“La mafia uccide, il silenzio pure”. Intervista a Luisa Impastato, nipote di Peppino Impastato

Qual è l’impegno promosso dalla Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato? Quali sono le sue principali iniziative?

Casa Memoria, che è la casa in cui vissero Peppino e la madre, mia nonna, fino alla sua scomparsa nel 2004, oggi rappresenta soprattutto l’eredità lasciataci da lei la quale ha speso ogni giorno della sua vita, dopo la morte del figlio, nel tentativo di non oscurarne la memoria, a parlarne e a ricordarlo. La sua volontà era che questa casa rimanesse sempre aperta a quanti vogliono informarsi e sentire la sua storia, a chi sposa le idee di Peppino. Le porte di Casa Memoria sono dunque sempre aperte con questo obiettivo soprattutto alle migliaia di giovani e di studenti che varcano questa soglia durante l’anno. Da qui, inoltre, partono tutte le nostre iniziative sul territorio di sensibilizzazione alla legalità e all’antimafia, ma non solo, perché pensiamo che per arginare e distruggere il problema mafioso sia necessario fare leva su tanti fronti: la cultura soprattutto, e quindi l’arte, l’ecologia, la promozione di uno sviluppo economico e sostenibile, partendo sempre dal consolidamento della memoria storica, che è la base su cui costruire il futuro.

Cosa caratterizza Peppino Impastato nella sua lotta e nella sua attività giornalistica? Cosa può dire oggi ai giovani, qual è la parte più importante della sua storia e del suo messaggio da custodire e tramandare ai posteri?

Peppino era un ragazzo come tanti, una ragazzo semplice, ma ciò che lo caratterizzava era un amore smodato per la sua terra e una sete di onestà e giustizia che non poteva fargli accettare che proprio questa venisse martoriata e devastata. Inizia la sua attività giornalistica da adolescente, attraverso le sue inchieste che pubblica sul giornalino ciclostilato «L’idea socialista», con nomi e cognomi dei responsabili del malaffare locale e dei politici conniventi… E continuerà a farlo anche dopo, durante tutta la sua attività politica. Peppino lo faceva per la sua scelta di avversione alla mafia, al malaffare, alle connivenze che riguardavano il potere costituito del tempo. L’aspetto dell’esperienza di Peppino che mi piace sottolineare soprattutto quando parlo ai ragazzi è che, nonostante la sua appartenenza a un ambiente mafioso, quello del padre, lui non solo lo rinnega, ma lotterà per tutta la vita contro di esso. Peppino, nonostante amasse suo padre, non poteva accettarne e condividerne le scelte, perché lo avrebbero reso schiavo: lui invece decide di non seguire la via più semplice, quella tracciata dal padre, proprio per poter vivere da uomo libero.

Che cosa ha significato e significa tuttora l’impegno assunto da Giovanni e Felicia, in seguito alla rottura con la parentela mafiosa, nel raccogliere prove e presentare denunce per far riaprire l’inchiesta giudiziaria sull’omicidio di Peppino e poter avere un processo, conclusosi a distanza di moltissimi anni?

È stata sicuramente una lunga storia di resistenza durata più di vent’anni, nel corso dei quali sono stati sicuramente tanti i momenti di scoramento, ma io non ricordo mai, sebbene fossi piccola, un momento in cui la mia famiglia abbia pensato di gettare la spugna. Mia nonna è stata una delle prime donne nella storia della mafia, o dell’antimafia, a decidere di preferire la via della giustizia alla vendetta, la lotta al silenzio. Il suo esempio rompe i canoni tradizionali che vedevano la donna costretta a piangere in silenzio i propri cari, annullandosi completamente. Credo che sia stata d’esempio per molti.

Che cosa ha significato e a che tipo di iniziative ha dato l’avvio la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia del nostro Paese il 9 maggio del 1979, organizzata dal Centro siciliano di documentazione e a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutta Italia?

Non posso avere memoria di quei primi momenti di lotta, perché sono nata nel 1987, ho vissuto quindi un’altra fase di questa storia. Tuttavia so che quella manifestazione, organizzata proprio a Cinisi, paese in cui regnava incontrastato e a piede libero Gaetano Badalamenti, è stato un importante momento di presa di posizione. Questo ha dato l’avvio a tutta una serie di iniziative che si sono susseguite negli anni successivi soprattutto in memoria di Peppino, come a voler sottolineare che, nonostante le difficoltà, anche e soprattutto giudiziarie, la famiglia e i compagni di lotta avrebbero continuato comunque a gridare a chiedere giustizia e a dare voce alle idee in cui credeva Peppino.

Che cos’era e cos’è oggi la mafia? Come si sono evoluti gli strumenti adoperati dalle organizzazioni mafiose e i loro obiettivi?

È evidente che la mafia oggi abbia cambiato i propri centri di interesse. Sebbene le connivenze con il potere costituito siano alla base della metodologia mafiosa dagli albori, le vicende più recenti ci dimostrano come si stia insinuando con più forza nei centri finanziari e di potere. La mafia oggi agisce diversamente dagli anni di Peppino, in cui il potere del boss era incontrastato e riconosciuto, trovando sconveniente l’esposizione mediatica. Perciò è più difficilmente riconoscibile e individuabile e, per questo, non meno pericolosa, al contrario.

Che cosa significava e cosa vuol dire oggi impegno e lotta contro la mafia? Quanto e come si sono evoluti i mezzi e le tecniche di lotta antimafia?

Oggi parlare di antimafia è diventato troppo facile. Non sono pochi i casi di persone che si ergono a paladini dell’antimafia per poi avere problemi con l’ambiente mafioso – vedi Cuffaro, o Helg. L’impegno antimafia è un lavoro che si svolge quotidianamente, un impegno che si verifica anche nella scelta di vivere onestamente non lasciandosi influenzare dai giochi del compromesso, del favoritismo, dell’illegalità. Bisogna poi che le istituzioni incoraggino chi spende la vita nella lotta alla mafia, come i giudici o le forze dell’ordine che spesso non hanno i mezzi adeguati per portare avanti, praticamente, il contrasto alla criminalità organizzata. Fondamentale dovrebbero essere l’impegno, da parte delle istituzioni, di educare alla legalità, a partire dalla scuola – anche se per quello dovrebbero dare prima l’esempio.

La legge Severino, che doveva colmare i buchi lasciati dalle norme precedenti, si rivela peggiore: le pene alzate per concussione e corruzione di fatto non opereranno essendo salvi i concussori per induzione (quelli che non usano le armi), il reato di contrarre voti mafiosi in cambio di favori non c’è se manca la prova che il mafioso ha avvertito il politico di trovare le preferenze usando metodi intimidatori (cioè mai)… “Fatta la legge trovato l’inganno”, anche se contro la mafia bisognerebbe attivare e impiegare ogni strumento possibile, a partire da quello legale. Cosa pensa al riguardo?

Penso che la strada sia ancora lunga… e in salita. Come dicevo prima, se il potere mafioso ha allargato i suoi interessi e i suoi contatti nelle stanze del potere è perché gli viene facilmente permesso. Dovremmo innanzitutto pretendere che chi ci rappresenti non abbia mai avuto contatto con la criminalità organizzata… Per quanto riguarda le norme in merito, si è spesso tentato di eludere l’efficacia delle leggi già vigenti. Se si volesse debellare davvero il fenomeno mafioso questo non dovrebbe succedere.

Procopio Di Maggio ha celebrato il suo centesimo compleanno con tanto di fuochi d’artificio in un ristorante; da una testata all’altra è rimbalzata la notizia che Cinisi stesse festeggiando un boss… Giangiacomo Palazzolo, sindaco di Cinisi, ha subito affermato che il suo non è un paese mafioso. Cosa pensare di una notizia così, ma soprattutto di una strumentalizzazione forse eccessiva che è stata fatta al riguardo? Non sarebbe meglio dare visibilità a un altro tipo di celebrazioni?

Sì, penso che sia stata eccessiva la visibilità e l’importanza che è stata riservata all’evento. La celebrazione è stata privata, non pubblica, come si è cercato di far trapelare. È innegabile che il boss in questione venga ancora ossequiato e riverito da tanta gente di Cinisi che si è pubblicamente (tramite social network) anche premurata di fargli gli auguri, ma generalizzare non è giusto. Molte cose sono cambiate per fortuna, sebbene il nostro rapporto con Cinisi non sia ancora facile e sia ancora radicata una mentalità che non ripudia gente come Procopio di Maggio, ma continua a rispettarlo, nel corso degli anni si sono aperte grandi brecce, soprattutto con i giovani del luogo, a cui spesso sono rivolte le nostre attività e le nostre iniziative.

Il Mezzogiorno e, in particolare, la Sicilia: terra “benedetta” e “maledetta” al contempo, perché amarla e come cambiarla se è possibile farlo, di che cosa c’è bisogno.

La Sicilia è una terra bellissima, non amarla e non odiarla è impossibile. Abbiamo tutto e non riusciamo a valorizzarlo. Siamo il frutto di tanti popoli e tante culture che si sono susseguiti nel corso dei secoli e ogni angolo di questa terra ha una sua storia, una sua specificità. Purtroppo il cancro che l’ha divorata e che continua a farlo è fin troppo radicato, tanto che spesso fa parte dei nostri atteggiamenti, della nostra cultura, della nostra forma mentis, per cui quello che auspico e che credo sia necessario, al di là del lavoro che spetta agli organi di competenza e alle istituzioni, è quello di maturare una coscienza civile che sia libera da questo tipo di condizionamenti, che sia libera dalla cultura del favoritismo, del clientelismo, del compromesso. Senza questa catarsi culturale la nostra amata isola stenterà sempre a emergere. In questo è fondamentale anche il ruolo della memoria, ma che non sia fine a se stessa: che serva da monito per non commettere gli stessi errori e da esempio da cui provare a ripartire.


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