L’arte di sedurre secondo S. Kierkegaard

Sedurre una fanciulla significa per i più sedurre una fanciulla, punto e basta: eppure tutta un’intera scienza si nasconde dietro questo pensiero.

Era il 1910 quando venne pubblicato in Italia il Diario del seduttore di Soeren Kierkegaard, opera controversa del filosofo e teologo danese. Completata nel 1843, Diario del seduttore nasceva come uno dei tasselli centrali di Aut-Aut e solo in un secondo momento, dopo essere stata tradotta in diverse lingue, ha iniziato a circolare come opera a sé stante, in contrasto con l’originaria voluntas auctoris.
Ascrivibile alla prima produzione di Kierkegaard, emblema della sua stagione estetica, Diario del seduttore ha subìto la postuma condanna paterna che il filosofo ha inflitto a tutte le sue creature non appartenenti all’ultima produzione di pensiero religioso, «unico stadio che abbia validità assoluta».

Di matrice autobiografica – sono infatti indubbi i riferimenti al legame fugace e intenso che legò il filosofo a Regina Olsen – Diario del seduttore è un romanzo diaristico-epistolare che teorizza la fenomenologia amorosa nell’alternanza delle due voci del seduttore Giovanni: quella passionale, iperbolica, a tratti trascinata delle lettere all’amata Cordelia e quella cinica ma pur sempre irrazionale e appassionata rivolta a se stesso. Un’opera duplice e speculare il cui caleidoscopio restituisce un ritratto a tutto tondo dell’esteta che ha fatto della vita un’Ideale. Il Giovanni di Kierkegaard non è impegnato in una conquista vorace e sensuale di fanciulle alla Don Giovanni, ma è un romantico seduttore, incline alla contemplazione, che centellina gli attimi di godimento. Il filosofo costruisce un personaggio dal duplice volto: cerebrale nell’architettare e teorizzare fino ai minimi dettagli, con cura maniacale, la conquista delle sue prede ma insieme anti-razionalistico e assetato di irrealtà:

Io sono tutto simulazione di giorno e di notte sono tutto brama.

Giovanni è l’esteta per antonomasia, incarna il bisogno di poesia, laddove la realtà non è sufficiente per sfamare l’appetito vitale, ché necessita di una realtà raddoppiata in una tensione infinita verso quello che non c’è.

La realtà viene da lui inseguita e desiderata, ma, nello stesso tempo, superata, distaccata, vissuta nei filtri del ricordo e dell’immaginazione.

Nella trattazione del processo amoroso, Kierkegaard aderisce sia nel contenuto sia nella forma alla tradizione più classica. L’amore assoluto, idealizzato e ambito da Giovanni non è un rapporto idilliaco basato sulla comprensione reciproca e l’equilibrio. Per il seduttore di Kierkegaard l’unico amore possibile e degno di tal accezione è quello basato sull’incomprensione, l’equivoco, la repulsione. I due amanti sono figurati come due spadaccini ingaggiati in una sfida dove tutto è ammesso e ammissibile e il risultato da raggiungere è, per definizione, la rovina, per cui l’odio diventa il principio necessario per completare il processo di innamoramento: «voglio sperare che presto l’avrò indotta al punto di odiarmi». Amore e odio sono indissolubilmente legati, matrice e compimento dell’uno e dell’altro, sigillati da una secolare tradizione letteraria:

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Ti odio e ti amo. Forse ti chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che avviene e mi torturo.

In linea con tale accezione, Kierkegaard raccoglie e fa suo il linguaggio classico di ambito bellico. L’intero sviluppo amoroso procede secondo metafore e paragoni con il mondo militare, e l’amante allora diventa soldato pronto a espugnare la roccaforte della fanciulla amata:

Come si dice in termini militareschi, ho preso tutte le mie misure.

Come un soldato in vedetta, pronto a buttarsi a terra.

Paragoni che rassomigliano in tutto agli Amores di Ovidio:

Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;
Attice, crede mihi, militat omnis amans.

Ogni amante è un soldato, e Cupido ha i propri accampamenti;
o Attico, credimi, ogni amante è un soldato.

Kierkegaard può essere accostato a Ovidio non soltanto nell’adozione del fortunato registro bellico, ma anche in un certo tono cinico e beffardo adottato dal seduttore – in virtù della sua navigata esperienza in termini di fidanzamenti, Giovanni accenna alla stesura di un saggio Contributo alla Teoria del Bacio, Dedicato a tutti gli Amanti Sensibili – che tanto ricorda quello del poeta latino nell’Ars amatoria, in cui Ovidio si pone a grande esperto dell’ambito dispensando consigli smaliziati.

A differenza di Cordelia, il cui tragico epilogo è annunciato già dalle prime pagine del romanzo, quale sia il destino riserbato a Giovanni non è rivelato. Lo si può però intuire in quanto figura estetica che porta in sé la sua estasi e la sua rovina, fedele alla contraddizione insita nell’approccio estetico alla vita che fa dell’alterazione e del sofisma un’irriducibile necessità. E per quanto Kierkegaard abbia preso le distanze da tutta questa produzione, e quindi anche dal Diario del seduttore, è innegabile una sua certa influenza non solo nella costruzione della filosofia dell’amore e del piacere ma anche di posteriori paradigmi maschili e femminili.

 


FONTI

S. Kierkegaard, Diario del seduttore, 1955, Rizzoli, traduzione di Attillio Veraldi

 

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