L’arte rimasterizzata di Quayola

Dal 29 settembre 2021 al 30 gennaio 2022 Palazzo Cipolla, in Via del Corso a Roma, ha ospitato la prima mostra monografica di Quayola. Nato a Roma nel 1982, fin da giovanissimo si avvicina al mondo della grafica e della media-art, di cui è considerato tra i più importanti esponenti. Nel palazzo di proprietà della Fondazione Terzo Pilastro, si raccoglie quasi tutta la produzione di Quayola, che va dal 2007 al 2021. Il progetto espositivo si articola in tre aree tematiche: iconografia classica, sculture finite e non finite, e la tradizione della pittura di paesaggio.

Quayola e la sua mostra a Palazzo Cipolla

Quayola si avvale dell’uso di moderni sistemi robotici di intelligenza artificiale e stringhe di codice generativo. In questo modo l’artista rimasterizza e ricodifica la storia dell’arte, e lo fa attraverso la sua personale prospettiva sia di cittadino della Capitale che, soprattutto, di artista. Nonostante la sua giovane età, Quayola vanta un curriculum di tutto rispetto. Infatti, l’artista ha partecipato a mostre collettive e personali nei maggior musei d’arte contemporanea del mondo, come: il V&A Museum di Londra, il Park Avenue Armory a New York, il Bozar di Bruxelles, il Centro Nazionale d’Arte a Tokyo, l’UCCA di Pechino, l’HOW Art Museum di Shanghai, e il Palais de Tokyo a Parigi. Ha partecipato inoltre a importanti Biennali, come quella di San Paolo, e festival come il Sónar di Barcellona e il Sundance Film Festival di Park City.

Quayola utilizza gli algoritmi che regolano il mondo digitale non soltanto o non semplicemente per creare delle opere d’arte, ma piuttosto per scandagliare, con le infinite opportunità che la tecnologia gli offre, il processo di ricerca che è alla base dell’opera d’arte stessa, per esplorare la moltitudine di possibilità di concretizzazione dell’idea creativa.

Prof. Avv. Emanuele F.M. Emanuele

Presidente Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale

Iconografia classica

Quayola, Iconographies #20 “Tiger Hunt” after Rubens, 2014 stampa ad inchiostro, cm 120×180, Collezione privata (dettaglio).

Quayola, da buon romano, resta affascinato dai numerosi soffitti che decorano le chiese della città. Il visitatore viene prontamente accolto in una sala, il cui soffitto ospita un proiezione della volta della Chiesa del Gesù. La decorazione seicentesca del Baciccio, fluttua, rotea e si sviluppa in una concatenazione di solidi geometrici, realizzati secondo gli algoritmi che lo stesso Quayola elabora.

Questi, inoltre, definiscono il moto e la velocità che i volumi rispettano e seguono come una danza. Il tutto però non è casuale. Infatti, Quayola ripercorre le movenze dipinte dal Baciccio, cercando di analizzarne meccanicamente lo sviluppo dinamico. Un grande effetto questo, il quale richiama la tecnica dello sfondato utilizzata nel Seicento e Settecento per aprire idealmente la volta delle chiese.

Ma Quayola non è attratto solo dagli affreschi. Infatti, egli concentra la sua attenzione anche sulle tele, patrimonio inestimabile e gratuito che si trova nelle chiese delle città. Ed ecco che a Palazzo Cipolla vediamo Rubens, Raffaello e Botticelli, rivisti e riscritti secondo i canoni del più moderno graphic-design. Le natività o La Caccia alla Tigre di Rubens appaiono agli occhi dei visitatori scomposte, frammentate e riorganizzate per realizzare nuovi canoni estetici. I volumi si compenetrano e dialogano tra di loro, in un vortice che mai si discosta completamente dalla figurazione.

Il progetto figurativo

Quayola ricodifica e rimasterizza l’iconografia, ma lascia sempre riconoscibile un elemento dell’artista da cui egli parte. Un passaggio di tono, un contrasto di luce, oppure un incontro di sguardi tra la Madonna e il Bambino Gesù. Iconographies, quindi, è un progetto che ha come obiettivo l’analisi dei dipinti rinascimentali e barocchi attraverso metodi computazionali. Scene religiose e mitologiche si trasformano in complesse formazioni digitali. La serie non ha lo scopo di proporre di offrire nuove interpretazioni contemporanee sui soggetti originali, bensì scava a fondo nel significato iconografico per poi proporre versioni alternative dei dipinti attuali attraverso un nuovo linguaggio.

Il linguaggio contemporaneo di Quayola dà quindi vita ad una mostra che io spero possa avvicinare i puristi della tradizione ai nuovi codici espressivi derivanti dalle tecnologie più attuali, le quali, lungi dall’essere asettiche e “disumanizzate”, si mettono al servizio dell’atto creativo in tutte le sue forme, offrendo all’artista ed ai suoi fruitori nuovi strumenti per esplorare l’ineffabile mistero dell’arte.

Le sculture digitali

Quayola, Frammenti di Laocoonte, 2016-2017, ferro e resina, Collezione privata.

Rinvenuto sull’Esquilino nel 1506, il gruppo scultoreo del Laocoonte è al centro del percorso di visita dei Musei Vaticani. Laocoonte e i suoi figli sono stati oggetto di studi, di restauri più o meno esatti, e soprattutto oggetto di stupore per tutta l’umanità. Ma mai, fino all’arrivo di Quayola, era stato scomposto e analizzato matematicamente.

Le sculture, realizzate in resina di marmo e ferro, sono il frutto di complesse simulazioni digitali ed esperimenti con tecnologie di prototipazione virtuale e fisica. Il Laocoonte e i suoi frammenti esposti sono, inoltre, il risultato di una ricerca di tipo archeologica nel mondo dei computer, dove, gli algoritmi utilizzati per realizzarle erano nascosti. Quayola, in questo modo, presenta la storia dell’arte digitalizzata secondo il personalissimo codice matematico e grafico.

La scultura ellenistica non è l’unica a essere rimasterizzata. Le fa compagnia il gruppo delle Prigioni di Michelangelo Buonarroti, il quale è realizzato partendo dall’equilibrio e dalla tensione tra forma e materia, che il maestro fiorentino realizza alla metà del Cinquecento, liberando la figura e ponendo l’attenzione sulla scelta tecnica michelangiolesca del “non finito”.

In ogni blocco di marmo vedo una statua semplice come se stesse davanti a me, modellata e perfetta nell’atteggiamento e nell’azione.
Non mi resta che asportare le pareti ruvide che imprigionano la bella apparizione per rivelarla agli altri occhi così come la vedono i miei.
Il miglior artista ha quel pensiero solo che è contenuto nella conchiglia di marmo; la mano dello scultore può solo spezzare l’incantesimo
per liberare le figure che sonnecchiano nella pietra.
La vera opera d’arte non è che un’ombra della perfezione divina. 

Michelangelo Buonarroti, 1501.

La tradizionale pittura di paesaggio prende vita

Quayola, Resti: Vallée de Joux, 2018, Serie di stampe a getto d’inchiostro, Collezione privata.

Camminando nelle sale di Palazzo Cipolla si ha la sensazione che finalmente arte e tecnologia possano convivere. Infatti, Quayola usa i pixel e complessi scanner laser per realizzare paesaggi naturali estremamente ad alta qualità.

Ed ecco che sugli schermi appaiono foreste della Provenza, faggeti del Belgio e lunghe distese di campi di papavero che vengo animati dal vento, generato, nuovamente, dagli algoritmi di Quayola. Lo spettatore deve solo accomodarsi e lasciarsi coinvolgere dalla sinestesia immersiva della video arte.

Ma Quayola, che è un ottimo osservatore della storia dell’arte, va oltre. Partendo dalla pittura di paesaggio del Sei e del Settecento, dominata dai dipinti di Annibale Carracci e di Francesco Albani, “dipinge” la natura antropizzata. Infatti, con dei codici informatici, Quayola ricrea il movimento della pennellata pastosa per plasmare la natura e per restituire il rapporto che intercorre tra questa e l’uomo. Ma se nella pittura del Sei e Settecento si dipingeva una arcadia inserendo piccole figure umane in rapporto alla maestosità della natura, Quayola mette sullo stesso piano l’uomo, in questo caso del XX secolo, e la natura, riflettendo sull’incisività dei nostri gesti sull’ambiente che ci circonda.

Ma ad interessare Quayola è tutta la pittura dei paesaggio, non solo quella romana. Così come avviene in Jardins d’Été del 2017, dove l’artista riflette sul Pointillisme di Seurat e sulla pittura materica realizzata da Monet nella sua serie delle Ninfee. Fronde di colore si materializzano e si sfaldano davanti gli occhi del visitatore, riproponendosi con una frequenza casuale, per stimolare la percezione dinamica del colore, dove la composizione floreale ricorda la superficie liquida dipinta dal padre dell’Impressionismo. La citazione, se di questo ancora si può parlare, è totale anche nella scelta dimensionale: il formato orizzontale ricorda infatti la maestosa esposizione dell’Orangerie.

Quel confine sottile tra digitale e arte contemporanea

E infine, la mostra si conclude con la galleria di una foresta innevata. Di nuovo il visitatore si immerge nel mondo degli algoritmi matematici, che in questo caso ricreano, piuttosto che indagano. Giganti stampe a fondo nero ospitano immensi faggi innevati, che invitano al religioso silenzio e a chiudere gli occhi per ascoltare il vento gelido ma accogliente che muove le fronde degli alberi. Un paesaggio innevato da favola, come quello che contraddistingue le nostre montagne, ma che di naturale ha solo le nostre sensazioni.

A chi osserva le opere di Quayola, specialista dell’arte contemporanea o meno, viene in mente un quesito: l’artista è chi realizza materialmente le opere, quindi gli strumenti informatici e i robot meccanici, oppure chi concepisce l’algoritmo? Una domanda che attraversa tutto lo sviluppo dell’arte contemporanea dalla seconda metà del Novecento ad oggi. L’idea, il progetto e il pensiero sono elementi rivendicati dall’artista; i quali poi, secondo la scelta del materiale, prendono vita. E quindi, dopo secoli di arte concepita come espressione artistica, nella quale l’idea era concepita come la fase iniziale e progettuale dell’opera, a partire da Marcel Duchamp il fare artistico e creativo ha trovato il suo significato nell’idea in quanto fattore puro e completo; diventando in questo modo il codice espressivo predominante e la modalità con la quale l’artista si rivendica in quanto tale.

Quayola fa lo stesso. Parte dal reale, in questo caso la storia dell’arte, per generare un nuovo codice stilistico, che è espressione della società tecnologica in cui viviamo. Oggi, noi usiamo algoritmi matematici per svolgere qualsiasi attività quotidiana; e Quayola pone l’occasione per utilizzarli nel mondo tradizionale e dogmatico dell’arte. In questo modo apre nuovi mondi, dove però i sensi umani restano immutati e al centro di ogni esperienza intellettuale.


Credits

Tutte le Immagini sono a cura dell’autore.

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