L'indissolubile legame dei fratelli Van Gogh

L’indissolubile legame dei fratelli Van Gogh

L’epistolario di Vincent van Gogh

Pochi artisti nella storia dell’umanità hanno raggiunto la notorietà di Vincent van Gogh.

Il pittore olandese non ha potuto godere di questa fama in vita, essendo la sua arte incompresa ai più; eppure, vi è un personaggio che è stato in grado di riconoscere il suo genio artistico: il fratello Theo.

Tra i due fratelli esisteva un legame così forte che ha permesso a Theo di accorgersi dell’enorme talento di Vincent: è infatti arrivato fino a noi un ricco epistolario delle lettere tra i due.

Gli inizi della corrispondenza

Nell’agosto del 1872 Vincent scrive una lettera al fratello Theo: essa sancirà l’inizio di una fitta corrispondenza che avrebbe mantenuto legati i due fino alla morte del primo.

Considerato amico e confidente di primo livello, Vincent lo rende costantemente partecipe delle sensazioni che gli provocano la natura e l’arte.

Particolarmente significativa in tal senso è la lettera scritta il 6 luglio 1875 da Parigi:

Ho preso in affitto una stanzetta a Montmartre. È piccola, ma guarda su un giardinetto pieno di edera e di viti selvatiche.

L’edera, tra le varie piante e fiori, deve aver avuto per Vincent un significato simbolico: rappresenta il legame d’amicizia che lo lega a Theo. Scrive infatti ancora il 21 gennaio 1877:

Dalla mia finestra vedo alberi di pino e di pioppo e il retro di vecchie case dove, sulle grondaie, si arrampica l’edera.

Le lettere nel corso degli anni

Vincent è un uomo estremamente sensibile e attento alla realtà che lo circonda.

Per riuscire ad alleviare il senso di sofferenza che permea la sua vita fino alla fine, cerca degli strumenti che possano permettergli di esprimersi al meglio delle sue possibilità.

Scrittura e pittura si collocano in cima alla lista, risultando essere per lui due gesti indissolubili e profondamente legati.

Le lettere che invia al fratello sono infatti ricche di schizzi, disegni a margine fatti con inchiostro e a volte lievi pennellate di acquerello.

Le lettere inviate a Theo rappresentano un lascito ancora più prezioso di quanto già non siano i suoi dipinti, e questo perché da esse emerge la profondità del rapporto tra i due fratelli, che si basa su confidenze di natura sentimentale, aiuti di natura economica e, ovviamente, considerazioni sull’arte.

Riguardo il primo punto, Vincent diventa nel 1887 l’amante di Agostina Segatori, un’italiana proprietaria del caffè degli artisti Le Tambourin, ma presto conclude la relazione come racconta a Theo:

Quanto alla Segatori, è una faccenda diversa, io sento ancora del trasporto per lei e spero che anche lei ne abbia ancora per me. Ma adesso si trova nei guai; non è libera e non è padrona della sua stessa casa.

Parlando del secondo aspetto, Vincent è sempre stato in difficoltà a livello economico e deve molto all’aiuto di suo fratello:

A Etten ho saputo che mi avevi mandato venti franchi, ebbene, li ho ricevuti. Ed è proprio per ringraziarti che ti scrivo.

Nell’inverno del 1884, poi, a proposito delle considerazioni artistiche, significativi i passi in cui parla dei suoi studi su figure umane:

Sono tutto preso dal dipingere teste. Dipingo di giorno, e alla sera disegno. In questo modo ho già dipinto certamente per 30 volte e per altrettante ho disegnato.

Ma a chi scrive Vincent?

Ma Vincent a chi scrive esattamente? I suoi scritti, così intimi e personali, fanno pensare quasi a una sorta di diario rivolto sì al fratello, ma in quanto diario anche a se stesso.

A Theo lo lega una profonda somiglianza fisica e caratteriale, tanto che Theo sembrerebbe una versione speculare di Vincent.

Il rapporto simbiotico che lega i due si avverte anche nel senso di devozione che Vincent manifesta a Theo in molteplici occasioni, arrivando a dire a proposito dei suoi quadri che

ti assicuro che tu li avrai creati quanto me: il fatto è che li fabbrichiamo in due.

L’arte come sollievo

Nonostante ciò le idee dei due fratelli in fatto di arte sono piuttosto diverse. Nella riflessione sulle stesse Vincent esprime quella che è la sua arte:

Trovo che quanto ho imparato a Parigi se ne va e io ritorno alle idee che mi erano venute in campagna, prima di conoscere gli impressionisti. […] Invece di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo più arbitrario per esprimermi con intensità.

Ma presenti sono anche continue riflessioni sulla sofferenza umana e su come il destino degli artisti forse sia, in un certo senso, maledetto, seppur il loro compito non si esaurisca certamente nella vita:

È veramente un fenomeno strano che tutti gli artisti, poeti, musicisti, pittori, siano materialmente degli infelici – anche quelli felici […] Ciò riporta a galla l’eterno problema: la vita è tutta visibile da noi, oppure ne conosciamo prima della morte solo un emisfero? I pittori – per non parlare che di loro – quando sono morti e sepolti parlano con le loro opere a una generazione successiva o a diverse generazioni successive.

Scritta solo due anni prima del tragico epilogo questa lettera sembra manifestare, nella sua continuazione, tutta la carica magica e spirituale che è condensata in gran parte dei dipinti di Van Gogh:

Dichiaro di non saperne assolutamente nulla, ma la vista delle stelle mi fa sempre sognare, come pure mi fanno pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche città e villaggi.

Insieme fino alla fine

Per quanto non siano effettivamente morti insieme, è commovente notare che la morte dei due fratelli sopraggiunge in successione nel giro di pochissimo tempo.

Vincent, che poco tempo prima si è fatto rinchiudere presso l’istituto di Saint-Rémy essendo preoccupato per la sua incolumità e per quella altrui, muore il 27 luglio 1890 a causa di un colpo di pistola autoinflitto al petto.

Angosciato dalla morte del fratello, Theo gli sopravvive soltanto sei mesi, morendo in una casa di cura a Utrecht.

Nel 1914 le sue spoglie vengono traslate a Auvers-sur-Oise, in una tomba accanto a quella di Vincent.

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