DOSSIER| QUELLO CHE (FORSE) NON SAPEVATE SU IRAN, SESSO E AIDS

La Repubblica Islamica d’Iran, nella percezione comune, è il paese del petrolio, della pena di morte e delle centrali nucleari. È uno degli “stati canaglia”, finanziatori del terrorismo, che stanno in cima whish list dei bombardieri di più di una potenza occidentale. Questa è, all’incirca, l’immagine che i media offrono di questo Paese. Che l’Iran non sia uno stinco di santo, è indubbio. La regione in cui si trova, in generale, non è propriamente una scuola di educande. Ogni Stato ha le sue luci e le sue ombre, in proporzioni che variano a seconda dei casi. Sicuramente però la Repubblica Islamica d’Iran è uno tra gli Paesi più invisi all’immaginario occidentale. I motivi sono svariati, e le immagini degli omosessuali che penzolano dalle gru o delle donne intabarrate in manti neri non sono un elemento ininfluente nel forgiare i giudizi su questo Paese.

L’Iran, o Persia, ha una storia millenaria, di cui la Repubblica Islamica rappresenta solo il capitolo più recente. Il Paese è a maggioranza sciita, che a sua volta è una minoranza all’interno dell’Islam (contrapposta ai sunniti che sono circa il 90% della popolazione islamica mondiale). Sarebbe troppo complesso addentrarsi nelle questioni dottrinali, ma fatto sta che la Persia/Iran si è sempre trovata in posizione conflittuale con larga parte del mondo islamico. Nel 1979 una serie di disagi interni (anche, e soprattutto, di carattere economico), si coagulò intorno alla figura carismatica di Khomeini, un giurisperito islamico che, per via delle sue posizioni nei confronti dello scià, era stato esiliato. La rivoluzione che scoppiò portò alla caduta della monarchia e all’instaurazione di un particolare regime che sarebbe riduttivo definire teocratico. La legittimazione del potere politico deriva da Dio e passa attraverso gli esperti di Islam (gli ayatollah, come Khomeini). Nondimeno, accanto al potere di questi esponenti del clero sciita, vige l’istituto delle (più o meno libere) elezioni del Parlamento e del Presidente della Repubblica.

Lo stato iraniano è quindi un curioso ibrido che si barcamena tra una rigorosa osservanza della legge islamica e un assetto istituzionale che prevede dei meccanismi elettivi a suffragio universale. Un’unione di teocrazia e stato liberale che deve aver richiesto un notevole sforzo di fantasia per essere concepita. Ora, pochissimi hanno la competenza per produrre un discorso sensato su Islam e democrazia. Tutti, invece, hanno la possibilità di crearsi dei pregiudizi, e i pregiudizi sull’Iran sono così radicati che hanno quasi cristallizzato l’immagine di questo paese nel locus horridus paradigmatico della barbarie che regna nelle polverose lande del Levante. Ma come spesso capita, là dove il senso comune genera un appiattimento, bisogna invece aspettarsi di tutto. Ad esempio, il fatto che il Paese degli omosessuali impiccati e del divieto di abortire e delle donne velate sia anche il primo stato del Medio Oriente ad aver prodotto profilattici autoctoni.

Una donna iraniana. Nonostante la stretta sull’abbigliamento, oltre il 60% degli studenti universitari in Iran sono donne.

All’indomani della Rivoluzione, l’Iran fu impegnato in una difficile guerra con il suo vicino di casa, l’Iraq del sunnita Saddam Hussein. La guerra durò un decennio e produsse una disastrosa emorragia demografica, a cui il governo rispose con una puntuale politica di supporto alla natalità. Così, verso la fine degli anni ’80, la popolazione cresceva del 3% annuo, una delle percentuali più alte al mondo. Finita la guerra, le Repubblica si accorse però che si trovava tra le mani una bomba demografica difficile da gestire: nel 1976 gli iraniani erano 30 milioni, dieci anni dopo erano diventati 50 milioni, e avrebbero superato i 100 entro il 2006. Un aumento della popolazione che avrebbe generato un impatto economico disastroso.

Così, gli ayatollah cambiarono bruscamente atteggiamento: dal sostegno alla natalità allo sdoganamento della contraccezione per limitarla. Non si tratta solo di quella fabbrica di profilattici citata sopra (70 milioni di condom all’anno, di vari colori e spesso venduti con nomi inglesi per renderli più allettanti, prodotti da un impianto in cui lavorano prevalentemente donne). Lo Stato ha pubblicizzato anche la vasectomia (gratuita per chiunque voglia sottoporvisi) ed introdotto corsi obbligatori di educazione sessuale per le coppie che intendono sposarsi. Nel quadro della nuova politica in campo sessuale si colloca anche la nota questione dell’operazione per il cambio di sesso, a cui gli ayatollah hanno trovato un fondamento giuridico. In Iran non si può essere omosessuali, ma se un uomo vuole stare con un altro uomo può diventare donna: ciò è ritenuto “coranicamente” lecito, a differenza del rapporto puramente omosessuale. Inoltre si elimina il potenziale riproduttivo di una parte, pur marginale, della popolazione.

La battaglia degli ayatollah contro l’eccesso di natalità è passata anche per altri metodi. È stato dichiarato che l’Islam favorisce famiglie con al massimo due figli. Sono stati tagliati i sussidi alle famiglie numerose e ridotto il welfare, mentre si è accentuata la battaglia contro i rapporti sessuali extramatrimoniali. Alla fine, la lotta senza quartiere alla natalità ha dato i suoi frutti. La crescita della popolazione è crollata al 1,2% annuo, e nel 2006 l’Iran ha contato una trentina di milioni di abitanti in meno di quelli che erano stati pronosticati.

Ali Khamenei, l’ayatollah che  nel 1989 è succeduto a Khomeini (sullo sfondo) nel ruolo di Guida Suprema dell’Iran

Ma c’è un altro aspetto, inquietante ed interessante allo stesso tempo, che riguarda il tema della sessualità in Iran, e cioè quello dell’AIDS. Anche in questa parte di mondo, di cui ci interessano soprattutto i reattori nucleari e i messaggi minacciosi declamati da signori in barba e turbante, si vive e si muore di malattie sessualmente trasmissibili. Anzi, dall’inizio del secolo l’Iran ha scoperto la propria impreparazione di fronte alla diffusione del virus, che trova terreno fertile in due contesti: il sesso non protetto nel contesto della prostituzione e il consumo di droga (favorito dalla vicinanza dell’Afghanistan). La presenza dell’AIDS in Iran iniziò ad essere tracciata nella seconda metà degli anni ’80, e ad oggi il governo stima che le persone con l’HIV siano circa 66.000. Di queste la metà hanno un’età compresa tra i 21 e i 35 anni, e forse 30.000 non sanno di aver contratto il virus.

Il 2,1% delle prostitute e il 9,3% dei consumatori di droghe per iniezione hanno contratto il virus, tuttavia il problema riguarda anche la popolazione giovane che è dedita a rapporti sessuali non protetti. Se ormai ogni madre iraniana è obbligata a fare dei test per prevenire l’eventuale trasmissione del virus al feto, la prevenzione nella popolazione generale è ancora molto lacunosa. L’Iran si è mostrato molto reattivo in alcuni settori della lotta all’AIDS, come la stretta su droghe e prostituzione. Inoltre le cure somministrate ai malati sono molto puntuali e la mortalità sta rapidamente diminuendo. Ma sul versante della prevenzione ci sono state molte difficoltà. Nonostante la produzione di preservativi e le disinvolte politiche che sono state descritte sopra, la Repubblica Islamica resta un luogo in cui parlare di sesso è ancora un tabù. È quindi difficile implementare un’efficace politica di prevenzione che passi anche, ad esempio, dall’istruzione scolastica.

Il governo ha aperto un sito internet (sfortunatamente solo in persiano) per mettere a parte la popolazione sul rischio dell’HIV e sulle misure di prevenzione; sul territorio della nazione sono operanti 157 centri medici statali in cui è possibile eseguire il test e ricevere assistenza in caso di bisogno. Sono però alcune iniziative individuali che suscitano più interesse. Ad esempio quella dell’app “Hamdam”, ideata da Soudeh Rad, un’attivista iraniana che risiede in Francia. L’app è studiata per fornire nozioni di educazione sessuale alle giovani iraniane; combinando discrezione e rottura dei tabù, questo strumento permette alle ragazze di acquisire delle conoscenze nel campo della sessualità che altrimenti non sarebbero facilmente disponibili. Lo scopo della app è sia combattere le malattie sessualmente trasmissibili, sia esortare le donne all’uso dei contraccettivi per evitare gravidanze indesiderate. A ciò si affianca anche la sensibilizzazione verso malattie come il cancro al seno o il supporto in caso di violenza domestica.

Tehran innevata. Nella capitale iraniana vivono circa 15 degli 80 milioni di abitanti del Paese

Infine, bisogna menzionare un dato di enorme importanza, che rende la Repubblica Islamica un caso unico nella regione. Nonostante le difficoltà, l’Iran è l’unico Paese del Medio Oriente ad aver aderito alle linee di UNAIDS, il programma delle Nazioni Unite che ambisce a sopprimere la minaccia dell’AIDS, a livello globale, entro il 2030. Nelle strade di Tehran è probabilmente ancora un problema parlare di certe cose, ma non si può dire che la Repubblica islamica non stia tentando di prenderle di petto. Forse in modo anche più volenteroso di molti altri Paesi.

In conclusione, non è che qui si voglia fare un’apologia della Repubblica Islamica d’Iran. Che sia uno stato dalle politiche controverse è innegabile. Che molti diritti umani non vi trovino spazio, è sotto gli occhi di tutti. Si potrebbe anche azzardarsi a chiamarla una “repubblica di preti”, data la vasta ed asfittica egemonia che vi esercitano le élite religiose. Tuttavia occorre sempre guardare sotto la stratificazione dei luoghi comuni. Nessuno persona assennata vorrà credere che l’Iran sia solo uno dei regni del male che incombono extra moenia Europae. Non dopo aver rilevato che anche questo Paese fa fronte in modo efficiente e pragmatico, nei limiti della sua situazione interna, a problematiche che superano i confini degli Stati e riguardano tutto il genere umano, indipendentemente dalla religione e dalla politica.

 

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