I paesaggi invernali e le loro declinazioni artistiche

Lenta fiocca la neve pe’ l cielo cinereo: gridi,

suoni di vita più non salgon da la città…

Assistendo alle massicce nevicate che ci hanno sommerso nell’ultimo mese dell’ormai passato 2020, ci basterebbero i celebri versi di Carducci per farne un ritratto. Tutti hanno letto o studiato a scuola, almeno una volta nella vita, le sue celebri poesie, di cui alcune sono perfette per descrivere la portata evocativa delle neve e la forza simbolica dei paesaggi innevati. Così gli artisti, i poeti e i letterati non hanno mai smesso di cercare nel paesaggio naturale quelle corrispondenze di cui parlava Baudelaire. Ovvero quei dettagli con cui stabilire dei legami simbolici per riversare nella realtà ambientale emozioni e stati d’animo.

Per questo i paesaggi invernali, con le loro cime innevate da manti candidi, hanno sempre costituito i contesti ambientali adatti a rappresentare la quiete, il silenzio, l’immobilità e la stasi. Ma utili anche a ritrarre la decadenza, la solitudine e i terribili presagi di morte, esattamente come Carducci, ne Le Odi Barbare, interpreta l’immobilità del paese sommerso dalla neve: “Da la torre di piazza roche per l’aëre le ore / gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dì.” 

I paesaggi invernali del Gotico Internazionale

Ovviamente, accanto ai poeti, chi meglio dei pittori sa appropriarsi della forza creativa della neve e tradurla in capolavoro? Non sempre però, nell’arte figurativa, i paesaggi invernali sono stati assunti come rappresentazione di stati d’animo evocativi. Le prime rappresentazioni di ambienti innevati, e più in generale invernali, risalgono infatti ai secoli ‘400 e ‘500 e li troviamo nei cicli pittorici o miniati deiMesi” (tema molto caro al Gotico Internazionale).

Ciclo dei Mesi (1400 ca)

In queste opere l’ambiente innevato non è altro che un mero elemento di ambientazione per designare e identificare i mesi invernali, in particolare quelli di Dicembre e Gennaio. E in tal senso, un esempio prezioso e curioso, tra i tanti che si potrebbero menzionare, è offerto dalla rappresentazione del mese di Gennaio contenuta nei Ciclo dei Mesi. Si tratta di un ciclo di affreschi databile proprio al 1400, attribuito a Venceslao e realizzato nella sala della Torre dell’Aquila del Castello del Buonconsiglio (Trento).

Maestro Venceslao (attribuito a), mese di Gennaio nel Ciclo dei mesi del Palazzo del Buonconsiglio (Trento)

Qui, tra i dodici mesi rappresentati dal Maestro, ciascuno è legato alle specifiche attività eseguite e connesso al segno zodiacale di riferimento (l’astrologia è un punto cardine dei pittori del Gotico Internazionale). Tra tutti, troviamo anche la rappresentazione del mese di Gennaio, che ci porta ai piedi di un castello, con tanto di torri e ponte levatoio e con un sole tenue che fatica a riscaldare. Al suo fianco, una scritta che precisa il segno zodiacale associato  (‘Sol in Aquario’), mentre lungo le rive di un fiume ghiacciato, tra il paesaggio innevato, un gruppo di dame e cortigiani gioca – ebbene sì – a palle di neve.

La neve nella pittura ottocentesca

Si dovrà però attendere gli inizi del’800 prima che il Romanticismo, con la sua estetica del sublime, assuma il paesaggio invernale come ambiente tipo per la rappresentazione di topoi emotivi e sentimentali. E, sotto questo profilo, tra i più illustri e paradigmatici pittori che meglio hanno interpretato l’estetica propria del paesaggio Romantico, troneggia Caspar David Friedrich. Nella sua pittura, i paesaggi invernali, ghiacciati e innevati sono assai ricorrenti, come emblemi di contesti isolati, desolati e malinconici. Sono proprio questi i temi che emergono potentemente nel Paesaggio invernale del 1811, esposto attualmente alla National Gallery. 

C. David Friedrich, Roccia tra le nevi, 1807

Attraverso una stesura del colore d’ambiente pressoché perfetta e realistica, Friedrich realizza un capolavoro di pittura paesaggistica. Così, in un paesaggio immerso nella neve e nella bruma invernale, emerge in lontananza l’imponente sagoma di un’architettura gotica, slanciata verso l’alto, mentre al centro della scena osserviamo un gruppo di abeti e di rocce che si stagliano sul bianco dell’atmosfera. Tra i rami e le fronde aghiformi del primo pino si scorge a malapena un crocefisso. E ai piedi di questo, invece, si scorge un povero mendicante che sembra essersi accasciato ad una roccia, dopo aver lasciato le due stampelle sparse sul terreno innevato. 

Il primato di Friedrich

Di conseguenza, l’abilità del pittore nel rappresentare in modo meticoloso, preciso e calibrato tutti gli elementi del paesaggio, raggiunge in questo dipinto fotografico uno dei più alti livelli di qualità rappresentativa. E, non a caso, Friedrich fu un vero maestro della pittura paesaggistica romantica, la cui capacità di rappresentazione ambientale non ha eguali.

C. David Friedrich, Paesaggio invernale, 1811, National Gallery (London)

Vi è poi da considerare la carica simbolica che reca il dipinto. L’elemento religioso e ruderistico, qui accennati nel crocefisso e nella struttura in lontananza, sono delle costanti nelle opere del pittore. In quest’opera però, ancora una volta è la natura che domina incontrastata – in linea con l’estetica del sublime – e si impone ai nostri occhi come incontrollabile forza dominante. L’uomo appare quindi piccolo e indifeso di fronte all’immensa mole delle forze naturali, proprio come il mendicante accasciato alla roccia.  E la forza artistica di un paesaggio invernale sta proprio in questo, nella poesia mirabolante dettata dalla natura. 


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