Mario Puccini: lo chiamavano il “Van Gogh Livornese”

Forse è solo un caso che uno degli artisti più interessanti di fine ‘800-inizio ‘900 porti lo stesso cognome dell’ultimo grande compositore d’opera italiano, Giacomo Puccini. Altrettanto tormentato nelle vicende biografiche e altrettanto geniale nella creazione artistica, il pittore viene rinominato il “Van Gogh livornese” o «Van Gogh involontario». Il suo nome è Mario Puccini e, come l’omonimo collega si staglia nel fecondissimo ambiente artistico toscano di inizio secolo.

Si presenta così ai nostri occhi posteri come uno dei più originali pittori italiani – e in particolare livornesi – di quel periodo. Eppure, non ebbe la stessa risonanza del compositore de La Boheme, Madama Butterfly e Tosca, né la stessa fortuna dei coetanei amici/pittori Benvenuto Benvenuti, Oscar Ghiglia, Gino Romiti. Questi lo compiansero alla sua morte, avvenuta nel 1920 per tubercolosi, a seguito della quale si disunirono. Alcuni di essi diedero così origine a un nuovo gruppo artistico – quello dei cosiddetti Pittori Labronici-, con sede allo storico Caffè Bardi di Livorno. Non a caso è stato scritto che «La morte di Puccini è l’inizio della storia dei pittori labronici» (Sgarbi, 2018). 

Mario Puccini: gli anni della formazione

Come per ogni artista, anche per il dimenticato – e oggi finalmente riscoperto – Mario Puccini è necessario ripercorrere con la giusta sinteticità la sua vicenda biografica. Solo così è possibile addentrarsi appieno nella sua pittura e comprendere i motivi dell’appellativo di «Van Gogh involontario».

Nato nel 1869 a Livorno, figlio del fornaio Domenico Puccini e di Filomena Andrei, Mario cominciò a disegnare e a dipingere fin dagli anni dell’adolescenza. Nonostante lo sdegno iniziale del padre, Puccini ottenne il permesso di iscriversi all’Accademia di belle arti di Firenze, dove iniziò a studiare dal 1884, all’età di 15 anni.

Ritratto fotografico di Mario Puccini (inizio ‘900 ca.)

Gli anni di apprendimento accademici furono determinanti per lo sviluppo dell’attività pittorica di Puccini e gli permisero di prendere parte, soprattutto tra il 1887 e il 1890, alle esposizioni della Società promotrice di belle arti di Firenze, come testimoniano i cataloghi dell’epoca. Significativo in questi anni fu però soprattutto l’incontro con il gruppo dei Macchiaioli e in particolare con il massimo rappresentante di questi Giovanni Fattori. Sin da subito l’artista divenne per un punto di riferimento importante. 

Gli effetti della pittura macchiaiola sulla prima attività artistica di Puccini

Al di là della tecnica pittorica adottata, rivelatori dell’influsso di Fattori sull’attività artistica del giovane Puccini sono soprattutto i soggetti che pone al centro delle sue opere giovanili e lo stile con cui queste sono eseguite. Emerge in particolare un approccio di stampo decisamente realista, con cui il quasi ventenne Puccini esegue soprattutto ritratti, primo leit motiv pittorico della sua ancora acerba attività artistica. 

Un simile approccio stilistico, così come il soggetto pittorico, risultano evidenti nel ritratto di una bambina in preghiera, un olio su tela realizzato nel 1887. Nell’opera in questione, che appare più come un esercizio di stile, piuttosto che il frutto di una vera e propria ricerca poetica, è indubbia l’adozione da parte del pittore di un approccio realista, o forse più correttamente verista. Questo, del resto, si manifesta nella scelta di un soggetto ritratto nella sua quotidiana intimità, ma anche nella scelta dei colori, dominati da tonalità che oscillano tra il rosa del carnato, il violaceo del vestito e il marrone della parete di fondo. L’inquadratura della scena, invece, lontana dalle violente inquadrature fotografiche dei contemporanei impressionisti, risulta ancora molto educata e accademica. 

Una vita di tormenti

Terminati gli studi a Firenze, agli inizi degli anni ’90 Puccini ritorna a Livorno. Qui, forse dopo una cocente delusione amorosa, finisce preda di una grave crisi depressiva che lo costringe a essere ricoverato in un ospedale psichiatrico della città. Successivamente, a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni, troverà rifugio nel manicomio di Siena, dove vi resterà per circa cinque anni. 

Mario Puccini, Bambina nei campi, 1916, Olio su tela

Al termine di questi, Puccini inizia a lavorare presso la trattoria del padre, ma dopo qualche anno, a causa della morte di entrambi i genitori, cade in miseria. Vive in un seminterrato e cerca di guadagnarsi qualcosa come ambulante, realizzando e vendendo in strada aquiloni e giocattoli per bambini, senza però smettere di dipingere, nonostante le condizioni economiche lo portino addirittura a utilizzare l’olio dalle scatole di sardine per miscelare i colori.

Ma è proprio in questi anni, dopo la crisi depressiva e la perdita dei genitori, che Puccini evolve radicalmente il suo stile pittorico. Trova sfogo in una libertà espressiva turbolenta e tormentata, che rispecchia la sua condizione esistenziale, compiendo così quasi la stessa evoluzione pittorica di Van Gogh.

Mario Puccini: il «Van Gogh involontario»

Pur mantenendo gli stessi soggetti pittorici, come la rappresentazione di scorci di vita quotidiana umili e dimessi, lo stile e la tecnica di Puccini evolvono decisamente verso una maggiore espressività pittorica. Questa si manifesta anzitutto nell’utilizzo di cromatismi decisamente più saturati e, per questo, tendenti quasi all’irrealtà. Con tale termine si intende “oltre la realtà”, come se si trattasse di un potenziamento emotivo della realtà osservata e poi incanalata attraverso il filtro delle emozioni. Soprattutto, però, si manifesta nell’impiego di pennellate decise, nervose ed estremamente materiche, cariche di colore, al punto da risaltare in rilievo sulla tela, come si può ben osservare in alcuni dipinti.

Mario Puccini, La torre dell’antico lazzaretto di Livorno, olio su tela

Apripista di questa nuova poetica è l’opera Darsena (1902), che risente molto dell’influenza dei primi fauves francesi. Tuttavia emblematiche sono soprattutto tele quali La torre dell’antico lazzaretto di Livorno, in cui si osservano scelte cromatiche decisamente violente, ma anche la Guardiana di suini, oppure Campagna e Paesaggio con sole. Due dipinti, questi ultimi, nei quali sbalordisce la forte matericità del colore, soprattutto di quel giallo-arancio che sembra quasi spremuto direttamente dal tubetto e su cui Puccini insiste per rimarcare da un lato la fisicità delle spighe di grano e dall’altro lato la potenza dei raggi solari.

Entrambe le tele, proprio in virtù dell’espressività della pennellata e della matericità del colore, ricordano quasi (sebbene il parallelismo risulti esagerato) il Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh. Un pittore con cui Puccini se non altro condivise l’aver vissuto un’esistenza turbolenta, i cui tormenti si riversarono negli sviluppi di uno stile pittorico certamente peculiare. A tal punto da giustificare l’appellativo di «Van Gogh involontario», attribuitogli dal grande storico dell’arte e giornalista Emilio Cecchi.


FONTI

Enciclopedia Treccani

Artribune

Sgarbi V.Il Novecento. Vol. 1: Dal futurismo al neorealismoLa Nave di Teseo, 2018.

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