USA, il feticismo radicato delle armi domestiche

In meno di dieci giorni gli americani hanno assistito a due sparatorie di massa – in Texas, il diciottenne Walter Ramos uccide diciannove bambini e due insegnanti nella scuola di Uvalde; a Buffalo, NY, un ragazzo spara in un centro commerciali mirando solo a uomini e donne di colore mentre con una GoPro trasmette il massacro su Twitch.

Ma non si tratta di casi isolati, altri spari riecheggiano in tutto il paese: a Phoenix in un centro commerciale dell’Arizona; ad Ames nello stato dell’Iowa; a Laguna Woods in California. In totale cinque sparatorie in due settimane. Tra il 14 maggio e il 2 giugno l’opinione pubblica americana ha dovuto fare i conti con l’amarezza di una inviolabile libertà individuale che ogni anno sacrifica centinaia di innocenti. Torna il dibattito sulle armi. C’è chi colpevolizza le lobby, chi i repubblicani, chi la giurisdizione. Nel frattempo il feticismo americano per le armi si fa sempre più radicale (e carismatico).

Un diritto discutibile

Secondo le stime di Gun Policy, solo nel 2020  sono morte 45.222 persone sotto i colpi di un’arma da fuoco. È quanto accade negli Stati Uniti, un paese che conta 393 milioni di armi da fuoco su 329 milioni di abitanti. Il paese in cui  abbondano i tutorial su come acquistare una pistola online, lo stesso paese in cui la prima causa di morte infantile sono i proiettili.

La vicenda della scuola di Uvalde ha scosso l’apparato politico locale e nazionale, dando la possibilità ai due partiti di riempirsi la bocca di nuove sciabolate nazionaliste o far leva sull’elettorato inorridito. Il dibattito sul “control gun” si è riacceso in tutti i media americani e vede schierate le due fazioni con i repubblicani che cercano di tutelare l’industria bellica e i democratici, sostenuti da Biden, che vogliono legiferare su nuove restrizioni per l’acquisto e l’utilizzo di armi – anzitutto alzare l’età minima a ventuno anni. «Dobbiamo fare qualcosa questa volta», dichiara Biden: «non si tratta di strappare le armi a qualcuno o diffamare chi ha armi legalmente» ma chiedersi «quante altre carneficine siamo disposti ad accettare?».

Le radici del fascino delle armi

Dopo la sparatoria di Buffalo avvenuta per mano di un giovane suprematista bianco, Biden ha lanciato una provocazione al termine di un discorso dai toni commoventi: «Come nazione, dobbiamo chiederci: quando nel nome di Dio affronteremo la lobby delle armi?»

Negli USA la discussione politica prende di mira anche le discutibili campagne pubblicitarie delle aziende di armi – spesso messe a confronto con quelle del tabacco.  La Daniel Defense, proprio l’azienda produttrice del fucile usato da Walter Ramos contro gli scolari di Uvalde, dopo la strage ha pubblicato l’immagine di un bambino di pochi mesi che impugna un fucile mentre la réclame esorta “Addestrali da piccoli”.

Se una pubblicità simile è “tollerabile” il motivo sta nel fascino bicentenario che risale all’atto costitutivo della società americana. Il Secondo emendamento del 1791 sancisce: “il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto” poiché “una milizia ben organizzata è necessaria alla sicurezza di uno Stato libero”. Si tratta di una vecchia idea costituzionale che tuttavia viene utilizzata per legittimare il possesso di un arsenale che va ben oltre la difesa personale. Sono trascorsi più di duecento anni da quando questo testo è stato scritto e ormai la potenza americana potrebbe non temere più per la sicurezza dei suoi confini.
Secondo lo storico Mario Del Pero, infatti, il secondo emendamento è stato “destoricizzato e decontestualizzato: trasformato in una sorta di feticcio che giustificherebbe, in nome di una libertà individuale sacra e senza limiti, l’assenza di qualsivoglia regolamentazione” relativa alle armi da fuoco.

Negli USA molti cittadini americani – non solo repubblicani – hanno forgiato il proprio senso di cittadinanza anche sul possesso legittimo di armi, secondo un consueto motivetto che da oltre oceano sentiamo intonare spesso anche in Europa: “A casa mia farò quello che voglio con le mie pistole” è il Tweet di Greg Steube, deputato repubblicano, che con un video vuole provocare i democratici mostrando quattro delle sue pistole. L’intento politico? Dimostrare ai follower elettori come i democratici stiano cercando di mettere al bando i caricatori ad alta capacità per limitare l’utilizzo di pistole semplici.

Lobby che difendono i “diritti”

Nel frattempo a fine maggio, a Houston, pochi giorni dopo la sparatoria nella scuola di Uvalde si è tenuto il raduno annuale della National Rifle Association (NRA), la principale lobby delle armi negli Stati Uniti. Nel 1975 la NRA, che oggi conta più di cinque milioni di associati, ha fondato un ramo politico e lobbistico, l’Institute for legislative action con cui agisce proprio per difendere il Secondo emendamento: «Un fine settimana pieno di libertà per l’intera famiglia mentre celebriamo la Libertà, le armi da fuoco e il Secondo Emendamento!» riportava il sito dell’associazione in occasione dell’evento.

Un feticismo tutto americano

Questo arsenale di orgoglio e nazionalismo è stato catturato da Gabriele Galimberti nel progetto fotografico “Gli Ameriguns” vincitore del World Press Photo nel 2021. La sua testimonianza mostra anzitutto che non c’è differenza di colore politico fra chi possiede armi negli USA. In fondo non si tratta di repubblicani o democratici, perché tutti ereditano una consapevolezza culturale legata all’utilizzo legittimo delle armi. All’ultimo incontro dell’International Journalism Festival Galimberti ha raccontato:

Mi è capitato di fotografare gli arsenali più disparati. – ha detto Galimberti – Emblematico quello di un CEO di Google a San Francisco, omosessuale, sostenitore di Obama, sulla carta un democratico progressista ma con un arsenale da fare invidia a un convinto trumpiano. Così come sorprendente è stato quello di un pastore protestante star dei social che alterna sermoni su Gesù e sui fucili. 

In America pistole e fucili sono oggetti “semplici” la cui intrinseca pericolosità è avvolta da un drappeggio di carisma e identità nazionale, per cui possedere un arma significa riappropiarsi delle proprie origini, di quel “sentimento profondo che lega gli americani all’esperienza storica dei pionieri con le diligenze nel vecchio far west”.

Cambiamenti nel mirino

L’attore Matthew McConaughey alla Casa Bianca ha lanciato un appello diretto in merito alla responsabilità politiche e sociali: “Ci troviamo davanti a una finestra di opportunità che non abbiamo mai avuto prima, una finestra in cui sembra che il vero cambiamento possa avvenire”. In effetti la finestra mediatica sta offrendo grande visibilità alla questione, ma sarà abbastanza per sollecitare il cambiamento?

Intanto c’è chi dice che non succederà mai. Il cambiamento non avverrà, né dal Congresso né dal Secondo emendamento o dalle lobby, che pure restano fattori contingenti, perchéin America il diritto di portare armi è incardinato sul principio inviolabile della libertà individuale, poggia sulle idee dell’autopossesso e dell’autodeterminazione, dalle quali discende il diritto di proteggersi“, scrive Mattia Ferraresi: “Il diritto […] della propria sicurezza introduce sulla scena anche il suo rovescio demoniaco: le armi come feroce certificazione dell’indipendenza individuale“. Estirpare il problema sembra impossibile, ma l’opinione pubblica è scossa e nelle strade si riversano fiumi di oppositori.

Occorrono cambiamenti viscerali e complementari: nella legislazione, nelle capacità delle lobby, nell’identità culturale degli americani; e aldilà di ogni espressioni tragica e melodrammatica, forse qualcosa si sta muovendo. Dopo diversi giorni di dibattito, una parte bipartisan del Senato ha raggiunto un accordo preliminare sulla questione del controllo all’acquisto delle armi – specie per gli under 21 – e incoraggiamenti economici per la sicurezza delle scuole. Sono passi incerti, ma Biden si mostra determinato.

FONTI

Mario Del Pero, Libertà e Impero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2016, Laterza, 2017

ValigiaBlu

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IlSole24Ore

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