Ucraina e Russia: storia del rapporto con la Biennale di Venezia

Il conflitto tra Russia e Ucraina, come è inevitabile, sta coinvolgendo anche il sistema dell’arte. La notizia della momentanea rinuncia da parte degli organizzatori del Padiglione Ucraina ha acceso l’allarme negli addetti ai lavori. Questa Biennale di Venezia (che aprirà le sue porte ai visitatori il 23 aprile) diventa già il simbolo di un sistema dell’arte che non viaggia da solo ma è integrato nelle politiche mondiali.

A riportare la notizia è il quotidiano Nuova Venezia, il quale pone l’accento sull’importanza del rispetto dei diritti e dei valori umani:

Le nostre vite, le vite dei nostri cari come tutto quello in cui noi crediamo, la pace, la libertà, la democrazia e la cultura, sono messe a rischio. Il nostro team è sparpagliato in tutta l’Ucraina: Kharkiv, Kiev, Lviv e in parte fuori. Nel momento in cui stiamo scrivendo questa comunicazione non siamo strettamente in pericolo, ma la situazione è critica e cambia ogni minuto. 

Parole che descrivono momenti drammatici, e che evidenziano la situazione della nazione che in queste ore sta difendendo il suo patrimonio dagli attacchi russi. Una difesa che non è solo storica ed estetica ma anche identitaria, in quanto simbolo dell’Ucraina e di tutta la comunità europea.

Motivi della rinuncia

La rinuncia quindi è stata dettata sia da motivi economici che di dovere verso il proprio paese. Lo staff, a partire dall’artista ucraino Pavlo Makov, ha fatto una scelta di necessità. L’organizzazione del proprio padiglione richiede agli stati anni di preparazione e di programmazione e, certamente, non è stata una scelta presa a cuor leggero. Inoltre, la presenza degli stati a Venezia è, per i paesi fuori dalla Comunità europea, sia una occasione per mostrare il proprio sistema culturale al mondo, sia una opportunità per essere sempre più inclusi nelle politiche culturali dell’Unione. La rinuncia, in sintesi, avrà nel lungo periodo un impatto importante per l’economia culturale di questo paese.

Tra questi c’è l’Ucraina, la quale da anni dialoga con gli stati membri dell’Unione riguardo politiche culturali olistiche e integrative, a partire dall’organizzazione del proprio padiglione alla Biennale. La scelta di rinunciare, quindi, è stata un atto di doverosità verso il proprio paese, verso la propria cultura millenaria, che adesso è minacciata. Un forte gesto di riconoscimento verso i propri valori, che hanno trovato rispetto anche nello staff della Russia, la quale ha annunciato il ritiro dei propri artisti. Un sistema dell’arte quindi che dai momenti di difficoltà prende energia per rafforzare la propria importanza sociale.

Di fronte a questa situazione anche il direttorio della Biennale ha fatto la sua scelta. La Russia viene esclusa dalla manifestazione e viene data piena solidarietà organizzativa all’Ucraina, aprendo ad un rapido allestimento del suo padiglione in caso di miglioramenti e offrendo ampio supporto agli artisti ucraini.

Non solo la Biennale, anche i musei ucraini in allerta

I musei dell’Ucraina stanno vivendo giorni di grande pericolo nei quali le opere sono a rischio. I quadri del Realismo sovietico, le icone bizantine, i dipinti del Rinascimento italiano, stanno trovando ricovero nei sotterranei o vengono protetti come meglio possibile. Siamo di fronte a immagini simili a quelle della Seconda guerra mondiale quando, ad esempio, gli Uffizi di Firenze avevano costruito delle coperture in muratura attorno le proprie statue per proteggerle dai bombardamenti. Il maggiore museo a rischio è il Museo di Belle Arti di Odessa, minacciato dal 2014 e vicino alla Transnistria, la repubblica separatista filorussa in Moldavia. Così commenta la vicedirettrice del museo, Aleksandra Kovalchuk:

La minaccia esterna ha portato alla “ucrainizzazione” del museo, il personale comunica in lingua ucraine perché i 150mila militari ai confini hanno funzionato meglio della legge sulla lingua. 

Alle preoccupazioni della Kovalchuk si aggiunge il direttore del Museo della Scuola di Fotografia di Kharkiv, Sergiy Lebedynskyy:

Non riusciamo ancora a credere che qualcosa del genere stia accadendo in Europa. Per fortuna gran parte della collezione è conservata in un deposito in Germania. 

Sgomento, infine, anche per Olesia Ostrovska-Liuta, direttrice del complesso museale Mystetskyi Arsenal di Kiev:

Le minacce sono tante e non sappiamo quale si realizzerà: un blackout, una mancanza di connessione a internet, un’invasione. Cerchiamo di prepararci a quanti più scenari possibili.

Il precedente: la rinuncia dell’Unione Sovietica alla Biennale del 1926

La Biennale di Venezia non è la prima volta che si trova al centro di problemi politici di carattere internazionale. Memorabile è la rassegna del 1968, svoltasi in piena contestazione sociale, quando gli artisti italiani e stranieri portano la protesta all’interno dei Giardini e dei padiglioni. La loro attività, con in testa i protagonisti dell’Arte Povera, è stata a metà tra protesta politica e vera e propria performance. Rinuncia alle interviste con critici e giornalisti, dipinti non spediti o resi irreperibili, appesi alla parete con il verso della tela oppure coperti con i sacchi neri in plastica. Una azione in pieno stile Sessantotto che ha consegnato alla storia quella rassegna della mostra veneziana.

Ma, per trovare un precedente simile occorre andare fino al 1926, anno in cui è l’Unione Sovietica a dover rinunciare per la mancanza di fondi. L’Unione Sovietica si trova in un momento di crisi economica dopo le carestie causate della Rivoluzione d’Ottobre e dal comunismo di guerra. Lenin nel 1921 avvia un programma di risanamento, la NEP (Nuova Politica Economica) che si basa sul ripristino della proprietà privata; il reinserimento del denaro e la creazione di un sistema economico misto, caratterizzato da una economia di libero mercato, nell’ambito del settore agricolo e industriale. Iniziative che inevitabilmente sottraggono denaro alla ricerca culturale e al finanziamento delle sue attività.

Vinicio Paladini, Ritmi Meccanici, 1923, olio su tela, Collezione privata.

Mancanza di fondi e necessità di rifondare lo stato comunista: queste le ragioni della defezione sovietica. Tuttavia, anche in questo caso, si può parlare di un danno pesante per lo sviluppo culturale del paese. Fino alla costituzione ufficiale nel 1924 dell’Unione Sovietica, l’arte russa era riconosciuta in tutta Europa in quanto elemento fondamentale per lo sviluppo delle ricerche artistiche nel solco dell’avanguardia. Costruttivismo e Suprematismo erano due movimenti che avevano trovato accoglienza positiva, soprattutto in Germania e in Italia, e avevano contribuito alla nascita del Bauhaus. Un’Europa che dialogava e si confrontava ma, con l’avvio dei regimi a vocazione totalitaria, tutto questo si è interrotto: la cultura e l’arte sono diventati uno strumento di propaganda.

Biennale 1926, i Futuristi ottengono il padiglione sovietico

Dopo l’esperienza dell’Esposizione di Parigi del 1925, Marinetti vuole portare il suo gruppo a Venezia, in quanto è profondamente convinto che l’arte d’avanguardia sia ormai storicizzata e i suoi aspetti rivoluzionari in parte assopiti. Pertanto, egli avvia rapporti epistolari, il 28 luglio 1925, con Vittorio Pica e Giovanni Bordiga, rispettivamente segretario generale e presidente dell’esposizione veneziana. Nella lettera egli chiede almeno cinque sale, dato che pochi mesi prima aveva ottenuto due sale alla III Biennale di Roma. Tuttavia, questa richiesta viola il regolamento che prevede che siano i giudici a invitare gli artisti e Bordiga gli risponde che solo alcuni avrebbero potuto partecipare e in caso andavano collocati al massimo in una sala.

Marinetti scrive a Pica riferendogli che egli aveva l’appoggio di Mussolini, il quale, alla inaugurazione della mostra milanese, aveva lamentato la scarsa presenza dei futuristi. A marzo, Marinetti riunisce la sua rappresentanza futurista, scegliendo le opere che non erano state esposte in mostre internazionali per non contravvenire al regolamento della rassegna.

Le trattative con i sovietici erano state avviate nel 1925, anche se fin da subito i problemi economici vengono evidenziati. Così, superato il momento di indecisione da parte della giuria della rassegna, gli spazi destinati ai sovietici vengono lasciati ai futuristi su esplicita richiesta dell’ambasciatore russo Kerzencev. Per Pica, questa è una occasione da non perdere, perché così poteva creare una piccola enclave futurista nei Giardini, in modo da ridurre l’impatto sulla critica e di conseguenza sull’immagine della stessa Biennale. Per Marinetti invece è la giusta occasione sia per usufruire di uno spazio più ampio rispetto quello previsto, che per celebrare la simbolica appropriazione del primato tra i movimenti d’Avanguardia alla Biennale, proprio a discapito della nazione che nel 1924 qui si era distinta.

La storia per ricostruire il futuro

L’esempio del ritiro dell’U.R.S.S dalla Biennale del 1926 fa riflettere. L’Ucraina, seppur in un contesto molto diverso, si trova in questo momento a rivedere le proprie politiche culturali, per poter ricostruire e proteggere i suoi territori. L’Ucraina sta combattendo in virtù di quei valori che sono alla base dell’Unione Europea, anche se di questa non fa parte. Umanità, diritto alla sovranità e alla cultura, rispetto della civiltà e delle minoranze sono tutti diritti dichiarati all’Art. 2 del Trattato di fondazione dell’Europa che in questo momento stanno venendo meno. E, come ogni crisi insegna, la cultura sta pagando il conto, anche se è l’unica che garantisce lo sviluppo intellettuale della persona.

Un paese che non fa parte dell’Unione Europa in quanto stato di frontiera, ma che in questo momento si sta comportando come stato membro. La difesa dell’identità nazionale è il motivo principale della decisione di non partecipare alla mostra veneziana, una scelta simbolica ma di impatto, che allontana questo paese, almeno per quanto riguarda la cultura, dallo statalismo di Putin.

La rinuncia (salvo decisioni eccezionali della Biennale) è una grave perdita per tutto il mondo, non solo per l’Ucraina. La rassegna ha l’obiettivo di esporre tutte le culture del mondo in garanzia del pluralismo culturale; e, in questo modo, si andrà verso una manifestazione alla quale mancherà qualcosa. Ma sicuramente quello che non mancherà saranno i valori di umanità, nei confronti dei quali la Russia della cultura ha già dato il suo segnale.


 

Fonti

artslife.com

artribune.com

artribune.com

qaeditoria.it

Matteo Bertelé, Arte sovietica alla Biennale di Venezia (1924-1962), Mimesis, Udine 2020.

Il Giornale dell’Arte, anno XXXIX, n. 426, Marzo 2022

Pete Millwood, Alexander Pantsov with Steven Levine, Deng Xiaoping, A Revolutionary Life, “Journal of Contemporary History”, vol. 54, n. 1, 2019. 

 

 

 

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