Quando la politica (ri)scrive la storia

Eric Zemmour, il caso del “Barone Nero” e Beloved: che cos’hanno in comune l’astro nascente dell’estrema destra francese, le presunte relazioni fra ambienti neofascisti e alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, e un romanzo americano del 1987?

Siamo di fronte a tre palesi indicatori dell’onerosa presenza, si potrebbe dire dell’ineliminabilità, del tema della memoria storica all’interno del dibattito politico, anche quello della strettissima attualità. Le dichiarazioni a tinte antisemite del papabile candidato alle elezioni presidenziali francesi del 2022, il contenuto del reportage condotto dalla testata diretta da Francesco Cancellato, e per ultimo l’utilizzo strumentale del classico di Toni Morrison all’interno della campagna elettorale per il governatorato della Virginia, non fanno altro che portare alla nostra attenzione ciò che spesso tendiamo a seppellire attraverso la rimozione o la superficialità: la memoria storica è viva e il conflitto fra le sue differenti “versioni” lacera la nostra società nel profondo.

Generation Z

Ammesso che si presenti ai nastri di partenza (ha alle spalle diverse condanne, fra istigazione all’odio e molestie sessuali), Eric “Z” Zemmour, saggista, giornalista e soprattutto personaggio televisivo di grande notorietà in patria, è destinato a rappresentare la “variabile impazzita” della corsa all’Eliseo. Non fosse altro perché i sondaggi più recenti attestano il suo avvenuto sorpasso ai danni di Marine Le Pen nel percorso che dovrà arrivare a definire il rivale dell’attuale presidente, Emmanuel Macron, esponente di “En Marche!”. Zemmour appartiene a una famiglia di ebrei d’Algeria, o, come preferisce lui, “ebrei berberi”.

Eppure, le dichiarazioni recentemente rilasciate come opinionista a CNews, la tv del magnate Vincent Bolloré, hanno portato alla luce le venature di sfacciato antisemitismo che ne animano la dialettica. Zemmour ha sostenuto il falso storico secondo cui il maresciallo Philippe Pétain avrebbe “sacrificato gli ebrei stranieri per salvare quelli francesi”; ha recuperato uno slogan dei rivoluzionari del 1789 (“Agli ebrei tutto in quanto persone, nulla in quanto nazione”); è arrivato a contestare la decisione storica del presidente Jacques Chirac di riconoscere le responsabilità dello Stato francese nella retata degli Ebrei al Vel d’Hiv, il Velodromo d’Inverno. Insomma, un’opera di riscrittura della storia e della memoria storica che lo vede impegnato con straordinaria ostinazione.

Fasci di finanziamento

È un lavoro sul campo della durata di due anni quello che ha consentito a Fanpage di fare emergere presunti addentellati fra ambienti neofascisti e il partito guidato da Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Sono coinvolti, in quella che gli esponenti della formazione di centrodestra si sono affrettati a etichettare come “la solita macchina del fango, un membro del Consiglio Comunale della città di Milano (candidata, ai tempi dell’inchiesta), Chiara Valcepina, e Carlo Fidanza, capo degli europarlamentari di FI, ora autosospeso dalla carica.

I due – che nei video proposti nella trasmissione di La7 Piazzapulita si producono in gesti ed espressioni apologetiche del fascismo – avrebbero intrattenuto rapporti con Roberto Jonghi Lavarini, esponente di ambienti del neofascismo meneghino, che avrebbe sostenuto la candidatura di Valcepina e che ora è indagato (insieme allo stesso Fidanza) per le ipotesi di reato di riciclaggio e finanziamento illecito al partito.

L’inchiesta, secondo Meloni, sarebbe l’ennesimo veicolo impiegato dagli avversari politici per suscitare nell’elettorato la “paura dell’eterno fascismo”; una paura che tuttavia sembra essere più che giustificata, come dimostra l’assalto alla Cgil di Roma del 9 ottobre, cui hanno preso parte attiva Giuliano Castellino e Roberto Fiore, leader della formazione dichiaratamente neofascista di Forza Nuova.

Madri e figli

Le elezioni per la carica di governatore della Virginia, tenutesi il 2 novembre scorso, hanno premiato – a sorpresa – il candidato repubblicano Glenn Youngkin, che ha così sconfitto il favorito democratico, l’ex governatore Terry Mc Auliff.

Ha fatto discutere la presenza, all’interno di uno degli spot della campagna di Youngkin, di una donna, di nome Laura Murphy, che era già salita agli onori della cronaca nel 2012, quando aveva cominciato una campagna arrivata fino al parlamento statale. La sua protesta derivava dal “disgusto”, sperimentato dal figlio liceale Blake, nel corso della lettura del romanzo Beloved (Amatissima il titolo della versione italiana): un classico della letteratura statunitense del secondo Novecento, scritto dal premio Nobel Toni Morrison, la prima afroamericana a essere insignita del riconoscimento nella storia del Nobel, e pubblicato nel 1987.

Come si legge nella prefazione all’edizione italiana, il romanzo sviluppa la storia (vera) di Margaret Garner, “una giovane madre che, dopo essere sfuggita alla schiavitù, fu arrestata per aver ucciso la figlia (e aver cercato di uccidere anche gli altri figli) pur di non farla tornare nella piantagione”.

Il disgusto di Blake era dovuto alle scene sessualmente esplicite che costellano il romanzo. E fu effettivamente il diritto di “evitare ai figli letture esplicite” l’oggetto della legge proposta da Laura e approvata dal parlamento della Virginia; a quel punto, tuttavia, fu Mc Auliff a vietarne la promulgazione applicando in due occasioni il diritto di veto previsto per la sua carica. Nello spot, la madre di Blake accusa Mc Auliff di aver “silenziato” in questo modo lei e le altre madri preoccupate per la decenza delle letture dei figli.

Ma il dibattito in materia è subito slittato a un piano decisamente diverso rispetto a quello dell’esplicitezza del linguaggio e delle immagini di Morrison: Mc Auliff ha sostenuto che quello del suo rivale non fosse altro che “un messaggio in codice razzista destinato alle frange più estreme del partito e al suo principale sostenitore, Donald Trump”, Youngkin ha risposto con la promessa di affrancare le scuole del suo stato dalla “critical race theory”, dottrina di sinistra secondo cui l’America avrebbe sviluppato e fatto introiettare ai giovani studenti forme di razzismo sistemico.

La storia conta, eccome

In conclusione: in un mondo sempre più arenato in un perenne presente, la memoria storica continua ad avere un ruolo determinante nel plasmare l’identità collettiva e individuale. Ogni Paese deve farci i conti, e una forzata rimozione non è altro che una dimostrazione del contenuto che freudianamente potremmo definire “perturbante” a essa associato. Ogni scrittura della storia è sempre una riscrittura, e l’acquisizione di una prospettiva neutrale e oggettiva è uno stolto miraggio; l’uso della memoria storica in funzione della propaganda politica, per i motivi sopraccitati, è una pratica impossibile da estirpare, quella della falsificazione deformante una grave deriva da combattere con l’arma della conoscenza.

FONTI

www.corriere.it

www.fanpage.it

www.corriere.it

www.corriere.it

T. MORRISON, Beloved, Sperling e Kupfer, 2013

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Un commento su “Quando la politica (ri)scrive la storia”