Solo silenzio per Emanuela Orlandi

Sono passati quarant’anni esatti dalla sparizione di Emanuela Orlandi, una ragazza di quindici anni residente a Città del Vaticano, scomparsa misteriosamente un pomeriggio di giugno del 1983. Dietro la sua vicenda si celano ancora molte domande rimaste senza risposta e, ad oggi, quale sia stato il destino della giovane è ancora uno dei misteri più torbidi della cronaca italiana.

Che cosa è successo a Emanuela Orlandi?

La vita della famiglia Orlandi si è fermata quel 22 giugno del 1983 quando Emanuela, lungo il tragitto di ritorno dalla lezione di musica, è scomparsa senza lasciare tracce. Quel pomeriggio ha dato inizio a un calvario che ancora oggi non si prospetta a trovare una fine e che ha visto dare alla luce decine di ipotesi. In un primo momento si è pensato che il suo rapimento fosse legato all’attentato ai danni di Papa Giovanni Paolo II. A seguito di alcune telefonate anonime il presunto rapinatore (“L’Americano”) prometteva la liberazione di Emanuela in cambio di quella di Ali Ağca, l’attentatore del Papa. Dopodiché è emersa un’altra pista che ha fatto emergere la possibilità che dietro la sparizione di Manuela ci fosse la Banda della Magliana, un’organizzazione criminale mafiosa operante a Roma e nel Lazio, la cui presenza è stata ribadita in diverse occasioni.

Ancora oggi è difficile inquadrare il ruolo che l’organizzazione ha avuto all’interno del rapimento di Emanuela Orlandi perché le due ipotesi principali illustrano due posizioni sostanzialmente opposte. Da una parte, infatti, la scomparsa della giovane sarebbe stato il culmine di un giro di riciclaggio di denaro finito male. Secondo questa ipotesi il rapimento di Emanuela (non a caso una “Vatican girl”) potrebbe essere una rivendicazione da parte della criminalità organizzata, che rivoleva indietro i soldi prestati al Vaticano e mai restituiti a causa del fallimento del Banco Ambrosiano.

Ipotesi recenti

La terza ipotesi, invece, ribalta il ruolo della Banda della Magliana, che da avversaria diventa collaboratrice del Vaticano. Secondo quest’ultima pista, recentemente emersa, Emanuela sarebbe stata vittima di attenzioni non volute da parte di una persona molto vicina al Papa. Accertare un’ipotesi simile, quindi, equivarrebbe ad affermare che il germe della pedofilia è riuscito a infiltrarsi anche negli alti ranghi del Vaticano.

Tutte le strade portano a Roma, o meglio, al Vaticano

Ricreare il caso Orlandi con precisione assoluta è praticamente impossibile, perché nei lunghi anni che ci separano dalla sua scomparsa i depistaggi, gli interventi e le testimonianze hanno creato una pista così confusa da rendere difficile avere una visione chiara sulla vicenda. È probabile che ognuna delle tre ipotesi principali contenga una traccia di verità e restituisca uno scorcio di quello che accadde realmente quel pomeriggio. Tutt’oggi non è ancora possibile giungere a una conclusione certa, ma l’unico punto fermo della vicenda (e filo rosso nelle tre ipotesi) resta il coinvolgimento diretto del Vaticano.

Ad accentuare ulteriormente questo legame e il fatto che probabilmente il rapimento di Emanuela Orlandi è opera di un’istituzione, emergono due episodi. Il primo risale al 2005, quando alla redazione del programma «Chi l’ha visto?» In onda su Rai 3 arrivò una telefonata anonima in cui si diceva che per risolvere il mistero di Emanuela era necessario andare a vedere chi era sepolto nella basilica si Sant’Apollinare, a Roma. Si scoprì che tra le mura di quell’edificio era stato riservato un posto d’onore proprio a Enrico De Pedis, detto “Renatino”, che era uno dei boss della Banda della Magliana. Il motivo di questa particolare sepoltura era stato giustificato a seguito di un favore che Renatino fece al cardinale Poletti.

Viene da chiedersi quale possa essere il favore che ha permesso a un criminale (e non uno qualunque) di essere sepolto in luogo simile. C’è chi dice che dietro questa particolare decisione ci sia una donazione molto consistente da parte dei famigliari di De Pedis alla basilica e chi, invece, allude a motivazioni molto più torbide e inerenti alla vicenda di Emanuela Orlandi.

Il documento

Il secondo episodio, che ha riacceso la memoria del caso Orlandi, si intreccia con la vicenda di Vatileaks (2012-2015). Come è noto la fuga dei documenti partì da Paolo Gabriele, aiutante di camera di papa Benedetto XVI (Ratzinger), che divulgò una serie di documenti vaticani segreti. Tra questi spiccava anche un documento, datato marzo 1998, con il titolo di Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968). La lettera sarebbe stata scritta dal cardinale Lorenzo Antonetti e indirizzata all’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Giovanni Battista Re. La lettera conteneva il rendiconto delle spese che il Vaticano avrebbe sostenuto per gestire il rapimento e la successiva permanenza a Londra di Emanuela Orlandi e che ammonterebbero a circa 500 milioni di lire.

Ci sono molti aspetti che lascerebbero presupporre che si tratti di un falso; tuttavia, resta il fatto che questo documento è stato redatto da qualcuno e poi consegnato e inserito nell’archivio di monsignor Balda. A causa delle numerose incertezze che presenta il documento, questo non è mai stato considerato come una prova fondamentale per il caso, ma una prospettiva del genere, se validata, provocherebbe un uragano di dimensioni tali da causare la caduta del Vaticano.

Il silenzio della Chiesa

Papa Francesco è il terzo Pontefice che si sussegue dalla vicenda di Emanuela Orlandi. Prima di lui Wojtyla mostrò un atteggiamento alquanto ambivalente: in un momento in cui ancora non si parlava di rapimento, infatti, fu lui a tirare in ballo la questione di un sequestro di persona. Mentre Ratzinger, più fermo, fece innalzare un muro sulla questione e “se ne lavò le mani”. Con l’elezione di Papa Francesco si è intravisto un atteggiamento leggermente differente, anche se di apertura non si può certo parlare.

Pochi giorni dopo la sua nomina, durante una messa celebrata in ricordo di Emanuela Orlandi, papa Francesco ha sussurrato una frase che lascerebbe presupporre che sia a conoscenza della verità (soprattutto perché provengono dalla bocca di un capo di stato). «Emanuela sta in cielo» così ha sussurrato il Pontefice all’orecchio di Pietro Orlandi e sua madre. Dopodiché di nuovo il silenzio, fino a qualche mese fa quando, a meno di dieci giorni dalla scomparsa di Ratzinger, la decisione di riaprire il caso ha lasciato tutti a bocca aperta. Questa scelta ha riacceso le speranze della famiglia, perché arriva dopo un silenzio lungo quasi dieci anni.

L’11 aprile 2023, Pietro Orlandi e la sua legale sono stati accolti dal Promotore di giustizia Alessandro Didi, e lì sono ascoltati per oltre otto ore. Tra le documentazioni prodotte ci sono degli screen di una chat risalente ai primi anni del pontificato di Francesco, in cui si parla di Emanuela, e un audio contente la registrazione di uomo che accusa Wojtyla di atti a dir poco compromettenti.

E Papa Francesco?

Per oltre dieci anni di pontificato, Papa Francesco non si è distinto molto dai suoi predecessori, per quanto riguarda il rapporto con il caso Orlandi. Recentemente si sono susseguite una serie di iniziative che aprono uno spiraglio di speranza. Dopo la riapertura del fascicolo di inchiesta sul caso, Papa Francesco, in occasione dei quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela, ha deciso di ricordare la ragazza durante l’Angelus. Per il fratello Pietro Orlandi questo fatto ha rappresentato un segnale di grande distensione, ma resta ancora tutto da fare.

Che queste decisioni siano state frutto della volontà di distaccarsi da un passato torbido e indecente o siano il tentativo di mettere a tacere un oppositore, non ci è dato sapere. Ma è bene ricordare che lungo questi quarant’anni il Vaticano si è sempre opposto a qualsiasi verità. Non solo alla “Verità” con la V maiuscola, quella che nasconde i colpevoli e le responsabilità reali, ma qualunque tipo di verità. Nel corso di questi lunghi quarant’anni c’è stato solo silenzio per il caso Orlandi.

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