COP28

In attesa della Cop28: alti e bassi dell’assemblea internazionale

Il 30 novembre 2023 si terrà a Dubai la 28a Conferenza delle parti (COP28), l’incontro internazionale a cadenza annuale tra paesi membri delle Nazioni Unite in materia di cambiamenti climatici. Si tratta del ciclo di negoziati sul clima che ogni anno tenta di individuare soluzioni efficaci contro la crisi climatica in corso. La cooperazione risulta tutt’altro che semplice, ma è orientata al perseguimento del comune obiettivo di salvaguardia del pianeta.

La Cop27, tenutasi a Sharm el-Sheikh nel 2022, aveva lasciato non poche perplessità circa i suoi successi. La necessità sempre più stringente di dover far fronte agli effetti nefasti del cambiamento climatico, rende le conferenze importati centri nevralgici decisionali, che occupano il centro del dibattito globale. Generatrice di speranze e delusioni, la cronologia delle conferenze è costellata di alti e bassi fin dalla sua prima assemblea del 1995. In vista della prossima COP28 facciamo il punto circa il sentimento comune e dicotomico nei confronti dell’assemblea climatica.

In vista della COP28

Nel gennaio 2023 è stato designato come presidente della conferenza il sultano Al Jaber. Si tratta dell’attuale CEO della Abu Dhabi National Oil Company e il primo amministratore delegato a presiedere una COP. Al Jaber è a capo inoltre di Masdar, una compagnia di energia rinnovabile degli Emirati. La più grande sfida nel lavoro di negoziati delle Nazioni Unite è la limitazione delle estrazioni petrolifere e l’evidenza del conflitto di interessi ha suscitato molte polemiche specialmente da parte delle associazioni ambientaliste.

«Porteremo un approccio pragmatico, realistico e orientato alle soluzioni»: le parole del sultano delineano una prospettiva volta all’impiego delle nuove tecnologie al fine di catturare CO2 e stoccarla, piuttosto che abbandonare completamente l’uso del combustibile fossile. Mentre il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres ha avanzato dichiarazioni che non lasciano ombra di dubbio:

«Non possiamo affrontare la catastrofe climatica senza affrontarne la causa principale: la dipendenza dai combustibili fossili. La COP28 deve inviare un chiaro segnale che l’era dei combustibili fossili è finita e che la sua fine è inevitabile. Abbiamo bisogno di impegni credibili per aumentare le energie rinnovabili, eliminare gradualmente i combustibili fossili e aumentare l’efficienza energetica, garantendo al contempo una transizione giusta ed equa».

COPLa divergenza che emerge dalle dichiarazioni rilasciate è motivo di dibattito ed evidenzia le asperità insite nel tortuoso processo di negoziazione. Per la prima volta il programma della manifestazione è comprensivo del nuovo e attuale tema della salute pubblica correlata al cambiamento climatico. L’intenzione è quella di aprire una consultazione aperta su svariate aree tematiche e operare in funzione degli interventi più urgenti. Questo inserimento al passo con i tempo potrebbe rivelarsi efficace e propedeutico al raggiungimento degli obiettivi comuni.

Un bilancio della COP27

Il fronte europeo aveva giudicato insufficiente il documento redatto dall’ultimo incontro avvenuto, sottolineando le carenze sulla limitazione delle emissioni. Già dopo la COP25 di Glasgow si sollevò disapprovazione in merito alla decisione dell’eliminazione dell’uso di carbone, della quale venne decretata in conclusione, anziché la completa eliminazione, la sola riduzione. Una commistione di reazioni avverse e talvolta speranzose che spesso si traduce in ambiguità circa la reale efficacia degli incontri internazionali.

L’ultima conferenza ha visto per la prima volta l’istituzione di un fondo specifico per riparare le perdite e i danni del cambiamento climatico, una richiesta avanzata principalmente da paesi a basso e medio reddito. Tra questi, svariati paesi africani coinvolti nell’ormai consolidato fenomeno della “mobilità climatica”. Difatti tra le prima cause di migrazione intra-africana si annovera il cambiamento climatico in grado di provocare effetti significativi sul territorio.

L’ex vicepresidente dell’Unione Europea, Frans Timmermans, ha denunciato l’insufficienza dei provvedimenti mettendo in luce un profondo divario tra le politiche e la scienza sul clima. Identificando come principali ostacoli alla transizione ecologia la paura del cambiamento e i costi di attuazione. Alla luce dei mutamenti climatici e dei disastri che hanno colpito indiscriminatamente molteplici paesi, si è auspicato all’eliminazione dei sussidi e dei finanziamenti alle fonti fossili.

Al fine di mantenere l’obiettivo di 1,5 gradi si è riconosciuto nel 2022 la necessità di una riduzione delle emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019. È inoltre emerso che per raggiungere zero emissioni nel 2050 è necessario investire 4.000 miliardi di dollari in rinnovabili fino al 2030. Ma il cammino verso la transizione ecologica globale necessita dell’impegno collettivo di ogni governo.

Il divario di produzione

Il Production Gap Report 2023, pubblicato dall’Agenzia ambientale dell’Onu, è un documento che traccia il disallineamento tra la produzione di combustibili fossili pianificata dai governi e i livelli di produzione globale effettivi coerenti con le limitazione previste di mantenimento del riscaldamento globale sotto 1,5 o 2 gradi.

Dal report emergono difformità tra le previsioni dei governi e i dati effettivi. Si prevede l’aumento della produzione di circa il 110% in più di combustibili fossili nel 2030 rispetto alla limitazione di 1,5 gradi, e il 69% in più rispetto ai 2 gradi . Inoltre i piani e le proiezioni porterebbero ad un aumento della produzione globale di carbone fino al 2030 e della produzione globale di petrolio e gas fino al 2050.

I paesi più impattanti

Il divario di produzione globale mette a rischio il flusso di una transizione energetica equa e ben gestita. Il report analizza le politiche energetiche di venti paesi produttori che hanno lanciato iniziative volte alla riduzione delle emissioni da combustibili fossili, ma nessuno si è impegnato a ridurre la produzione di carbone, petrolio e gas in linea con le aspettative discusse. Solo quattro paesi avverrebbero iniziato a sviluppare scenari di produzione domestica di combustibile fossile coerente con i target nazionali e globali di zero emissione.

I venti paesi rappresentano l’82% percento della produzione e il 73 % del consumo dell’offerta mondiale di combustibili fossili con riferimento al 2021. La Cina risulta produrre, così come consumare, circa la metà dell’offerta mondiale di carbone. Mentre circa il 40 % del petrolio mondiale è prodotto da Stati Uniti Russia e Arabia Saudita (paese che ospiterà l’imminente conferenza delle parti).

Inoltre Aramco, la compagnia nazionale saudita di idrocarburi (detentrice del 17% della riserva mondiale di petrolio) ha esplicitato la sua intenzione di continuare ad essere un grande produttore. Dichiara la sua posizione come «uno dei produttori di carbonio a livello globale più a basso costo» e prospetta che «il mondo probabilmente non smetterà di avere bisogno di petrolio e gas per il prossimo futuro».

Principali meriti della COP

Le COP rappresentano uno sforzo globale significativo per affrontare la minaccia dei cambiamenti climatici. Il loro contributo nel tempo passa per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui cambiamenti climatici dagli anni ’90. L’istituzione di assemblee internazionali per il clima ha favorito il rafforzamento degli impegni nazionali per ridurre le emissioni di gas serra.

La conferenza di Copenaghen registrò il successo tradotto nel riconoscimento della necessità di limitare l’aumento della temperatura globale a 2 gradi . Provvedimento avvalorato ulteriormente anche nella COP21 di Parigi, nella quale si fissò l’obiettivo di perseguire gli sforzi al fine di limitare l’aumento a 1,5 gradi. Difatti l’Accordo di Parigi del 2015 è riconosciuto come uno dei maggiori risultati ottenuti dal ciclo di negoziati internazionali.

Tra i traguardi conseguiti, oltre ai criteri di temperatura, vi è l’istituzione dei contributi nazionali determinati (NDC), ovvero i piani nazionali di ciascun paese in materia di riduzione delle emissioni di gas serra. Durante la COP21 furono visionati i NDC di 196 paesi, dai quali è scaturito il patto climatico globale e condiviso.

Il futuro

Malgrado la resistenza di molti paesi ad assecondare una transizione ecologica lineare, è molto probabile che uno sforzo economico e sociale compiuto oggi si traduca in maggiore sicurezza nel futuro. La minaccia all’agricoltura, gli estremi mutamenti dell’habitat, le migrazioni forzate, l’emergenza alimentare, l’aumento delle disuguaglianze sono tutti elementi che prospettano un tetro destino, più che un futuro. L’unico ragionevole modo per invertire la rotta e orientarla verso un futuro più ecologico è la perseveranza collettiva verso un obiettivo comune. L’auspicio è che malgrado le divergenze e le visioni discordanti, la COP28 possa rivelarsi a tutti gli effetti uno strumento efficace all’adattamento climatico, aprendo le porte ad un avvenire sempre più rigoglioso in materia di coesione e sostenibilità.

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