I merletti di Palazzo Morando

Dal 6 aprile al 30 giugno le stanze di Palazzo Morando hanno ospitato il progetto “Merletti e Design. Intrecci creativi a Cantù dal ‘900 a oggi“. Oltre all’esposizione permanente, che racconta la storia di Milano, al centro delle sale sono state installate per l’occasione alcune teche contenenti merletti, dai più lineari ai più sofisticati.

La mostra, organizzata dal ‘Comitato per la promozione del Merletto-Cantù‘, vuole evidenziare il prestigio di quest’arte. Cantù nel ‘900 è stata sede di ricerca e di innovazione. Nel secolo precedente, invece, qui si producevano semplici bordature o scialli, in voga in quel periodo. L’economia legata al merletto non aveva legami solo con gli stabilimenti italiani, ma anche con quelli francesi o belgi. Il successo stava anche nello spirito di rinnovamento, influenzato dalle correnti artistiche, come quella rococò o rinascimentale.

Perché proprio Cantù? Perché qui nel 1900 furono fondate le Manifatture Riunite Merletti da tre commercianti esperti del settore grazie ad una tradizione familiare. L’aggettivo ‘riunite’ sottolinea la volontà di raggruppare il meglio disponibile a quell’epoca: disegnatori formatisi a Brera, laboratori, operaie addette alla lavorazione con una certa esperienza. Infatti, da questo progetto vennero creati preziosi merletti, visti come pezzi unici e premiati in mostre di ogni livello, proprio per l’elevata qualità.

A Cantù c’era anche una Scuola d’Arte Applicata all’Industria. Corsi che permettevano di specializzarsi nel mobilio o nel merletto. Alla base di questo tipo di educazione c’era il disegno: si imparava a disegnare tramite la copia di progetti già esistenti, pronti per l’ornamentazione di abiti. I disegni delle allieve, se considerati eccellenti, venivano in seguito venduti.

Per rendere ancora più prezioso il merletto italiano, l’attività negli anni ’30 si trasferisce a Milano. Con la vetrina di artisti fornita dalle Triennali di Milano si sviluppa così uno stile moderno e tutto italiano, visto che la maggior parte di questi erano legati a Gio Ponti. Ma sempre negli anni ’30, il merletto incontra una crisi. Questa è dovuta all’impulso indirizzato al rinnovamento che però non funzionò come previsto: ciò apparì estraneo agli allievi, ma soprattutto agli artisti più anziani. Il rinnovamento ebbe effetti positivi solo nel campo del mobilio, elaborando fantasie da riprodurre sul legno da intagliare. Forse questa disparità delle conseguenze è dovuta al fatto che nell’arredamento si presentavano esigenze nuove, mentre nell’abbigliamento i merletti più antichi erano anche i più preziosi.

Il merletto è una lavorazione artigianale nata in Italia. Con ‘merletto’, ‘pizzo’ o ‘trina’ si indica un intreccio di fili sulla base di un supporto. Si possono intrecciare i fili di cotone o di lino con fuselli o aghi. L’effetto visivo e il prestigio dipendono dal materiale utilizzato. I merletti ad ago si svolgono tramite nodi e sono i più antichi. I fuselli si sviluppano intorno alla fine del ‘400, come evoluzione del telaio. Per lavorare con quest’ultima tecnica ci voleva il tombolo, un cuscino circolare ed i fuselli erano allungati, piccoli e di legno.

Per realizzare il merletto occorrono due fasi: progettuale ed esecutiva. Nella prima, scendono in campo un creatore e un disegnatore, che riporta il progetto iniziale sul cartoncino, forato per la lavorazione con fuselli. L’esecuzione si deve tutta alle donne: sono loro a tramandare l’attività nei secoli. Spesso si insegnava l’arte del merletto nell’ambito familiare, oppure in scuole-laboratori specializzate. Un ruolo importante nella sopravvivenza del merletto lungo la sua storia ce l’hanno le monache e i mercanti.

Come veniva considerata l’arte del merletto dagli stessi produttori? In alcune interviste, gli artisti vedono il merletto come una poesia che affascina, ma che richiede anche molto impegno (una lavorazione può richiedere anche 600 ore). Non è solamente una tradizione o un pezzo di storia della propria famiglia, come spesso si pensava, ma è un lavoro a tutti gli effetti, che non potrà mai subire gli effetti dell’industrializzazione. La fatica non è spesa solo nell’elaborazione, ma soprattutto nella ricerca di una propria identità, quindi di un proprio tratto.

Queste opere esposte dimostrano come un’arte così antica non perda mai il suo fascino. Bisognerebbe preservare questa tecnica e non smettere mai di aggiornala alle mode contemporanee.

“Ritorno a casa”, tovaglia di cotone, 140 x 140 cm

 

“Autoritratto”, 61 x 61 cm, merletto a fuselli con cotone colorato

 

 

 

 

 

 

 

 

 


FONTI
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