Jean-Paul Fitoussi e il Teorema del Lampione: una barzelletta per spiegare la crisi economica

«Da tempo mi interrogo sulle ragioni che spingono molti economisti, compresi alcuni tra i migliori, a investire la loro intelligenza nella costruzione di teorie la cui complessità è seconda soltanto all’inutilità.»

Questa è solo una delle frecciatine sferrate dall’arco della vivace personalità di Jean-Paul Fitoussi, economista francese autore del libro Il Teorema del Lampione. O come mettere fine alla sofferenza sociale edito da Einaudi. Soltanto leggendo l’introduzione si può percepire tutto il suo risentimento nei confronti di una società – quella del Nord del Mondo – assoggettata a una economia spietata e di austerità che non lascia spazio a una politica votata al benessere dei propri cittadini, e che punta con tutte le sue forze verso una forzata crescita del PIL. Tutto ciò a spese di uno sviluppo sostenibile, in particolare a discapito di uno sviluppo umano.

L’arguto economista utilizza la barzelletta dell’ubriaco che, incespicando nei suoi piedi, continua invano a cercare le chiavi di casa intorno all’unico lampione acceso della strada, essendo quello l’unico punto illuminato nella notte, pur sapendo di non averle perse lì. Con grande critica e consapevolezza, l’umorismo di Fitoussi rappresenta in questo modo una perfetta allegoria del mondo contemporaneo, nel quale si cercano ottusamente risposte e soluzioni nelle direzioni sbagliate per risolvere problemi economici e sociali, solo perché sono state indicate come le uniche possibili da perseguire.

L’economista francese fa notare come ormai non ci si scandalizzi più nel vedere una pubblicità di un prodotto di lusso totalmente inutile seguita da un’altra che invita a sostenere programmi di aiuto alimentare; o la muta convivenza di stipendi esorbitanti con persone costrette a dormire in macchina e a dipendere dalla carità altrui. Secondo Fitoussi, tale apatia è causata dal crescente egoismo di una società che spinge verso una feroce competizione a discapito di una filosofia di cooperazione, così come dal fatto che politici ed economisti non fanno che ripetere come questa sia l’unica via praticabile. In questo contesto, ogni tipo di resistenza viene colpevolizzata e stigmatizzata, lapidata da termini quali populismo, demagogia e altre formule magiche alle quali chi non sa rispondere alle vere problematiche in cui versa la società si appella.

Con ragione, Fitoussi afferma che siamo noi a decidere cosa occorre illuminare, quali obiettivi perseguire, quali fenomeni analizzare e con quali sistemi di misurazione. Se però emergono problemi nuovi e non si è in possesso degli strumenti adatti a misurarli, ecco che non si è più in grado di vedere in modo chiaro e vengono prese le scelte sbagliate. Dunque, se la politica economica punta i riflettori su obiettivi che non sono davvero importanti per la società, non sarà possibile capire perché una volta raggiunti non si risolvono i problemi iniziali e, anzi, se ne determinano degli altri. Come l’ubriaco che cerca inutilmente le chiavi, se coloro che hanno l’impegno morale e le capacità tecniche di decidere dove puntare la luce del lampione non prendono le decisioni corrette, le ricerche e i risultati continueranno a essere infruttuosi.

Come Fitoussi molto chiaramente descrive nell’introduzione della sua pubblicazione, da molto tempo ormai la politica economica dominante consiste nel garantire la stabilità dei prezzi – che dovrebbe consentire anche la massima crescita del PIL – e la deregolamentazione dei mercati. Il risultato, che l’economista francese espone senza remore, è stato caratterizzato da una enorme instabilità economica e finanziaria, una profonda miseria sociale e un peggioramento del funzionamento dei mercati.

Fitoussi propone, con il suo libro, una riflessione che attraversa le crisi succedutesi a partire dal 2007-08: la crisi della teoria economica, la crisi finanziaria mondiale, la crisi bancaria e dei debiti sovrani e quella dei sistemi di misurazione attualmente vigenti. Si chiede quali siano le ragioni che spingono gli uomini di economia e politica a continuare a camminare lungo un sentiero che ha causato ingenti danni alla popolazione mondiale e ha accentuato le disuguaglianze.

Benessere e sostenibilità, dice Fitoussi, dovrebbero essere posti in cima alla lista degli obiettivi che un Paese sano ha il dovere di raggiungere, e le politiche economiche di austerità che tanto vengono inneggiate e attualmente condotte in Europa non possono che influire negativamente su entrambi gli obiettivi. Verrebbe da domandarsi cosa si celi al di là delle decisioni di politica economica così palesemente discutibili e dannose: la malizia potrebbe indurci a pensare che il Dio Denaro sia ciò che fa protendere i ricchi verso la stessa direzione che ha già generato crisi economiche, sfaldamento delle famiglie e disoccupazione, in una cornice di rassegnazione che colpisce nel profondo la popolazione e, pare, anche la stessa classe politica – salvo alcune eccezioni.

Ciononostante, Fitoussi rappresenta uno dei lampioni che puntano i riflettori su strade alternative, su strumenti diversi che potrebbero adattarsi meglio alle condizioni e ai problemi attuali, indicando vie che fino a questo momento erano rimaste nell’ombra. Il Teorema del Lampione aiuta sicuramente a fare luce su molte questioni che appaiono oscure e incomprensibili ai più; è fondamentale dunque che un numero sempre maggiore di persone impari a cogliere queste luci, in modo da aumentarne l’intensità.

 


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