poesia

È ancora possibile la poesia?

Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giacomo Leopardi. Ma anche Charles Baudelaire, William Shakespeare, Emily Dickinson, Walt Whitman. Questi sono soltanto alcuni dei grandi poeti che nel corso della storia hanno portato la letteratura a toccare apici di bellezza inauditi; e la lista potrebbe protrarsi ancora a lungo. I poeti del passato hanno donato ai posteri un inestimabile patrimonio di cultura, alimentato fino alle soglie del nuovo millennio. Ma è inevitabile domandarsi se nel XXI secolo la poesia, questa immensa tela artistica intessuta da sapienti mani di varie epoche e movimenti, non sia destinata a interrompersi.

La poesia si è trasformata, questo è innegabile. Ciò che prima era una studiata disposizione metrica di sillabe e accenti, ora è un versetto prosato pubblicato su Instagram. Oggi i prosecutori di Dante Alighieri – si fa per dire, chiaramente – sono gli “insta-poets“, cioè coloro che pubblicano didascalie, citazioni o brevi versi sui social network, ottenendo in questo modo grande visibilità.
Le nuove tecnologie stanno inevitabilmente cambiando il panorama della poesia: a oggi è molto più probabile che uno scrittore emergente scelga di affidarsi alle piattaforme tecnologiche in voga, piuttosto che alle più classiche vie di pubblicazione. Riuscire a strappare un contratto a qualche editore, infatti, nel mondo contemporaneo è un miraggio sempre più diafano.
Stando così le cose, la domanda sorge spontanea: in una società così tecnologica e avanguardista, è ancora possibile la poesia dei grandi del passato?

È ancora possibile la poesia?

Così il poeta Eugenio Montale si interroga a Stoccolma nel 1975, in occasione della vittoria del Premio Nobel per la letteratura. Il suo discorso contiene un’analisi amara e pessimistica della società attuale, dominata dalla tendenza allo spettacolo e al consumismo, di cui sono vittime innanzitutto i giovani. L’arte non è altro che un’accozzaglia di beni di consumo, con i quali l’uomo moderno si diverte per un breve lasso di tempo, per poi buttarli via come giocattoli vecchi.

Evidentemente le arti, tutte le arti visuali, stanno democratizzandosi nel senso peggiore della parola. L’arte è produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo nel quale l’uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza. […] Ma perché oggi più che mai l’uomo civilizzato è giunto ad avere orrore di se stesso? […] Sotto lo sfondo così cupo dell’attuale civiltà del benessere, anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro identità.

Alla domanda, più volte ripetuta, se in un tale panorama umano la poesia possa ancora essere possibile, il poeta lascia intuire apertamente il proprio scetticismo.

In tale paesaggio di esibizionismo isterico, quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia? […] Nella civiltà dell’uomo robot, quale può essere la sorte della poesia? […] Le risposte potrebbero essere molte. Si potrebbero moltiplicare le domande, con l’unico risultato che non solo la poesia, ma tutto il mondo dell’espressione artistica è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana. […] Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. È come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte dal primo giorno della Creazione.

poesiaMontale ritiene che, mentre l’arte – e quindi la poesia – della grande tradizione ricongiunge l’uomo con la sua interiorità, quella contemporanea, piegata al consumismo, non sia altro che intrattenimento che distoglie l’uomo da sé, rispondendo così al suo bisogno di estraniarsi da una realtà alienante. Egli, infatti, trascorre un’esistenza quotidianamente bombardata da messaggi e informazioni, ma sostanzialmente povera di valore e significato. Principi inesorabilmente destinati a crollare senza rumore; valori che con il tempo scivoleranno semplicemente via, triturati dall’informazione di massa senza che se ne possa più fare esperienza. Da qui l’approdo di Montale al Nichilismo: se non possono sopravvivere i grandi valori del passato, non può esistere alcun valore. Chiara, di conseguenza, la sorte della poesia, che ne era la portatrice per eccellenza.

E oggi? Il pensiero di Montale può essere attualizzato nel XXI secolo? Indubbiamente la società odierna – definita dal poeta come un “trionfo della spazzatura” – sta attraversando proprio quella crisi dell’Umanesimo da lui denunciata. È tristemente evidente che la cultura e la bellezza del passato rischiano di essere travolti dalla società tecnologica, informatizzata e spettacolarizzata nella quale viviamo. Montale, in risposta, proponeva il rifugio in una sorta di ”torre d’avorio”, una dimensione infinitamente distante dagli inconsistenti affari della vita quotidiana. Tuttavia, al giorno d’oggi questa potrebbe non essere la soluzione più indicata.

Per recuperare il valore e il significato di una vera esistenza, profondamente vissuta e assaporata, a poco servono le ideologie dello ”snobismo” e dell’estremo Nichilismo nel quale Eugenio Montale tentava di rifugiarsi. Non è arroccandosi nel passato che è possibile riportare alla luce l’antico splendore di un tempo, ma piuttosto cercando di modificare il presente. Un’operazione delicata e complessa, certo, ma non impossibile.

La poesia è ancora una parentesi di piacere, un’amica consolatrice e un altoparlante di pensieri ed emozioni. Essa non ha mai smesso di essere tutto questo. Il dramma è che l’uomo nativo digitale, accecato dalle novità della contemporaneità, fatica a rendersene conto, come un bambino che, stufo del vecchio giocattolo, lo mette da parte per quello nuovo, molto più allettante. Così facendo, però, dimentica tutte quelle notti tormentate da incubi terribili, nelle quali era stato proprio quel vecchio giocattolo a tenergli compagnia.


FONTI

Nobelprize.org

R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La letteratura come dialogo, Vol. 3B, Palumbo, 2012

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