Tina Modotti al Mudec: la fotografa che testimoniò un secolo

[…] Ti ho visto appena. Ma fu abbastanza

per ricordarti e capire ciò che eri:

l’umano fervore delle tue fotografie

volti malinconici del Messico, paesaggi

quell’amore negli occhi che fissavano ogni cosa.

Con queste parole, il poeta spagnolo Rafael Alberti Merello, volle descrivere e ricordare un’amica. Non solo, ma anche una delle fotografe di maggior rilievo del suo tempo, per alcuni della storia: Tina Modotti. La sua firma incornicia una figura eclettica, anche attrice e attivista, oltre che intramontabile fotografa.

Non a caso, dall’1 maggio al 7 novembre, in una mostra al Mudec (Museo delle Culture di Milano) intitolata Tina Modotti. Donne, Messico e libertà, saranno esposte più di cento sue fotografie, oltre a video e materiali inediti. Nelle scorse settimane, poi le è stata dedicata anche una piazza a Milano, in zona Rogoredo. Il Comune di Milano ha ricordato così il suo fondamentale lascito storico e artistico:

Tina Modotti è stata una donna emancipata e moderna, la cui arte è sempre rimasta indissolubilmente legata all’impegno sociale. L’intitolazione a Tina Modotti prosegue il percorso di questa Amministrazione nella valorizzazione del contributo delle donne alla storia artistica, politica e sociale, e segue di pochi giorni l’inaugurazione del primo monumento pubblico dedicato a una donna, Cristina di Belgiojoso.

Tina Modotti: una biografia

Tina Modotti nasce a Udine, nel quartiere di Borgo Pracchiuso, il 16 agosto del 1896, da una famiglia operaia modesta. Comincia a dodici anni a lavorare in fabbrica, ma frequenta anche lo studio fotografico dello zio paterno, Pietro Modotti, dove apprende le sue prime nozioni circa la tecnica e resta affascinata da quel mondo.

Tina Modotti
Tina Modotti in una foto di Edward Weston nel 1921

Nel 1918, dopo essere emigrata negli Stati Unti, sposa il pittore Roubaix de l’Abrie e si trasferisce a Los Angeles per rincorrere una delle sue grandi passioni: la recitazione. Esordirà nel 1920 con il film The Tiger’s Coat ottenendo un discreto successo. Dopo alterne traversie e aver conosciuto il fotografo Edward Weston, si sposta in Messico, dove entra in contatto con gli ambienti intellettuali bohémien e comunisti.

Inizia a fotografare e rapidamente ottiene successo. Prima è scelta come fotografa ufficiale dal movimento muralista messicano. Poi è al fianco del compagno rivoluzionario Julio Antonio Mella, uno dei motivi per cui sarà espulsa dal paese. Nel 1929 l’apice del successo con la personale all’Università Nazionale Autonoma del Messico celebrata come “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”. Dopo l’espulsione non fotograferà più fino alla morte, nel 1942, dedicandosi alla politica, ai viaggi, all’attivismo.

Messico: una società in tumulto

L’opera La parata dei lavoratori, è tra le prime foto a sfondo politico e sociale che l’artista italiana realizza durante la sua permanenza in Messico. Lo scatto, dall’alto, raffigura una moltitudine di campesinos e operai con il tipico cappello da festa, il sombrero, durante la parata annuale del Primo Maggio, a Città del Messico.

Tina Modotti
La parata dei lavoratori, 1926

La focalizzazione sul soggetto, come in altre sue opere, è totale: non sono inclusi elementi esterni. Mostrare che l’unità è potere, questo è lo scopo della fotografia, soprattutto per quanto riguarda i diritti dell’uomo. Ed è forte, qui come altrove, il desiderio da parte di Tina Modotti di mettere in luce eventi del suo tempo per testimoniare e in qualche modo, instillare in chi guarda la voglia di cambiamento.

Modernità e tradizione a confronto

Il mondo nel quale la Modotti vive, infatti, ovvero quello dei primi anni del ‘900, è una realtà in continuo e frenetico sviluppo. E anche in Messico il cambiamento è in corso, non solo a livello sociale ma anche tecnologico. Così lo scatto Cavi telefonici, con la sua prospettiva spostata, senza un appiglio sulla terra ma con i fili proiettati verso il cielo, quasi fusi con le nubi, mescola modernismo e angoscia sociale.

Tina Modotti
Cavi telefonici, 1924

Tina Modotti ha una visione positiva del progresso tecnologico. Anche lei, donna nata nell’Ottocento, è affascinata dall’idea di una comunicazione istantanea, attraverso i tralicci, in un mondo ancora così arretrato. Non a caso l’opera ricevette l’apprezzamento degli Estridentistas, un gruppo d’avanguardia messicano, che la incluse nella propria rivista «Horizonte» proprio per il suo dinamismo e slancio al progresso.

Al mercato di Tehuantepec, 1929 circa

Ma l’attenzione è rivolta, con emozione e fascinazione, anche al mondo rurale tradizionale. Nella foto intitolata Al mercato di Tehuantepec, lo sguardo è spinto verso una una società ancora lontana, negli abiti e nei costumi, da quella occidentale moderna che in questi anni si manifesta nelle città del Messico. Eppure negli occhi dell’artista il passato è così ricco di voci, di esperienze, di storie, di vita.

La forza nella quotidianità delle donne

Si è accennato poco prima dell’interesse Tina Modotti verso il Messico più rurale, ambiente dove il progresso faticava ancora, nel bene o nel male, ad arrivare. Nello specifico, la fotografa amava frequentare gli ambienti più poveri e contadini, prediligendo le donne come soggetto. In loro, nei loro occhi, vedeva la forza di un’epoca, la voglia di cambiare eppure di rimanere legati alla tradizione.

Donna con bandiera, 1928

Un esempio famoso è l’iconico scatto Donna di Tehuantepec, al quale lavorò anche l’amica Frida Kahlo, per rendere più evidenti i dettagli dell’abito e della figura. Una giovane donna tehuana, mezzo busto, con il braccio tiene sulla testa una zucca. Porta gli orecchini e una collana, lo sguardo è rivolto verso un punto imprecisato.

Donna di Tehuantepec, 1929

Tehuantepec è una società matriarcale, lì le donne hanno una voce significativa nella gestione dell’economia e della politica locale. Modotti usa la tehuana per sancire una visione politica forte: che le donne erano capaci di un’azione politica indipendente.

Sarah Lowe

Il simbolismo come strumento

Proprio perché l’artista italiana credeva che la macchina fotografica fosse uno strumento democratico con il potere di raggiungere ed educare le masse, molte delle sue opere sono intrise di simbolismo. Le mani del marionettista, realizzata a Città del Messico, getta negli occhi di chi guarda l’immagine del lavoro, con insolita potenza.

Tina Modotti
Le mani del marionettista, 1929

L’uso delle luci e dei contrasti con le ombre, oltre alla posizione delle mani, ricorda e forse ispirò l’opera di Escher, Mani che disegnano del 1948. E se nell’opera dell’artista olandese una mano sembra raffigurare l’altra, nello scatto di Tina Modotti una mano sembra quasi guidare coi fili l’altra. Potremmo vedere la scena come il baluardo della legittimità e della forza di un mondo, quello delle marionette, che da secoli incarna la metafora politica e critica.

In realtà, guardando con maggiore attenzione si nota che i fili sono come tagliati. L’intenzione dell’artista è forse quella di dire che il tempo per essere controllati del tutto da un potere superiore è finito. Un messaggio di forte attualità che, a distanza di più di un secolo veicola ancora la carica rivoluzionaria dell’arte di Tina Modotti.


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