“Willy, il principe di Bel-Air”: l’eterno distacco tra ricchi e poveri

Una delle più celebri sit-com statunitensi degli ultimi 25 anni è unanimemente riconosciuta in “Willy, il principe di Bel-Air“: commedia spassosa interpretata da un giovane Will Smith, con la quale l’attore riuscì a fare carriera grazie alla sua naturalezza e spontaneità.

Proiettata in Italia a partire dal 1993, la serie racconta di un giovane ragazzo di Philadelphia, Willy, che viene allontanato di casa dalla madre per proteggerlo dagli ambienti di criminalità presenti nel loro quartiere-ghetto. Il ragazzo viene quindi mandato a vivere dagli zii in una zona molto “In” della città di Los Angeles, Bel Air, in cui sono presenti solo ville, grandi hotels e campi da golf.
Willy sente finalmente di aver svoltato la propria vita e piomba in casa dei parenti, impreparati e quasi ignari, portando con sé la freschezza della strada (da cui “The Fresh Prince of Bel Air”).
La contrapposizione tra loro e il nipote è evidente fin dal principio, e imbarazza non poco la famiglia. Il ragazzo convive con gli zii materni Philip e Vivian Banks, coi due cugini maggiori Hilary e Carlton, con la cuginetta Ashley e col maggiordomo Geoffrey.

Sebbene la maggior parte dei suoi familiari sia di estrazione sociale borghese e di conseguenza fortemente snob, Willy riesce a stabilire un legame molto forte con Ashley, la cugina più piccola, che essendo una ragazzina non prova interesse per gli eventi mondani dei genitori, preferendo di gran lunga le proprie passioni, come la musica, il canto e la danza. Anche il maggiordomo Geoffrey appare quasi come un pesce fuor d’acqua: nato in Inghilterra e con un passato da atleta corridore, la sua figura è costantemente caratterizzata da sarcasmo, battute sottili sui membri della famiglia e da quello che, ironicamente, lui stesso definisce “umorismo nero“. Anche lui rimane coinvolto nella vivacità del ragazzo, abbandonando ben presto la sua posatezza.

La contrapposizione costante tra la “freschezza” di Willy e il savoir-faire della maggior parte dei suoi parenti crea continue situazioni comiche e demenziali: ad esempio, durante la sacrosanta ora del tè, Willy piomba in casa degli zii con lo stereo acceso, dal look a dir poco eccentrico e accompagnato da due ragazze agganciate per strada. Rappresenta in modo ironico la spaccatura netta tra due branche della società afroamericana: quella passata alla borghesia e quella comune dei bassifondi. Il protagonista non deve diventare un membro della famiglia Banks, al contrario, sono i Banks a dover diventare come Willy; egli cerca sempre di smuoverli dal loro torpore emotivo portato dal lusso e dalla bella vita, riuscendo infine a fare breccia nel loro muro di serietà. Inoltre, per la prima volta, non vediamo una contrapposizione tra bianchi e neri, ma tra neri e neri.

Chi si aspettasse un sequel, però, rimarrà parecchio deluso: in una recente intervista (riportata qui), Will Smith ha affermato di aver rivisto le prime puntate della serie e di non essersi affatto piaciuto. Il motivo è legato al fatto che, essendo stato il suo primo ruolo, tendeva ad imparare a memoria anche le battute degli altri, ripetendole sottovoce durante le riprese. Niente di irreparabile insomma, ma un marchio indelebile per l’attore.
In questo caso, forse è un bene che Smith si sia rifiutato di girare un sequel o un reboot. Sarebbe venuta meno l’atmosfera degli anni Novanta, quella che ci ha fatto crescere e ridere con una delle icone storiche della Generazione Y.

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