Le concessioni balneari: tra rinnovi perpetui e direttive europee

Anche se l’estate è già ampiamente passata e si iniziano a contare i giorni per il prossimo primo bagno, non è passata una delle polemiche che da anni ormai accompagna il caldo dei mesi estivi, cioè quella inerente le concessioni per gli stabilimenti balneari. Ogni anno, all’approssimarsi delle vacanze per milioni di italiani e per le loro famiglie, si ripropone lo scontro tra coloro che vogliono l’applicazione della direttiva Bolkestein e la messa in gara delle concessioni per gli stabilimenti delle spiagge, e i sostenitori di quello che, nei fatti, costituirebbe un rinnovo perpetuo delle concessioni a favore degli esercenti attuali, con lo scopo di garantire la continuità per le attività già esistenti.

La questione affrontata è tutt’altro che marginale; infatti, oltre a trovarsi di fronte al dilemma di come usare le risorse naturali e pubbliche del Paese (in tal caso le spiagge) di modo che nel lungo periodo ne possa trarre giovamento e benessere tutta la comunità nel complesso, la richiesta di aprire al libero mercato le concessioni balneari ci pone in diretto confronto con le istituzioni dell’Unione Europea, che tenta di integrare sempre di più le economie nazionali in unico e grande mercato unificato dei servizi e dei beni.

La direttiva Bolkestein

All’inizio di questo contrasto vi è la direttiva dell’Unione Europea del 2006 numero 123, nota comunemente come “direttiva Bolkestein”, dal nome dall’omonimo economista olandese, recepita formalmente in Italia nel 2010 con il d.lgs 59/2010.

La direttiva in questione non riguarda specificatamente i servizi balneari, ma impatta l’intero mondo dei servizi all’interno dell’intera UE. Lo scopo è quello di rimuovere gli ostacoli per professionisti e imprese nell’offrire i loro servizi in tutto il mercato comunitario. Altro punto da evidenziare è che la direttiva, con eventuali eccezioni, sostiene che concessioni e servizi pubblici, al fine di essere affidate a entità provate, devono essere sottoposti a una gara aperta a tutti gli operatori comunitari, evitando, in tal modo, esclusioni su base nazionale.

Conseguentemente a ciò, gli esercenti attuali hanno protestato contro la sua applicazione, in quanto intaccherebbe la loro posizione ormai fissa e “assicurata” all’interno dell’industria turistica italiana.

Nel resto d’Europa

Eppure in altri Paesi dell’Unione Europea le gestione dei beni del demanio è eseguita con un’attenzione maggiore ai principi della libera concorrenza.

Secondo uno studio della Camera dei Deputati in merito alla legislazione sul demanio e sul suo utilizzo in concessione in Spagna, Grecia, Croazia, Francia e Portogallo (Paesi le cui aree di mare sono, quindi, a elevata vocazione turistica e che attraggono ogni anno molti viaggiatori come le nostre), l’utilizzo del bando di gara per determinare il diritto d’utilizzo è una prassi ormai consolidata. Questo ci aiuta a comprendere che le richieste della direttiva Bolkestein potrebbero non essere eccessivamente onerose, visto che vengono applicate già da paesi con elevato flusso turistico con dinamiche simili a quelle italiane.

Concessioni troppo economiche

Una delle critiche più consistenti e importanti che viene dai sostenitori della messa a gara delle concessioni balneari è che, oltre a difendere le posizioni “di rendita” degli attuali esercenti, il mancato rinnovo delle concessioni non consentirebbe di affidare le spiagge ad altre imprese per canoni che, a seguito dei bandi di gara, potrebbero risultare più elevati, privando quindi le casse pubbliche di maggiori introiti che potrebbero essere spesi in altri capitoli di bilancio per migliorare i servizi a favore della cittadinanza.

Negli ultimi anni i canoni sono stati revisionati per far fronte a una situazione che li vedeva eccessivamente bassi; infatti a partire dal 2021, è sempre stato aumentato il canone minimo, passando dai 2.500 euro del 2021 ai 2.698,75 euro del 2022, mentre nel 2023 il minimo era stato fissato in 3.377,50 euro, ma il Consiglio di Stato lo ha ritenuto illegittimo in quanto basato su un indice statistico non previsto a livello normativo (bisogna inoltre considerare eventuali tasse regionali). Tuttavia, nonostante tali aumenti, i canoni sono ancora ritenuti in generale troppo bassi rispetto ai ricavi medi degli stabilimenti balneari.

Inoltre, nota Legambiente nel Rapporto Spiagge del 2023, vi è ancora una notevole differenza tra i vari stabilimenti in merito ai margini di guadagnano; infatti se da un lato ci sono stati stabilimenti che, per la loro particolare tipologia di clientela e per la zona, applicano prezzi più elevati mantenendo margini di guadagno ancora considerevoli, dall’altro ci sono stabilimenti che devono investire attivamente nel mantenimento del litorale, in particolare quelli che devono effettuare interventi per contrastare le calamità naturali. Tale fatto evidenzia che i canoni, oltre a essere complessivamente troppo bassi, risultano anche poco equi a volte nei confronti degli stessi gestori.

L’opposizione europea ai continui rinvii

Tralasciando il mancato guadagno per le casse pubbliche, la suddetta linea di azione ci porta in un contrasto diretto con l’Unione Europea, che ha sempre mal sopportato l’atteggiamento in generale attendista dei governi italiani sulla questione. Infatti, il 16 novembre 2023, l’Unione Europea ha inviato all’Italia una lettera d’infrazione, lamentando che le continue proroghe sulla messa a gare delle concessioni demaniali (in ultimo la legge 14/2023, che, di fatto, pospone la validità delle concessioni attuali al 31 dicembre 2024) costituiscono una violazione all’articolo 12 della direttiva 123/2006 e dell’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (che stabilisce che il “diritto di stabilimento” all’interno del territorio comunitario comporta anche l’accesso all’attività autonoma e alla gestione di imprese).

La lettera costituisce un ulteriore passo del nostro Paese verso la procedura d’infrazione, e ha di fatto smontato il lavoro del Governo e del suo tavolo tecnico riguardante la mappatura delle spiagge italiane, che sosteneva che più del 60% delle spiagge italiane in realtà fosse libero dalle concessione e che, conseguentemente a ciò, non potessero essere considerate una risorsa scarsa da mettere in gara.

La prova per il Governo

Si appresta quindi quello che si prospetta essere uno scontro molto accanito tra l’UE e il governo italiano. La situazione è resa ancora più tesa dal fatto che, da un lato, il Governo Meloni è più vicino del precedente alle istanze degli attuali detentori delle concessioni balneari, mentre, dall’altro lato, gli organismi comunitari sono sempre più insofferenti verso l’attendismo italiano e premono sempre di più affinché il Paese porti soluzioni concrete ai problemi che lo attanagliano invece di posporre avanti nel tempo la ricerca di soluzioni adeguate.

Rivalità con Bruxelles

In gioco, oltre alla credibilità dell’attuale governo, vi è anche la credibilità del “sistema Paese“. La questione dei balneari è sempre stata un punto di scontro tra Roma e Bruxelles, ma la pazienza di quest’ultima si sta sempre di più esaurendo, visto che l’Italia non mostra segnali di un cambiamento di rotta. Conviene, però, inquadrare la controversie delle concessioni per le spiagge all’interno di uno scontro ancora più grande tra il nostro Paese e l’Unione Europea: con una crescita di fatto stagnante, un mercato del lavoro in cui è sempre più difficile navigare per i cittadini comuni e adesso con un aumento dei prezzi non più contenuto come una volta, l’UE preme sempre di più affinché l’Italia compia quelle riforme strutturali che più passa il tempo più si rivelano necessarie.

Le concessioni sono quindi un tassello del mosaico che rappresenta il nostro Paese, e si avvicina sempre di più il momento in cui dobbiamo decidere in maniere definitiva la direzione da percorrere: sceglieremo una strada nostra e peculiare, contrapponendoci sempre di più all’UE, oppure collaboreremo in maniera sempre più stretta con la comunità europea?

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