Sindrome Italia: la malattia che colpisce le badanti

Prendersi cura di una persone anziana è un atto di profondo altruismo ma allo stesso tempo può essere un lavoro decisamente usurante. In Italia il 70% dei collaboratori domestici è di origine straniera, prevalentemente dell’Est Europa e di sesso femminile, scappati da situazioni difficili nel Paese d’origine per approdare nella case degli italiani più anziani.

Esiste una sindrome che tormenta questa categoria e, non a caso, è chiamata “Sindrome Italia”, che si manifesta tramite ansia, attacchi di panico e depressione. Spesso è necessario il ricovero in ospedali psichiatrici per cercare di risollevarsi dai traumi vissuti come colf o badante in un Paese straniero, senza conoscere la lingua locale, lontano da casa, senza tutele né diritti o adeguato riposo.

Cause e sintomi della Sindrome Italia

Nel 2005 due psichiatri ucraini Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych hanno identificato una nuova forma di depressione che colpisce in modi specifico migliaia di donne rientrate in patria dopo anni di lavoro domestico presso famiglie all’estero, nella maggior parte dei casi italiane. Il lavoro usurante comporta una radicale frattura identitaria e un affievolimento del senso di maternità, il quale, causa della distanza, è vissuto con enormi sensi di colpa. Tutto ciò si manifesta con episodi di ansia, attacchi di panico e può spingere al suicidio. Tutto ciò è la Sindrome Italia.

L’altra faccia della medaglia è stata studiata in Romania e riguarda tutti quei bambini che rimangono a casa e vedono le proprie mamme andarsene per anni. A volte restano con i padri ma più comunemente sono le nonne, le zie o i vicini di casa a crescerli, a volte nessuno e, quando la mamma finalmente ritorna, loro non la riconoscono più. Passa troppo tempo e madri e figli diventano estranei. Si chiamano “orfani bianchi” in Romania, “orfani sociali” in Moldavia e sono alti i tassi di suicidio anche tra di loro.

I numeri della sindrome

Il numero di queste “mamme migranti” è enorme, si aggira intorno ai due milioni, fra regolari e irregolari, secondo le stime di Domina, l’Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico. Nel 2018 i contribuenti all’Inps sono stati 859.233.

Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, i moldavi regolarmente soggiornanti in Italia nel 2019 erano 125.285, di cui 66,6% donne. In Moldova nel 2001 la popolazione era di 4.300.000 abitanti mentre, secondo il censimento del 2014, il numero degli abitanti è sceso a tre milioni a causa delle emigrazioni. Allo stesso modo, gli ucraini regolarmente in Italia nel 2019 erano 234.058, di cui 78,8% donne, mentre gli irregolari sono stimati tra i 500.000 e il milione.

Ogni anno dalla Romania arrivano in Italia circa un milione di donne e solo la Siria esporta più migranti in Europa. Si tratta anche di casi di brain waste, ovvero personale qualificato in un determinato settore che si trova a svolgere mansioni non specializzate in un altro Paese, in cui le sue competenze non vengono riconosciute.

Un circolo vizioso e le sue conseguenze

La sindrome Italia nasce da un circolo vizioso: le donne lasciano il loro Paese in cerca di fortuna e maggiore sicurezza economica, vanno in Italia e trovano lavoro come colf e badanti. Molte spediscono lo stipendio a casa per assicurare un futuro migliore ai figli, nel frattempo questi ultimi soffrono la lontananza dalla madre che convive con un forte senso di colpa nei loro confronti per non essere presente. La perdita dell’identità è accentuata anche dalla distanza dai propri affetti e il risultato di tale situazione è la comparsa di sintomi fisici ed emotivi molto gravi sia per chi parte sia per chi sta a casa.

Secondo Petronela Nechita, primaria psichiatra della clinica di Iasi, in Romania, la sindrome Italia è un fenomeno medico-sociale causato dalla mancanza di sonno, gli orari di lavoro usuranti prolungati senza sufficiente riposo, il distacco dalla famiglia e il peso emotivo del senso di colpa per aver delegato ad altri la mansione di madre.

L’esperienza lavorativa, inoltre, potrebbe essere drammatica. Il lavoro domestico presenta un tasso di irregolarità del 52,4% ed è facile quindi essere vittime di ingiustizie e sfruttamento: molte donne vengono assunte con contratti di meno ore rispetto a quanto effettivamente lavorano. Arrivano in Italia e non conoscono la lingua (o il dialetto) dell’assistito, spesso vengono insultate e maltrattate e alcune non hanno giorni di riposo oppure li rifiutano per guadagnare di più e si ritrovano distrutte fisicamente e mentalmente da ritmi massacranti. Accudiscono persone anziane, dementi o non autosufficienti per ventiquattro ore al giorno con il fardello emotivo che si sono portate dal luogo d’origine.

Al rientro in patria la terapia per la sindrome può durare anche cinque anni e un terzo delle ricoverate tenta il suicidio e ci riesce. Le morti sono silenziose, le famiglie chiedono di oscurare l’accaduto e aggiustare i certificati di morte perché in Romania la religione ortodossa nega i funerali e il posto al cimitero a chi si toglie la vita volontariamente.

Le testimonianze

In un’intervista del «Il Manifesto», Tatiana Nogailic, quarantasette anni, moldava e Svitlana Kovalska, cinquantasei anni, ucraina, hanno l’occasione di raccontare cosa è stata per loro, in prima persona, la sindrome Italia.

La prima, madre di un figlio con il quale è riuscita a ricongiungersi e moglie divorziata di un marito scomparso in Russia, la definisce come “la depressione conseguente alla rottura traumatica del rapporto affettivo tra madre e figlio, come il taglio di un secondo cordone ombelicale.” Mentre per la seconda, laureata in lingua e letteratura russa, ex insegnante e preside di una scuola ai tempi dell’URSS,  “è ansia e depressione e stress da lavoro di cura.”

Nell’intervista spiegano che la maggior parte è arrivata alla fine degli anni ’90, dopo il crollo dell’ex unione Sovietica e del suo sistema socio-economico. Anche se hanno marito e figli, sono arrivate sole. L’età media è quarant’anni e sono tutte preparate con un livello di istruzione medio-alto.

L’ostacolo più grande però non è la discesa sociale e lo svolgimento di mansioni non qualificate, ma il “confinamento sociale”, la minimizzazione del tempo libero e i rapporti interpersonali ridotti. Anche nel loro Paese sono criticate:  traditrici della Patria e della famiglia, come credeva l’ex presidente ucraino Leonid Kucma. Partono con l’idea di tornare dopo un anno ma nono possono, se non sono in regola, e il tempo passa. Il loro unico conforto, rifugio e luogo di incontro rimane la chiesa greco-ortodossa.

Secondo Tatiana “la sindrome non si chiama italiana perché qui veniamo trattate peggio che altrove“. L’Italia, semplicemente, è il Paese più “badantizzato” d’Europa perché il clima è favorevole, c’è più offerta di lavoro perché c’è più bisogno di cura ed è meno difficile entrare; inoltre gli italiani sono più accoglienti rispetto ai nordeuropei.

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