Il messaggio politico del contadino di Ximen, dalla penna di Mo Yan, l’autore che tace

A chi lo taccia di essere colluso con il regime tutt’oggi imperante e incontrastato in Cina, Mo Yan (è uno pseudonimo: letteramente «non parlo») risponde con una delle sue opere meglio riuscite e tra le più memorabili: Le sei reincarnazioni di Ximen Nao. Pubblicato nel 2006 e arrivato in Italia solamente nel 2009, il romanzo si configura come una comica epopea che attraversa cinquant’anni di storia cinese, dal 1950 al 2000. Essa, vissuta dai singoli e compiuta dalla collettività, viene sviluppata attraverso tutte le fasi più importanti della Cina moderna: l’affermazione di Mao Zedong e del partito comunista, le stagioni del Grande balzo in avanti e della Rivoluzione culturale, sfociando poi nel passaggio al sistema capitalistico imperniato sulle leggi del mercato e degli investimenti stranieri.

Protagonista dell’opera è Ximen Nao, ricco proprietario terriero che viene giustiziato alla vigilia della nascita del regime comunista dai suoi contadini. Al cospetto di Re Yama (la divinità buddhista degli inferi), l’anima del possidente è intrisa di odio e sete di vendetta. Il destino che lo attende è quello della reincarnazione, ma Ximen Nao esige di rinascere nella sua terra, tra la gente che lo ha condannato a morte per vendicarsi. Re Yama acconsente, facendolo però reincarnare in un asino, allevato da Lan Lian, orfano che il proprietario Ximen Nao aveva cresciuto tempo prima. Ximen Nao resterà al suo fianco e vicino alla sua famiglia anche nel corso delle reincarnazioni successive: rispettivamente in un toro, maiale, cane, scimmia, uomo.

Sicuramente è da notare un alto coefficiente di ironia presente nel testo. Uno dei suoi sintomi più evidenti è la presenza dello stesso Mo Yan nella storia, tratteggiato dai due narratori (il protagonista, Ximen Nao, e Lan Jiefang), come un personaggio bizzarro e negativo, un contastorie infarcito di menzogne e inverosimiglianze, assolutamente inaffidabile. La presenza dello stesso ”autore” all’interno del romanzo attua un interessante e comico ribaltamento di quanto raccontato: le insistenze dei narratori sulla veridicità delle loro parole vengono sistematicamente annullate dalla presentazione del personaggio Mo Yan, autore del romanzo, in quanto bugiardo di professione. Queste caratteristiche potrebbero far intendere l’opera in quanto gioco letterario di matrice propriamente postmodernista, con anche accenni e riferimenti a opere cardine della letteratura occidentale quali Gargantua e Pantagruel di Rabelais e il Tristam Shandy di Sterne.

Ma, in realtà, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao è molto di più: i riferimenti linguistici, storici e culturali inerenti alla letteratura cinese sono numerosi e intessuti in maniera magistrale nel testo, configurandolo in quanto opera di ampio respiro, portatore di spessi sostrati nazionali e che aspira ad abbracciare le antiche e moderne suggestioni occidentali ed europee. All’interno di questa cornice dotta e formale, la riflessione che si svolge appare più politica che mai: il regime comunista viene vissuto e al tempo stesso agito dalla piccola comunità di Ximen. Il protagonista non è il solo a reincarnarsi: ogni riforma politica ed economica voluta dal regime di Mao Zedong diventa un nuovo corpo cui tutta la collettività deve adattarsi, dimentica di ciò che è accaduto in precedenza e incosciente delle implicazioni profonde di quegli stessi provvedimenti.

In questa prospettiva, la memoria si configura come elemento centrale: se da un lato il protagonista, nel regno degli inferi, si rifiuta di dimenticare e desidera ardentemente di ricordare il suo odio, dall’altro la sua famiglia e gli abitanti del villaggio sembrano non tenere in nessun conto il ricordo di ciò che è stato. Tra i due estremi la via più giusta è quella di rammentare con il giusto distacco, senza passioni vendicative, ciò che è stato per ripensarlo in modo critico, e per accettarlo, soprattutto.

Tra la moltitudine di personaggi che popolano il romanzo, sicuramente il più memorabile è Lan Lian, l’orfano cresciuto dall’uomo Ximen Nao, che dopo la sua morte ottiene grazie alle prime riforme agrarie del regime comunista delle terre da coltivare. Egli è l’unico, oltre a Ximen, che non dimentica: con pervicacia l’uomo si aggrappa alle promesse iniziali di Mao, inerenti a una più equa ridistribuzione della terra e delle risorse. È il ricordo indelebile delle sue origini, della fatica di conquistare la terra a permettere a Lan Lian di rimanere fedele e coerente con se stesso, fino alle estreme conseguenze. In questo senso, il personaggio assurge a una dignità inedita, che scaturisce dal rifiuto di uniformarsi alla politica collettivistica del regime, a un prezzo salatissimo: l’emarginazione sociale, le angherie da parte dei compaesani e la perdita della sua famiglia, almeno fino all’introduzione nel Paese del sistema capitalistico.

Il rifiuto silenzioso eppure determinato di piegarsi, la costanza irriducibile di un lavoro spossante e ripetitivo, l’amarezza della perdita e tuttavia la mancanza di rassegnazione rendono Lan Lian il più strenuo oppositore al regime e anche uno dei personaggi con più spessore umano. D’altronde nel testo viene detto più di una volta che egli è l’unico in tutta la Cina a rifiutarsi di entrare nella Comune. Lan Lian rimane proprietario di ciò che ha conquistato, rimane fedele alla sua natura e alla sua individualità più profonda. La sua ribellione priva di risonanza forse è un messaggio, morale e politico, più tagliente di tanti retorici discorsi.

 


FONTI

Mo Yan, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, Einaudi, 2009

Minima et Moralia

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