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Anny Romand, la forza nell’abbandono

Anny Romand e l’arte

Anny Romand è una donna la cui vita è votata all’arte. Attrice, regista, fotografa e infine scrittrice. Nel 2015 pubblica il suo primo libro “Mia Nonna d’Armenia”, nel quale fonde la memoria storica con quella familiare, dove parla della persona che più di tutte si è presa cura di lei, sua nonna, nel doloroso contesto storico del genocidio degli armeni.
A distanza di anni, pubblica il suo secondo romanzo, “Abbandonata” dove ancora una volta presenta le figure femminili della sua famiglia, vere e proprie colonne portanti della sua vita.

Donne abbandonate

Nell’arte, così come nella vita, il tema dell’abbandono è sicuramente uno di quelli che più profondamente toccano l’animo umano: si tratta di un dolore universale.
“Comment se fait-il qu’il y ait sur la terre une femme seule, délaissée?” – come può esserci sulla terra una donna sola, abbandonata? – scrisse Vincent Van Gogh in uno dei suoi disegni, dal titolo “Dolore”. L’opera rappresenta una giovane donna, incinta, chiusa su se stessa in una posa di dolore, forse di pianto.
Per una donna incinta, come lo era Rosy, la madre di Anny Romand allora diciannovenne, questo dolore si dilata rendendo la sfida ad andare avanti più ardua che mai. Il suo compagno, infatti, scappa. Si allontana da ogni tipo di responsabilità insinuando che non ci fossero prove che il figlio fosse suo.

La forza in se stessi

“Bisogna avere coraggio, avere forza. Ridare fierezza alle donne. Bisogna parlare della profondità della loro anima”. Queste le parole di Anny Romand, una donna cresciuta da donne, dalle quali ha imparato a galleggiare sopra il dolore e il senso di abbandono, ricercando la realizzazione in se stessa.

Grazie al mio temperamento artistico ho preso in mano la mia sofferenza e l’ho trasformata in energia positiva. Sarei potuta impazzire o andare in depressione, ho invece avuto la forza di rinascere dopo l’abbandono.

L’autrice e sua madre Rosy, sono legate alla stessa sorte: non aver mai conosciuto la figura paterna.
Un’esperienza simile innesca una serie di processi emotivi e traccia una serie di chiaroscuri indelebili nell’animo di un individuo.

Lasciare un bambino ai margini dell’album di famiglia rappresenta una desolazione, un tesoro abbandonato e divenuto inutile per sè, per la società. Un pasticcio spaventoso. Intense sofferenze. Il tempo dovrà lavorare per trovare l’equilibrio necessario e indispensabile alla fioritura di quell’essere.

Il fantasma del padre

“La mancanza è lì, è presente, a volte assopita, a volte sveglia, in ogni attimo della vita”.

Questa figura assente ma così presente, questo vuoto lasciato nella vita della protagonista, la marchia. Si tratta di un fantasma che la accompagna lungo il corso di tutta la sua vita, che elide una parte di lei.

In un’intervista, Anny Romand ha dichiarato:

Nel mio libro «Abbandonata» ho cercato di raccontare cosa significa non conoscere il proprio padre, non sapere chi sia, E cosa questo comporta nella vita. Che cosa si diventa in assenza di un padre, con la metà della propria genealogia che manca, […] nella mia famiglia avevano tutti gli occhi e i capelli scuri, io ero l’unica con occhi azzurri e capelli chiari. Cosa significa crescere via in una famiglia che non ti somiglia perché evidentemente c’è qualcosa che manca ed è ciò che faccio dire alla mia eroina: «mi manca qualcosa». È lacerante, è una tortura chiedersi per tutta la vita da dove vengo.

Questa ricerca continua della figura paterna viene sistematicamente scoraggiata dalla madre di Anny. “Non ci andare, non ci andare, sarà sgradevole con te, ti ferirà. Non ce la farai”.

Anny Romand e l’incontro col padre

All’età di quarant’anni la protagonista del libro, dopo la morte di sua madre, decide di affrontare finalmente questa figura che rappresenta un angolo cieco della sua vita. Si presenta a casa di suo padre, dove scopre che quest’ultimo è però malato di Alzheimer. Suo padre, ormai, non può “capire” né affrontare la situazione.

Bussa a quella porta, la porta a cui avrebbe dovuto bussare per tutta la vita, una porta che avrebbe dovuto aprire migliaia di volte per scoprire visi familiari. È strano averla sognata e vederla «per davvero», come dicono i bambini. Finalmente! Aveva creduto di non trovare mai la forza di affrontarla, di spingerla, quella porta, la forza umana di attraversare le numerose pareti che si frapponevano tra lei e quelle persone, muri opachi pieni di desideri, tradimenti, fierezze, rimorsi e oblio.

La protagonista fa i conti col passare degli anni, le tempistiche si rivelano sbagliate. Suo padre non è più in grado di creare una connessione con lei, sia che essa si declini in un confronto sia che si declini in uno scontro.
La guarda negli occhi e non sa né può riconoscerla. È quasi ironico, forse è tardi, forse è giusto così. È il momento di deporre le armi e guardare negli occhi l’uomo che l’aveva abbandonata.

In lei monta una collera sorda. Suo padre distoglie lo sguardo per posarlo su una finestra coperta da pesanti tendaggi. Non si vede fuori. O, anche se si vedesse, sarebbe soltanto il palazzo di fronte, che ha le finestre chiuse. Lui ha percepito la collera che saliva in quella donna sconosciuta che ha di fronte. Distoglie gli occhi, come aveva fatto anni prima con sua madre. Distogliere, eludere, respingere. La collera di lei. Una collera fredda, glaciale. Voglia di piangere per la rabbia, di picchiare quell’uomo per svegliarlo, perché infine diventi qualcuno con cui parlare, non un fuggitivo, un codardo, un fallito preoccupato soltanto dei suoi comodi, della sua tranquillità, della sua libido.

Eppure, laddove sfuma la possibilità di incontrare suo padre, si palesa, inaspettata, quella di fare entrare nella sua vita delle persone che, in fondo, sono parte della sua famiglia: i suoi fratellastri e la moglie di suo padre. Sarà quest’ultima, ancora una volta una donna, a riconoscerla immediatamente e a stabilire con lei una subitanea intesa.
Anny Romand chiama nuovamente una donna a simboleggiare l’unione, la conciliazione, l’accoglienza; in contrapposizione a ciò che suo padre ha strappato, ridotto a brandelli per poi passare oltre e dimenticare.



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