Katy Hessel

Cosa c’entra la musica con la violenza sulle donne?

Come gli anni passati, in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, scendono in piazza decine di migliaia di donne per manifestare e rivendicare i propri diritti.

Le notizie che sentiamo ogni giorno testimoniano che si tratta di una vera e propria emergenza, un problema così grande da corrodere ogni giorno la nostra società: le indagini ISTAT sono a dir poco raccapriccianti. Eppure pare che, negli ultimi anni, la consapevolezza delle donne stia crescendo: seppur siano ancora molto diffusi gli stereotipi sulla violenza, sembrerebbe che la violenza fisica nella coppia sia tollerata sempre meno.

Un traguardo raggiunto negli ultimi tempi è senza dubbio la Convenzione di Istanbul, “un quadro giuridico completo volto a proteggere le donne da ogni forma di violenza, al fine di prevenire, perseguire ed eliminare la violenza sulle donne e la violenza domestica, e di attuare politiche globali e coordinate”.

In questa Convenzione, la violenza sulle donne viene finalmente riconosciuta come violazione dei diritti umani e vengono quindi riconosciuti come reati lo stalking, le mutilazioni genitali femminili, la sterilizzazione forzata, l’aborto forzato e il matrimonio forzato.  Implica quindi una condanna per tutti i Paesi che non adottano risposte adeguate per prevenire tali fenomeni: un passo avanti decisamente significativo per l’Unione Europea.

Ma cosa c’entra la musica con la violenza sulle donne?

La musica – così come l’arte, il cinema, lo spettacolo – riflette e modella la società in modi profondi. Ma talvolta può anche contribuire a perpetuare stereotipi di genere e ideologie dannose legate alla violenza sulle donne. Cerchiamo quindi di capire come la musica influenzi il pensiero, alimenti la mentalità patriarcale e possa, in alcuni casi, contribuire alla violenza di genere.

Il gender pay gap nell’industria musicale

La violenza nei confronti delle donne nel mondo della musica non si limita alla forma fisica, ma si estende anche a quella psicologica ed economica. Quest’ultima manifestazione di violenza si verifica spesso quando l’uomo cerca di controllare le finanze nella coppia, privando la sua compagna di qualsiasi autonomia finanziaria. Nonostante non si giunga a casi così estremi, si osserva ancora una disparità salariale nel mondo della musica e oltre.

In un’intervista di Billboard Italia, durante una discussione del rapporto di Equaly con la sociologa Rebecca Paraciani, è emerso che le professioniste del settore tendono spesso a minimizzare gli episodi che le coinvolgono, riconoscendo tuttavia il problema. Tra le tante lavoratrici intervistate (hanno tutte preferito rimanere anonime), una professionista specializzata nella promozione digitale afferma che:

C’è ancora tanto su cui lavorare. Ciò che manca davvero è una gender balance. Ovvero, si può notare da parte di tutti come le donne occupino sempre ruoli di un certo tipo all’interno dell’industria discografica, soprattutto marketing e promozione. Tutti ruoli che non prevedono l’esposizione diretta in prima linea. Anzi, che rimangono decisamente nel backstage, dove il salario è più basso e non ci sono grandi possibilità di crescita. Gli uomini invece hanno sempre ruoli più manageriali e dirigenziali. Questo è un dato di fatto.

Recenti studi evidenziano inoltre che il gender pay gap nella musica non è solo una questione economica, ma si riflette anche nelle rappresentazioni e nelle opportunità per le artiste. Questa disparità contribuisce a una percezione di inferiorità delle donne nella società musicale. Il cammino verso l’uguaglianza economica è dunque ancora piuttosto impegnativo.

La violenza passa anche attraverso l’esclusione

Il panorama musicale è ampiamente dominato dal genere maschile, con una netta disparità di rappresentanza femminile. Le donne nel settore musicale sono numericamente inferiori agli uomini e questa disparità si accentua ulteriormente nel processo di creazione e produzione musicale. Questa osservazione è supportata da dati concreti: secondo una ricerca condotta da Nuovo Imaie su un campione di 389.219 canzoni italiane, solo nell’8,3% dei casi le donne sono le principali interpreti dei brani.

Un ulteriore esempio di questa disuguaglianza si riscontra nel celebre Festival di Sanremo, che in 73 edizioni, dal 1950 al 2023, ha mostrato una presenza femminile non solo notevolmente inferiore, ma pressoché assente quando si considerano le donne coinvolte in ruoli decisionali durante le diverse edizioni del festival. Un dato sorprendente emerge riguardo ai direttori artistici, ruolo ricoperto da soli 76 individui nella storia del festival: solo una donna, Carla Vistarini, ha avuto l’onore di assumere questa posizione, condividendola con Pino Donaggio e Giorgio Moroder. Questo dato rappresenta una situazione notevolmente sbilanciata e merita un’attenta riflessione, perché la violenza sulle donne nel mondo della musica passa anche attraverso l’esclusione.

Il linguaggio maschilista nella musica

La musica spesso riflette le dinamiche sociali, inclusi gli stereotipi di genere, e ha il potere di plasmare le percezioni e influenzare il pensiero collettivo. Talvolta, le canzoni possono veicolare messaggi che rafforzano ruoli di genere tradizionali e stereotipi nocivi, legati alla mentalità patriarcale, e i brani con testi misogini o stereotipati possono contribuire a normalizzare visioni distorte delle relazioni di genere, alimentando così atteggiamenti negativi.

In particolare, la musica italiana (non solo nel rap e nella trap, ma in tutti i generi musicali) spesso rientra in stereotipi di genere che perpetuano visioni limitate delle donne. Innumerevoli canzoni – e relativi videoclip – utilizzano il corpo femminile come richiamo sessuale, concorrendo a oggettivare le donne e ad alimentare una cultura sessista, influenzando la percezione sociale della femminilità. Ma sono abbondantemente più numerose le canzoni che veicolano implicitamente messaggi che giustificano o normalizzano la violenza contro le donne, essendo la musica strettamente legata al linguaggio e al vocabolario di matrice fortemente maschilista e patriarcale.

La musica può essere uno strumento di educazione e rivoluzione?

Tantissimi artisti di tutto il mondo hanno sempre cercato di offrire il proprio contributo nella lotta contro la violenza sulle donne: hanno fatto sentire la propria voce, sfidando apertamente chi considera le donne semplicemente come oggetti e si arroga il diritto di abusarne o umiliarle con approcci indesiderati. Così facendo hanno dato un forte segnale di protesta, opponendosi a coloro che perpetuano tali atteggiamenti e ribadendo il principio fondamentale del rispetto per le donne.

Da Amy Winehouse a Sergio Endrigo, da Eminem a Lu Colombo, passando per Beyoncé e Levante e molti altri ancora: numerosissimi i musicisti che denunciano esplicitamente questo tema, mentre altri, in modo ancora più intenso e toccante, cercano quasi di far rivivere la traumatica esperienza vissuta dalle vittime, offrendo una prospettiva diretta e coinvolgente sulla situazione e mostrando tutte le diverse facce di quest’orrenda realtà.

Partire dalla musica e dal linguaggio per rieducare

Il cambiamento parte dall’educazione e dal linguaggio, facendosi poi strada nel giornalismo e nell’arte in tutte le sue forme. È da qui che possiamo partire per generare il cambiamento: un esempio semplicissimo che possiamo fare è, quando raccontiamo la violenza, quello di non scrivere usando una forma passiva, tramite la quale la tragedia viene diminuita, minimizzata; se invece venisse sempre usata la forma attiva, si attribuirebbe la giusta responsabilità al colpevole.

Il rapporto tra musica (e qualsiasi altro tipo di espressione e linguaggio) e violenza sulle donne è complesso e multifattoriale. Mentre alcuni artisti cercano di sensibilizzare attraverso la loro arte, altri contribuiscono involontariamente alla perpetuazione di stereotipi nocivi.

Dobbiamo ricordarci che non è mai troppo presto per iniziare a educare all’affettività: la promozione di messaggi positivi e consapevoli sono cruciali per promuovere una cultura di rispetto e uguaglianza, affinché Giulia, Francesca, Annalisa, Anna, Sofia e tutte le altre bambine, ragazze e donne vittime di violenza non vengano mai, mai, mai dimenticate.

Facciamo sì che questo 25 novembre diventi sì un’occasione per ricordare tutte le vittime che ci sono state finora, ma sia anche un nuovo punto di partenza per tutti, che abbia come obiettivo l’eliminazione delle discriminazioni e il raggiungimento dell’uguaglianza di genere.

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