milano il raduno ha avuto luogo davanti al Palazzo della Regione, dove alcune attiviste hanno indossato un lenzuolo bianco e maschera, come metafora dell’invisibilità tanto di queste patologie quanto delle persone che le vivono.

A Roma, invece, un momento particolarmente significativo è stato l’intervento a braccio dell’attivista Giorgia Soleri, la quale ha raccontato la propria lunga e dolorosa esperienza di ben undici anni tra mancate diagnosi, dolori lancinanti sminuiti e mancanza di professionalità e aiuto anche e soprattutto da chi invece dovrebbe essere un faro nel buio.

Queste patologie, purtroppo, sono ancora poco conosciute tra chi non ne soffre. Si tratta di problematiche che colpiscono prevalentemente persone AFAB (assigned female at birth, cioè coloro alla cui nascita è stato assegnato il sesso femminile, quindi donne, persone non binarie e di genere non conforme, uomini trans*, persone intersex…), una categoria ancora svantaggiata e discriminata in tantissimi settori, dall’economico a quello sanitario.

Qualche informazione sulle patologie

Vulvodinia

La vulvodinia è una patologia che coinvolge i genitali esterni, cioè la vulva, creando bruciori, ipersensibilità, difficoltà e dolori nell’urinare o durante i rapporti sessuali e tocca circa il 10-15% della popolazione mondiale AFAB, ma nonostante ciò il Servizio sanitario nazionale ancora non la riconosce. Il 7 aprile 2021 è stata depositata alla Camera la prima proposta di legge per il suo riconoscimento, grazie all’intervento dell’Onorevole Lucia Scanu.

La diagnosi di questa patologia si raggiunge per esclusione. Una volta escluse infezioni e altre patologie genitali si effettua lo swab test, che consiste nel toccare la vulva in vari punti con un cotton fioc per vedere se si percepisca o meno dolore. In caso di esito positivo – e dolori persistenti da più di tre mesi – si può ufficialmente parlare di vulvodinia.

Neuropatia del pudendo

La neuropatia del pudendo coinvolge le fibre nervose del nervo pudendo della pelvi, ergo l’intera muscolatura del cingolo pelvico. Alcuni dei sintomi sono dolore acuto di tipo neuropatico, cioè bruciore, prurito, sensazione di punture di spillo e scariche elettriche, spasmi e tensioni. Le sedi più frequenti sono l’ano e il retto, il perineo, i genitali esterni, l’area sovrapubica, l’inguine e il coccige.

La neuropatia del pudendo può essere diagnosticata solamente tramite uno studio neurofisiologico pelvi-perianale. In seguito alla diagnosi si può intraprendere una terapia con assunzione di farmaci.

Fibromialgia

La fibromialgia è una patologia reumatica cronica che provoca dolori diffusi, insonnia e astenia. Ancora meno conosciuta delle precedenti, si può manifestare con dolori cronici causati da simil-tensioni muscolari, anche localizzate, rigidità, cefalee, tachicardia, parestesie e alle volte anche problemi intestinali.

A lungo andare diventa seriamente invalidante, poiché si fatica a dormire e riposare, si fatica a organizzarsi in maniera “normale” perché  non si sa se si avrà dormito la sera prima e se potranno comparire all’improvviso i dolori, ad esempio in lunghi tragitti in macchina. È caratterizzata da dolori alla palpazione in dei punti – chiamati tender points – quali ginocchia, spalle, gomiti e altri, per un totale di 18.

Ricevere una diagnosi di fibromialgia è particolarmente complicato, proprio perché non la si conosce e perché inizialmente i vari sintomi, se presi singolarmente, possono essere sminuiti o rimandare ad altro. Non tutto il personale medico, poi, è in grado di diagnosticarla, infatti non sempre si riconoscono campanelli di allarme che, connessi ad altri sintomi, possono essere un buon indicatore per diagnosticare una sospetta fibromialgia. Ad esempio, spesso chi soffre di fibromialgia è celiaco e non può assumere glutine. Per queste ragioni, anche in questo caso, si va avanti per anni con dolori, frustrazioni, limitazioni e problemi che peggiorano senza riuscire nemmeno a capire cosa sia.

Non esiste, inoltre, una vera propria cura o trattamento. Si tratta più che altro di cercare i giusti farmaci per gestire i dolori e i sintomi, in base alle singole esigenze.

Endometriosi

L’endometriosi è un’infiammazione cronica dovuta all’accumulo anomalo di cellule endometriali in sede extrauterina. I sintomi principali sono dolori estremamente intensi durante il ciclo mestruale e in fase premestruale (alle volte così intensi da far vomitare o svenire), dolori pelvici cronici, astenia, dolori durante i rapporti sessuali, dolori intensi durante l’evacuazione e ciclo mestruale spesso irregolare.

Arrivare a una diagnosi di endometriosi è spesso complicato e può richiedere anche molto tempo, in media sette o otto anni. Generalmente ci si deve sottoporre a visite genitali e rettali per valutare se ci sia o meno presenza di endometriosi nella parte bassa delle pelvi, poi procedere con analisi del sangue e risonanze magnetiche e in base ai risultati ottenere una diagnosi con conseguente trattamento.

Alcuni esempi di trattamento possono essere terapie farmacologiche ormonali con antidolorifici o addirittura chirurgiche, con modalità conservativa o demolitiva. La prima modalità è indicata per la cura della sterilità, eseguita in laparoscopia, consiste nell’eliminazione delle aderenze pelviche, lesioni endometriosiche e asportazione di endometriosi di dimensioni importanti.

La seconda modalità è per casi gravi di endometriosi non rispondenti alla terapia farmacologica e che non desiderino gravidanze. Si rimuovono le lesioni endometriosiche e si procede con isterectomia totale (rimozione utero e cervice) e ovariectomia (rimozione ovaie). È importante ricordare che, anche nei casi di chirurgia conservativa, possono ripresentarsi problemi con recidive fino a cinque anni di distanza.

Impatto medico e sociale

Ciò che accomuna indistintamente tutte queste patologie è l’ignoranza che le circonda, intesa come non conoscenza, e di conseguenza l’immane difficoltà – che implica anche tempi biblici – nel poter arrivare a una diagnosi, il fatto che riguardi nella grande maggioranza dei casi donne e persone AFAB, il fatto che spesso vengano sminuite in sede d’esame, soprattutto da medici uomini nei confronti di giovani ragazze.

Professioniste e professionisti del settore, non essendo formati su queste patologie, o avendo delle difficoltà nell’identificarle, attribuiscono le cause di questi malesseri a problemi di natura psicosomatica, prescrivendo magari visite o terapie in quest’ottica. Ad esempio, i dolori mestruali sono costantemente percepiti come la normalità (ma in realtà non è così) e si tende, di conseguenza, a non dar peso alle esperienze delle (o in qualche caso dei) pazienti. Infine, in queste situazioni il costo delle visite ed eventuali interventi sta quasi tutto sulle spalle della persona malata, che deve investire enormi quantità non solo di soldi, ma anche di tempo, per trovare e raggiungere gli e le poche specialiste formate in materia da una parte all’altra d’Italia.

Ovviamente tutto ciò ha anche un impatto non da poco sulla salute mentale e sulla vita sociale delle persone. Stare costantemente male e sentirsi dire che probabilmente non è nulla, che si sta esagerando e doversi sentir sminuire costantemente – pur continuando effettivamente a provare dolori e avere difficoltà nel quotidiano – porta la persona a dubitare di sé stessa, oltre che a farla sentire sciocca o, in alcuni casi estremi, a umiliarla.

Molto spesso per via dei dolori o dell’astenia si evita di uscire, di svolgere determinate attività, limitando immensamente la vita sociale ed emotiva delle persone. Non poter indossare determinati pantaloni – ad esempio i jeans per alcune persone che soffrono di vulvodinia – o non poter gestire il proprio ciclo mestruale come si vorrebbe (assorbenti interni, coppette o altro per ragioni economiche e sostenibili) non fa che aggravare lo stato psico-emotivo dell’individuo.

Cos’è l’health gap

Purtroppo è un dato di fatto che esista tutt’ora un health gap (letteralmente divario di salute o sanitario) tra la popolazione maschile e femminile in tutto il mondo.

Non solo le donne e persone AFAB crescono con l’idea che certi dolori siano normali, ma imparano anche a sottovalutare le proprie sofferenze e sintomi. La medicina è ancora pesantemente sbilanciata in favore degli uomini, infatti, come spiegato dalla Professoressa Alessandra Graziottin,

ci sono studi che evidenziano come gli antidolorifici siano prescritti più agli uomini che alle donne, e anche quando queste riportano percezioni dolorose più forti, segno ancora una volta di come la sofferenza femminile sia spesso sottovalutata. Eppure oggi sappiamo che le donne assorbono gli analgesici in modo differente: hanno minori quantità di enzimi utili al metabolismo di questi farmaci e ciò può determinarne un maggior accumulo nell’organismo, e quindi più effetti collaterali. È quindi di importanza fondamentale usarli prima possibile per evitare la cronicizzazione del dolore, ma con attenzione alla scelta del principio attivo e delle dosi.

È possibile trovare testimonianze agghiaccianti di casi in cui il dolore della paziente è stato sottovalutato fino a portarla alla morte. Un esempio si è avuto nel maggio del 2018 in Francia, quando una donna chiamò l’ambulanza accusando forti dolori addominali e dicendo di sentirsi morire. L’operatore le rispose che prima o poi sarebbe morta, come tutti. Ammessa all’ospedale con un ritardo di ben cinque ore è successivamente deceduta per un ictus. Stando a quanto indagato da Catriona Harvey-Jenner e Daniella Scotto, negli ultimi dieci anni sono morte più di 8000 donne per diagnosi errate, spesso per via di pregiudizi di genere. Stando sempre a questa indagine, risulterebbe che le donne nere sono molto più penalizzate delle donne bianche.

Stando sempre a un’indagine, nello specifico condotta da Elma Research per Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), una donna su tre soffre di dolori pelvici, ma solamente una riceve una diagnosi corretta.

Le persone prese in considerazione per lo studio dicono di non sentirsi ascoltate o credute, tant’è che sempre più spesso si sente parlare di “medical gaslighting. Il campione preso in analisi era di ben “600 donne tra i 18 e i 55 anni, oltre a 23 ginecologi e 10 pazienti […] Il 22% di chi sperimenta dolore pelvico dichiara di sentirsi a disagio, il 20% è nervosa, il 13% è frustrata e il 9% confessa di essere “esausta””.

Pagine e siti utili

Poiché molto spesso le persone direttamente interessate hanno dovuto attraversare un calvario per giungere a una diagnosi, dal basso si sta creando una grande rete di divulgazione e sostegno su queste tematiche. Alcuni siti internet utili possono essere endometriosi.it e cistite.info per la vulvodinia e neuropatia pelvica. Su Instagram alcuni profili utili su queste tematiche sono @infoendometriosi, @endo_andme (per endometriosi, adenomiosi e fibromialgia), @endoetica (dolore cronico, endometriosi e adenomiosi), @endoepsiche, @io_sono1su10 (endometriosi, adenomiosi e fibromialgia), @lavocediunalavoceditutteodv (associazione di volontariato per persone con endometriosi), @cistite.info, @vulvodinia.online, @vulvodiniapuntoinfo_onlus.

Conoscere, riconoscere e credere ai propri dolori è il primo piccolo passo per potersi avvicinare ad una diagnosi, ma dare il giusto peso alle sensazioni, anche dolorose delle e dei pazienti senza esprimere giudizi o sminuirli è il primo grande passo non solo verso la diagnosi ma verso una rivoluzione medica e sociale chiaramente necessaria.

 

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