Crimini di guerra in Ucraina: Putin può essere perseguito?

È diventato ormai centrale nel dibattito pubblico intorno all’invasione dell’Ucraina il tema di presunti crimini di guerra che sarebbero stati commessi dall’esercito russo. Le prime accuse risalgono già agli inizi della seconda settimana del conflitto, in seguito al bombardamento di diversi edifici civili (tra cui, si riporta, alcune scuole e ospedali). Il fatto non è passato inosservato e le accuse (partite dal presidente ucraino Volodymir Zelensky) sono state rapidamente ripresa dalla maggior parte dei media e delle classi politiche occidentali, portando all’apertura di un’inchiesta da parte della Corte penale internazionale ai danni di Vladimir Putin. Ma quanto è concreto lo scenario?

Una corte per i crimini di guerra

La guerra, si sa, è crudele e spietata. Se già l’idea di una violenza organizzata e sistematica fa rabbrividire al pensiero, è scritto in ogni manuale di storia come il XX secolo ci abbia presentato questo abominio in una nuova forma, quella che coinvolge sempre meno gli eserciti veri e propri e sempre più la cosiddetta “società civile”: non a caso è oggi largamente definita “guerra totale” quella che si combatté per tutto il secolo scorso, e che coinvolge anche i conflitti più recenti. In seguito a una deriva tanto imprevedibile (o, per meglio dire, imprevista) la comunità internazionale decise di istituire un’ente giudiziario sovranazionale, che avesse come scopo quello di vigilare sulla condotta bellica delle Nazioni e di punire eventuali reati creati ex novo, ovvero i crimini di guerra e quelli contro l’umanità.

Questa istituzione si chiama “Corte penale internazionale” e ha sede in Olanda, a L’Aja, proprio come la più nota (ma del tutto estranea) “Corte dell’Aja”, o meglio “Corte internazionale di giustizia”, organo delle Nazioni Unite. Essa è complementare all’azione degli Stati: significa che interviene solo nei casi in cui uno Stato sovrano non voglia o non possa procedere contro detti reati (l’esempio odierno ci dimostra con ovvietà quanto sia difficile arrestare e processare chi si macchi di certi crimini). La corte, istituita nel 2002 dopo un interminabile iter burocratico e diplomatico, non è universalmente riconosciuta: diversi Stati africani, che sono stati tra i primi “imputati”, hanno rifiutato di riconoscerla e altri (tra cui Israele, Stati Uniti e Russia) non ne hanno ratificato lo statuto.

L’organo è diviso in una Presidenza (che risponde del corretto funzionamento della corte stessa), tre diverse Divisioni (che si occupano di dichiarare l’ammissibilità del processo, del primo grado dello stesso e di emettere le sentenze definitive), un Ufficio del procuratore (che svolge le indagini in totale autonomia, previa però autorizzazione a procedere) e una Cancelleria, che svolge compiti amministrativi vari.

Genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità

Va da sé che un organo tanto formalmente potente e tanto discusso abbia giurisdizioni chiaramente delimitate. Esso può di fatto perseguire tre soli reati, come si accennava incompletamente sopra: i crimini di guerra, quelli contro l’umanità e il reato di genocidio.

La definizione dei crimini contro l’umanità è sicuramente la più ardua. Il concetto nacque nel 1915, sulla spinta di Gran Bretagna, Francia e Russia, in seguito al genocidio armeno di quell’anno. Venne poi formalizzato giuridicamente nell’immediato secondo dopoguerra, con l’istituzione del ben noto Tribunale di Norimberga: la principale accusa a carico degli ufficiali nazisti di vario rango fu proprio quella di crimini contro l’umanità. Tralasciando le polemiche relative alla difficile definizione degli stessi, per non parlare dell’applicabilità delle pene, si può in breve definire tale locuzione come una sorta di calderone che includa diversi atti particolarmente gravi e capaci di suscitare (questa è, nei fatti, la vera discriminante) lo sdegno morale delle opinioni pubbliche. Vi rientrano il succitato genocidio, i reati di tortura, di persecuzioni o “pulizie” etniche e lo schiavismo.

Sicuramente più semplice è invece definire cosa sia considerabile “crimine di guerra“. In uno sforzo immaginativo che lascia un sorriso amaro in chi legge in buona fede, dopo la Seconda guerra mondiale si andò definendo con assoluta chiarezza, a livello internazionale, una serie di condotte considerate “immorali” all’interno del contesto bellico. Tra queste condotte si citano, a titolo d’esempio, aprire il fuoco su civili, giornalisti, soldati battenti bandiera bianca o gli aiuti umanitari (esempio più comune rappresentato da Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale). Vi rientrano anche una serie di altre condotte relative al diritto internazionale, quali il maltrattamento dei prigionieri di guerra o di civili, o l’impiego di armi che siano proibite dalla Convenzione di Ginevra, il “faro” di questi artifici giuridici.

La Russia sta commettendo crimini di guerra?

Tornando all’attualità, la domanda che pendeva dalle bocche di ogni osservatore è stata bene o male la stessa: “La Russia sta commettendo crimini di guerra? Bisogna, certo, tenere ben presenti una serie di premesse assolutamente fondamentali, nella lettura della questione: dalla difficoltà di verificare indipendentemente ogni informazione giunta dal fronte fino ai consueti (in ogni conflitto umano registrato nella Storia) tentativi di accusa da una parte all’altra, spesso addirittura creando incidenti ad hoc per poter accusare direttamente l’avversario di certe violazioni. Archiviato ciò, con tutti gli esempi più o meno recenti di tali “scorrettezze” da parte di diversi attori, la domanda resta e necessita di una risposta.

È molto probabile che sì, la Russia stia commettendo dei crimini di guerra. Numerose immagini provenienti dal fronte, anche nella loro difficile verifica, ci dimostrano come gli aggressori stiano bombardando pesantemente le città ucraine e anzi, dopo una prima settimana in cui il fuoco si è concentrato prevalentemente su obiettivi militari, ora le vittime civili rischiano di superare di gran lunga quelle relative all’esercito.

Ospedali e scuole sono stati bombardati e, anche lasciando da parte o persino prendendo per vere le accuse russe alla controparte di star “usando i civili come scudi umani”, il fatto resta innegabile. Non solo: è ormai cosa certa che la Russia stia sistematicamente servendosi di ordigni termobarici nei suoi bombardamenti. Per spiegarlo in estrema sintesi, un ordigno termobarico (proibito da Ginevra in quanto arma non nucleare più distruttiva) provoca due distinte esplosioni in successione: la prima rilascia nell’aria alcuni gas, la seconda, molto più violenta, sfrutta pressione e calore per incendiare questi gas e l’ossigeno circostante.

Resteranno da chiarire anche le presunte violazioni di cessate il fuoco e dei corridoi umanitari, al centro dei negoziati sin dai loro albori eppure mai attuati. Comprendendo tutto questo e le recenti accuse relative al presunto impiego di armi chimiche, il Procuratore capo dell’Aja avrà moltissimo materiale da esaminare.

Chi ne risponde?

A rispondere davanti alla corte di questi atti dovrebbero, in teoria, essere leader, tanto militari quanto politici, delle forze che se ne macchino. Nella fattispecie, quindi, il principale “imputato” sarebbe uno solo: Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa e Capo Supremo delle forze armate.

Com’è ovvio che sia, però, la situazione è molto più complessa. A ben vedere, infatti, la Corte sembra vere un potere davvero limitato nella persecuzione di questi crimini. La Russia, lo ricordiamo, non ha ratificato lo statuto e dunque non è legalmente vincolata a rispettare le decisioni della corte stessa. Inoltre, la Corte non possiede un proprio potere “esecutivo”: non è dotata, insomma, di una propria “polizia”. Dovrebbero essere le forze dell’ordine russe ad arrestare Putin e consegnarlo alla Corte, scenario che appare decisamente improbabile, a voler usare un eufemismo.

Come se tutto questo non bastasse, esiste un’ulteriore complicazione. Ammesso e non concesso che il Procuratore dell’Aja riesca a provare, senza ombra di dubbio alcuna, che la Russia abbia effettivamente commesso crimini di guerra in Ucraina, questo non sarebbe sufficiente per accusare Putin direttamente. Si potrebbero al massimo mettere in stato d’accusa ufficiali dell’esercito sul campo, ma per poter colpire gli “alti papaveri” serve una prova inconfutabile che questi fossero al corrente di quanto accade sul fronte. Agli osservatori appare ovvio che ne siano al corrente: se lo è qualsiasi persona dotata di smartphone a migliaia di chilometri di distanza, come potrebbero non esserlo i diretti interessati, i “mandanti” di tali azioni? Ma una cosa è la palese logica, un’altra la realtà dimostrabile della burocrazia, in particolar modo di quella bellica.

Risulta, insomma, altamente improbabile che questa indagine, aperta ufficialmente la scorsa settimana, possa condurre ad alcuna condanna. Resta però, secondo molti osservatori, un atto giuridico dovuto, volto a far chiarezza su ciò che ovvio, evidentemente, non viene considerato: e cioè che, in guerra, si possa uccidere e che spesso non esista un modo “etico” per farlo.

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