Dove si muore per amore

Il 17 maggio del 1990 l’Organizzazione mondiale della Sanità tolse l’omosessualità dall’elenco delle malattie. Questa decisione contribuì a smussare quei pregiudizi e quelle mentalità retrograde che avevano a lungo governano le decisioni politiche prese in gran parte dei paesi del mondo. Da quel giorno si sono compiuti passi avanti, ma per molti la libertà di poter amare chi si vuole resta ancora una speranza impossibile. Per celebrare il mese del Pride (giugno) è importante ricordare che al mondo c’è ancora chi muore per amore.

Una “rainbow map” per capire la condizione della comunità LGBTQIA+

Ogni anno alla vigilia della Giornata Internazionale contro l’Omotransfobia, che si celebra il 17 maggio, ILGA-Europa diffonde una cartina che mostra la qualità della vita delle persone LGBTQIA+ in Europa e in Asia centrale. Attraverso un’analisi delle leggi e delle politiche promulgate durante l’anno, ILGA-Europa crea una lista che assegna una percentuale ad ognuno dei quarantanove stati presi in considerazione. Di conseguenza, il livello massimo che può essere raggiunto è quello di “rispetto per i diritti umani, piena uguaglianza” che corrisponde al 100%, mentre il livello minimo, che corrisponde allo 0%, è quello di “grande violazione dei diritti umani, discriminazione”. Di certo una percentuale non riesce a dipingere con esattezza la qualità di vita di una persona o a riflettere con esaustività le sfumature che una questione così complessa può assumere, ma è significativa di quello che la comunità queer è costretta a sopportare ogni giorno.

In generale si può affermare che nonostante l’intensificarsi degli attacchi e delle politiche anti-LGBTQIA+  si sono compiuti passi avanti verso un processo di maggiore uguaglianza. Molti paesi d’Europa, ad esempio, hanno incluso l’identità di genere o l’orientamento sessuale all’interno delle leggi contro la discriminazione, permettendo alla comunità queer di avere uno strumento legale a cui appellarsi in caso di abusi o discriminazioni. Ma manca ancora molto per raggiungere la piena uguaglianza perché al mondo esistono luoghi dove la possibilità di amare chi si vuole non è nemmeno contemplata.

Un futuro incerto per la comunità LGBTQIA+

«La famiglia è santificata, nessuno può andare contro la famiglia». È con queste parole che il rieletto presidente Erdogan ha salutato i propri sostenitori, poco dopo l’annuncio della sua vittoria. Da quel palco di Istambul ha tenuto a ribadire e a sottolineare il suo impegno nel contrastare “l’infiltrazione” (queste le sue parole) della comunità LGBTQIA+ all’interno del suo partito e del paese. Le associazioni per i diritti civili promettono di continuare a lottare per l’uguaglianza, ma farlo in un clima di tensione come quello è difficile, se non addirittura impossibile. Quello sta succedendo in Turchia non è diverso dal clima di opposizione che si manifesta in altre zone del mondo, dove l’omosessualità può arrivare a costare la vita.

Dove si muore per amore?

In Uganda, ad esempio, il presidente Yoweri Museveni ha recentemente firmato un disegno di legge che prevede la pena di morte per «omosessualità aggravata» o per «promozione dell’omosessualità». Ad essere presa di mira non è una persona LGBTQIA+ in sé ma una persona che dimostra di esserlo, quindi in Uganda è legalmente possibile essere queer ma solo se lo si tiene per sé.

In Uganda, così come in altri trenta paesi dell’Africa, le relazioni tra persone dello stesso sesso erano già illegali, ma questa legge legittima quel clima di violenza e intimidazione che spesso si scaglia contro la comunità LGBTQIA+.  Negli ultimi anni in varie zone del mondo si sono susseguite delle leggi con lo scopo di criminalizzare i rapporti sessuali tra persone omosessuali, arrivando anche a introdurre il carcere o multe pesanti. È quello che, ad esempio, è successo a Singapore o nelle Barbados, quando lo scorso dicembre è stata emanata una legge che vieta i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso.

Per molti la libertà di poter amare la persona che si vuole resta ancora un miraggio. Antichi pregiudizi e mentalità chiuse sembrano prevalere nelle agende istituzionali e portare a una sempre maggiore polarizzazione del discorso che ruota intorno alla questione. Si sono compiuti molti passi negli ultimi decenni, ma nessuno dovrebbe essere costretto a lasciare il proprio paese d’origine o a rischiare la pena di morte per questioni legate al proprio orientamento sessuale o alla propria identità di genere. Ancora sessantaquattro paesi al mondo considerano l’omosessualità un reato.

Come vanno le cose in Italia?

Il 2022 è stato l’anno peggiore dell’ultimo decennio per la comunità LGBTQIA+ in Italia. Ma questo non poteva andare diversamente perché a meno di un anno dal suo insediamento, l’operato del governo Meloni si è distinto per una serie di provvedimenti con il chiaro scopo di assottigliare i diritti delle persone queer. Colpisce sempre come le questioni che ruotano intorno ai diritti civili siano spesso all’ordine del giorno, mentre questioni di necessità collettiva, come la lotta alla crisi climatica, non vengano prese con la stessa urgenza con cui ci si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Fin dalla vittoria alle elezioni di settembre 2022, molti esponenti dell’attuale governo non hanno mostrato reticenza nel fare dichiarazioni molto controverse che hanno dimostrato l’esplicita opposizione delle forze di maggioranza nei confronti della comunità LGBTQIA+. Ma questo non è una novità perché da sempre il partito di Giorgia Meloni si è distinto per la sua visione dichiaratamente anti-LGBTQIA+ e per le sue lotte ideologiche esplicitamente omofobe. Da «l’omosessualità è un reato» detto da Lucio Malan, capogruppo di FdI al Senato al «le coppie omosessuali non sono legali» di Federico Mollicone, deputato di FdI, il clima politico si è fatto sempre più teso fino a culminare nell’aperta battaglia contro le famiglie arcobaleno.

Dopo l’affossamento del DDL Zan, l’Italia resta ancora uno dei pochi paesi in Europa a non godere di una legge che protegga e tuteli le persone LGBTQIA+ dai crimini d’odio. Recentemente, inoltre, alcuni provvedimenti hanno reso la vita delle persone LGBTQIA+ ancora più difficile, sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista giuridico.

Quale futuro per una persona LGBTQIA+ in Italia?

La Commissione europea ha presentato la proposta di creazione di un certificato europeo per omologare le norme in tema di genitorialità. L’obiettivo dietro questa proposta è quello di permettere alle famiglie omogenitoriali di essere riconosciute come tali in ogni paese membro dell’Unione. L’approvazione di una simile misura non gioverebbe solo alle famiglie omogenitoriali, ma anche alle coppie eterosessuali che hanno dato alla luce i propri figli mediante la tecnica di procreazione assistita dove la gestazione viene portata avanti da una persona esterna alla coppia. La commissione Politiche europee del Senato ha affossato definitivamente la proposta. Il tutto è avvenuto contemporaneamente all’emanazione di un nuovo provvedimento italiano molto restrittivo nei confronti delle famiglie arcobaleno. Poiché l’attuale governo ha fatto dell’ideologia anti-LGBTQIA+ la propria linea guida nell’agenda istituzionale, per la comunità queer italiana non si prospetta un futuro semplice.

François de La Rochefoucauld, filosofo e scrittore francese del XVII secolo, diceva: «A nessuno la fortuna parte tanto cieca quanto a coloro che non ne sono beneficati». Questa frase ci ricorda l’importanza di continuare a battersi per i diritti propri e degli altri perché l’omofobia uccide e gli stati che non la contrastano sono complici di quelle morti.

 

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