Denatalità: problema o opportunità?

Il tema della denatalità è al centro del dibattito pubblico e molti temono le conseguenze negative di questa tendenza a livello economico e sociale. Si parla sempre delle misure messe in atto per contrastare questo fenomeno, ma è possibile che non sia solo una dinamica negativa? Ci possono essere degli aspetti positivi in quello che sta succedendo?

Gli italiani non fanno più figli

Nel suo più recente report sulla natalità, pubblicato il 26 ottobre 2023, l’Istat, l”Istituto nazionale di statistica, ha sottolineato ancora una volta come in Italia il numero delle nascite continui a calare: -1,7% nel 2022 rispetto a quanto riportato l’anno precedente. Secondo i dati provvisori raccolti tra gennaio e giugno del 2023, la tendenza rimane la stessa e le nascite sono circa 3.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022. La diminuzione del tasso di fecondità totale, ossia il numero medio di figli per ogni donna in una determinata popolazione, riguarda anche zone del mondo in cui, come nell’Africa sub sahariana, quel tasso resta comunque più alto che altrove.

La pandemia e il conseguente baby bust

Durante la pandemia di CoVid-19 nel 2020, molti studiosi avevano previsto un baby boom, ovvero un aumento repentino e generalizzato dei concepimenti dovuto al forzato confinamento in casa. Nonostante ciò, i dati raccolti dai vari centri di ricerca in tutto il mondo hanno dimostrato un atteggiamento generale contrario, un vero e proprio baby bust, una contrazione ancora più pronunciata delle nascite, che può essere giustificata dal clima di incertezza, soprattutto economica, che la pandemia ha portato con sé.

Negli Stati Uniti, ad esempio, il numero di bambini nati nel periodo pandemico ha raggiunto il minimo storico rispetto agli ultimi quarant’anni. In Canada, invece, è tornato alla media registrata durante la Prima Guerra Mondiale e l’Italia non è stata da meno: sono nati solo 404.104 bambini nel 2020, mai così pochi dall’unificazione del 1861.

Perché la denatalità è un problema?

Con le culle che rimangono sempre più vuote è naturale interrogarsi sui possibili effetti di questo fenomeni a livello non solo sociale ma anche economico e perché no, anche ambientale. Tra chi teme e giudica negativamente il rallentamento delle nascite aleggia la preoccupazione dell’invecchiamento della popolazione con il conseguente dissesto dell’economia.

Il possibile scenario italiano

A livello nazionale, questo trend rischia di avere ripercussioni sulla sostenibilità del Paese. Come spiega Gigi de Palo, presidente della Fondazione per la natalità e del Forum famiglie, la denatalità potrebbe portare al crollo del prodotto interno lordo e del sistema pensionistico, che si fonda sul contributo della forza lavoro giovane al sostentamento della popolazione non più attiva. Sarà infatti difficile mantenere saldo tale sistema e quello sanitario se aumentano sempre più coloro che necessitano di tali servizi ma manca la forza lavoro che ne permette il sostentamento. Alcuni lavoratori potrebbero rimanere senza pensione in futuro oppure percepire un reddito talmente basso da non consentire una vita dignitosa; in questo modo le fasce più fragili della popolazione non sarebbero tutelate e il livello di welfare nazionale si abbasserebbe.

Il timore principale è quindi quello di un capovolgimento della struttura demografica attuale che sostiene il modo in cui le nostre società sono organizzate: a una popolazione sempre più anziana corrisponderebbe un minor numero di lavoratori e quindi un indebolimento economico e sociale.

In Italia molto spesso si discute delle conseguenze negative del calo delle nascite ma tale dibattito è in realtà molto più ampio e meno sbilanciato di quanto di possa immaginare. Molti si chiedono se effettivamente sia un bene o un male; se sul pianeta gli esseri umani siano già troppi o non rischino invece di diventare troppo pochi; se quello demografico sia un problema di sovrappopolamento o, al contrario, di lento suicidio della specie.

E se la denatalità fosse un’opportunità?

Tra studiosi ed esperti di demografia e varie altre discipline di ambito economico e antropologico gode di ampio consenso l’idea che il rallentamento delle nascite sia un bene, più che un male. Le giustificazioni che sostengono tale teoria sono legate alla qualità della vita delle donne, delle famiglie, al benessere della società e soprattutto alla tutela ambientale.

Christine Percheski, docente di sociologia alla Northwestern University di Chicago, sostiene che il calo della natalità sia da considerare un segno del progresso economico e sociale degli ultimi secoli che ha permesso l’emancipazione delle donne, l’accesso all’istruzione e al mondo del lavoro, aumentandone l’autonomia. La società si è evoluta e ha assistito a un cambio valoriale: ora molte più donne decidono di fare figli in età più avanzata, influenzando così il tasso di fecondità totale di un Paese.

No ai figli per salvare il pianeta

Inoltre, il fatto di “essere troppi” al mondo viene spesso sottolineato come una delle principali cause della crisi climatica, in quanto le risorse vengono consumate eccessivamente mettendo a rischio la sopravvivenza dell’umanità. Più gente vuole dire più consumi e più emissioni.

Molti si preoccupano non del rallentamento delle nascite ma della sovrappopolazione del pianeta, che dispone di risorse per mantenere un numero di persone decisamente al di sotto della popolazione mondiale attuale: secondo uno studio pubblicato nel 2010 da Human Ecology tale soglia di sostenibilità si aggira introno ai 3 miliardi di persone contro i 7,8 miliardi del momento. Non è da ignorare il fatto che la decisione di non fare figli per salvaguardare l’ambiente e salvare il pianeta si stia diffondendo sempre più, specialmente nei Paesi più avanzati e tra le generazioni giovani che si trovano nella fase riproduttiva.

Cambio di struttura e prospettiva

La denatalità è un fatto e, in quanto tale, ha delle cause e delle conseguenze. La giornalista Laura Spinney, esperta in storia della scienza, in un articolo sul The Guardian si è interrogata sulla struttura delle nostre società e su come sia insostenibile per fronteggiare i cambiamenti demografici imminenti e inevitabili che stiamo vivendo.

Secondo Spinney, la denatalità può avere effetti benefici sul lungo termine per la Terra ma allo stesso tempo dobbiamo tenere in considerazione che sarà necessario ristrutturare il modo in cui siamo organizzati: servirà maggiore investimento nel settore sanitario e, nonostante la forza lavoro sia meno, ora disponiamo di maggiori tecnologie e intelligenze digitali che permetterebbero di mantenere lo stesso livello di produttività. Inoltre, uno dei fattori fondamentali nel processo di adattamento al nuovo contesto demografico è l’immigrazione, perché facilita la transizione demografica per i Paesi più ricchi e ridistribuisce risorse verso quelli più poveri, dove i tassi di fecondità rimangono alti.

I figli sono una scelta personale e oggigiorno molte coppie, pur potendo permetterselo, scelgono consapevolmente di farne meno. I livelli di natalità saranno sempre più bassi del passato perché, come spiega Spinney: «I genitori scelgono di investire più tempo, soldi e amore in meno figli».

FONTI

IlPost.it

Iltascabile.com

Bricker D., Ibbitson J., Pianeta vuoto. Siamo troppo o troppo pochi?, Addeditore, 2020

LaStampa.it

Istat.it

Lifegate.it

TheGuardian.com

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.