Storia di un Impiegato: seconda parte

Il Bombarolo

L’impiegato anarchico aveva dunque chiuso il suo ultimo sogno con la convinzione di dover agire. Dopo La Canzone del Padre, la storia arriva al suo climax con Il Bombarolo.

“Chi va dicendo in giro

Che odio il mio lavoro,

Non sa con quanto amore

Mi dedico al tritolo”

Il brano si apre senza mezzi termini, senza giri di parole. Il suo ordigno artigianale è quasi pronto e manca poco al momento dell’esplosione. L’impiegato ha pianificato un attentato con una piccola bomba artigianale, un “Pinocchio fragile”. La costruzione dell’ordigno e l’esplosione non faranno di lui un “cavaliere del lavoro” ma al bombarolo questo non importa, perché lui è di “un’altra razza”.

Ad ogni ritornello specifica che egli è diverso dalla massa, è di “un’altro avviso”, “un’altra scuola”.

Dopo le prime tre strofe di preparazione, il bombarolo è in strada e viene descritta la popolazione che lo circonda. Nota gente che terrorizza e gente che ha terrore (“Qui chi non terrorizza, si ammala di terrore”), poi parla di coloro che anziché agire, si lasciano piovere addosso, per citare la Canzone del Padre. Queste persone, aspettano che piova sul bagnato, che la situazione peggiori, per piangere insieme agli altri e non dover lamentarsi da soli. 

“C’é chi aspetta la pioggia 

Per non piangere da solo,

Io son d’un altro avviso,

Son bombarolo!”

Seguono una serie di versi di denuncia al potere, di sfiducia verso gli “intellettuali di oggi, idioti di domani”. Oggi il bombarolo può agire e portare terrore.

Di colpo il punto di vista cambia. A parlare scopriamo non essere il bombarolo, ma il narratore esterno, De André. Il passaggio è segnato dalla quartina:

“Così pensava forte 

Un trentenne disperato,

Se non del tutto giusto,

Quasi niente sbagliato”

Il luogo dell’attentato sarà il Parlamento, davanti al quale il futuro bombarolo è stato visto ridere, in segno di spregio verso quel luogo che non lo rappresenta. Dopo il riso, però, il pianto. L’esplosione non va a buon fine e invece del Parlamento tanto odiato, viene distrutta un’edicola poco distante. 

L’errore provoca un colpo di scena: nel disastro dell’esplosione, ciò che più ferisce e provoca le lacrime dell’impiegato trentenne, non è tanto il suo errore, ma ciò che vede nei giornali che volano in aria. Vede “l’immagine di lei che si spargeva da ogni foglio”. Per la prima volta si parla di una donna che è in prima pagina insieme al bombarolo e che ora lo ha lasciato solo nel ridicolo.

Attraverso questo finale l’autore vuole anticipare ciò che sta per raccontarci più ampiamente nella canzone successiva, come se i giornali per cui il Bombarolo piange non fossero realmente quelli che sta vedendo, ma quelli che a breve riempiranno le edicole.

Verranno a chiederti del nostro amore

Verranno a chiederti del nostro amore è dedicata, infine, alla figura della compagna del bombarolo. Il pezzo, diventato un grande classico del canzoniere di De André, racconta di come l’impiegato, dopo aver fallito l’attentato ed essere stato rinchiuso in galera, pensa alla ragazza che ha lasciato fuori dalla sua prigione. La pensa in quanto sarà costretta (o forse le piacerà vedersi) sotto tutti i riflettori. I giornalisti chiederanno del loro amore, della propria vita privata, della loro storia. L’impiegato sembra essere consapevole che la donna cavalcherà l’onda mediatica.

Per questo motivo le prime parole del protagonista sono un invito a non consegnarsi alla macchina mediatica, a “non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole”.

L’impiegato fa emergere dettagli della loro relazione fallita, o forse mai realmente iniziata, che proseguiva solo su promesse fittizie (“rifugiarsi nei sempre, nell’ipocrisia dei mai”) ma che alla fine non è riuscita a unirli veramente: “Non sono riuscito a cambiarti, non mi hai cambiato lo sai”.

Arriveranno giornalisti che oltre ai microfoni porteranno uno specchio per far vedere lei bella, lui già vecchio. Esalteranno la figura della compagna a discapito dell’impiegato che sarà acqua passata. Lei indosserà un trucco diverso, un’altra maschera, da quella che usava con lui. I giornali non sono interessati all’accaduto, ma solo a costruire una sceneggiatura su di lei.

Si parlerà di un uomo infedele (“e loro si stupiranno che tu non mi bastavi”), si racconterà della loro relazione che era un’altalena di graffi sui seni e carezze. Se i due non sono mai riusciti a cambiarsi, il mondo mediatico sì. Lei, costruita su ipocrisie e lui intrappolato in questa situazione: una coppia cambiata dalla società dipendente dai media.

“Sono riusciti a cambiarci,

Ci son riusciti, lo sai.”

Tutto crolla, e l’unica cosa che si sente di chiedere l’impiegato alla donna è inerente alla sua vita. Si chiede come lei possa vivere senza ideali, senza passioni. La domanda si espande all’amore, e le chiede se andrà con una persona di buona famiglia o se riuscirà a prendere in mano la situazione.

“Continuerai a farti scegliere

O finalmente sceglierai?”

Nella mia ora di Libertà

A chiudere l’album è Nella mia Ora di Libertà.

La canzone descrive la condizione da carcerato del bombarolo. In primis l’impiegato rinuncia all’ora di libertà pur di non condividere l’aria con i secondini, simbolo di coloro che limitano la libertà altrui, una libertà che dura un’ora. L’unica cosa che vuole avere in comune con i secondini è la prigione; d’altronde anche loro vivono nella condizione di schiavi della società. 

Da solo con sé stesso l’impiegato arriva a una considerazione che non riesce a concludere in quanto non sa mettersi nei panni dei giudici.

“Non mi aspettavo un vostro errore,

Uomini e donne di tribunale,

Se fossi stato al vostro posto,

Ma al vostro posto non ci so stare”

In carcere il protagonista ripensa alla popolazione scagliata contro di lui, alle grinte, le ghigne, i musi che preferiscono veder togliere la primavera a un carcerato, piuttosto che salvaguardare la loro. La primavera è allegoria della libertà, ma anche della giovinezza. Non è nuovo in De André il servirsi delle stagioni come metafora delle stagioni della vita.

L’impiegato in carcere ripensa nuovamente alla ex compagna e a quello che immagina dirà. In seguito il suo pensiero arriva a un punto di massima denuncia contro il potere:

Però bisogna farne altrettanta (di strada n.d.r.)

Per diventare così coglioni

Da non riuscire più a capire

Che non ci sono poteri buoni.”

Nella strofa successiva, l’impiegato non è più da solo, ma con altri prigionieri e insieme apprendono molte cose, ma una su tutte non gli sarà mai chiara: “Qual è il crimine giusto per non passare da criminali?”

La faccenda non ha mai una fine, infatti, i prigionieri, decidono di imprigionare i secondini durante l’ora di libertà, gridando di nuovo che “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. I prigionieri attuano un nuovo scacco al potere e di nuovo viene ribadito che nessuno può essere assolto in quanto tutti sono coinvolti. Le parole e la musica riprendono evidentemente Canzone del Maggio, che è appunto l’inizio vero e proprio della storia. Ricomincia l’album, ricomincia il ciclo di rinnovo del potere, ricomincia la musica. 

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