Dall’altra parte del muro, la Palestina

In una terra contesa, due popoli, israeliani e palestinesi, si scontrano da decenni. In una situazione che da sempre è drammatica, il 2023 si presenta però come un anno particolarmente violento, soprattutto contro la popolazione araba. Dopo l’analisi della situazione di Israele, uno sguardo dall’altra parte del muro, verso i territori palestinesi.

Israele-Palestina: le stragi del 2023

Il 2023 si è aperto con un numero straordinariamente alto di vittime palestinesi, uccise per mano israeliana. Nel solo mese di gennaio si contano quasi trenta morti. I rapporti tra Israele e Palestina, due stati creati dall’ONU nel 1947, sono infatti da sempre tesi. Dall’inizio dell’anno (si ricorda la camminata  provocatoria del nuovo ministro israeliano della Pubblica Sicurezza sulla Spianata delle Moschee) la fiducia sembra però essere ai minimi storici. Nonostante si registrino vittime sui due fronti e la violenza resti il metodo d’azione privilegiato per risolvere il conflitto, si ricorda che da gennaio si sono registrate una serie di azioni particolarmente violente ai danni della popolazione palestinese.

Il 26 gennaio a Jenin

Il 26 gennaio, nel campo profughi di Jenin (città palestinese nella Cisgiordania settentrionale), si è registrata la prima grande strage palestinese del 2023. Un autocarro del latte è entrato nel campo di prima mattina. Dal mezzo sono uscite unità speciali israeliane che hanno messo sotto assedio la città. L’azione (fatta, secondo le dichiarazioni israeliane, per catturare i membri di una cellula del Jihad responsabile di attacchi armati) si è risolta nell’uccisione di nove palestinesi, tra cui una signora anziana, e una ventina di feriti.

Il Ministero della Salute palestinese ha condannato la scelta israeliana di tirare deliberatamente una serie di granate lacrimogene sull’ospedale pediatrico della città. In seguito ai fatti del 26 gennaio, le autorità palestinesi hanno dichiarato la sospensione della collaborazione per la sicurezza con Israele.

Gli attacchi a Gaza e Gerusalemme

Dalla fine di gennaio, altri attacchi hanno preso luogo contro i palestinesi. Nella notte tra giovedì 26 e venerdì 27 gennaio, si sono registrati una serie di scontri tra Israele e la Striscia di Gaza, un territorio al confine tra Israele ed Egitto. Nella notte sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza due razzi diretti verso i territori nel sud di Israele, che sono stati intercettati. Israele ha risposto lanciando verso la Striscia di Gaza quindici missili.

I palestinesi hanno quindi risposto alla strage di Jenin con una serie di rappresaglie. Il 27 gennaio si è registrata una sparatoria nella sinagoga di Gerusalemme. L’attentatore (ventunenne) è stato ucciso dalla polizia dopo aver causato la morte di sette persone. Un altro attacco è stato registrato il 28 gennaio: l’attentatore aveva in questo caso tredici anni. Un terzo attentato ha avuto luogo il 10 febbraio in un quartiere ultra-ortodosso di Gerusalemme Est e ha causato la morte di due israeliani.

Una terra contesa

La 181 e le guerre arabo-palestinesi

Il perché dell’escalation di conflitti tra Israele e Palestina è scritto nella loro storia. In una terra già storicamente contesa tra una popolazione di etnia araba e religione mussulmana (i palestinesi) e una ebraica (gli israeliani), nel 1947 l’Organizzazione delle Nazioni Unite approva la risoluzione 181. In seguito agli orrori dell’Olocausto, la risoluzione consiste nell’attuazione del piano dall’Assemblea generale dell’ONU per la spartizione della Palestina in due Stati: uno ebraico (56% del territorio), l’altro arabo, sulla parte restante. Si decide che Gerusalemme resterà sotto controllo internazionale.

Gli ebrei accettano ma i palestinesi no, così, quando i primi dichiarano l’indipendenza (con l’appoggio di molte potenze straniere, tra cui USA e URSS), scoppia la prima guerra tra i due popoli. La nascita dello stato di Israele ha infatti modificato gli equilibri in Palestina e Medio Oriente e si è tradotta in una serie di guerre israelo-palestinesi: la prima nel 1948-49, poi nel 1956, nel 1967 e ancora nel 1973.

Nonostante ciò, nel ’49 vengono firmati altri accordi a favore degli israeliani, ai quali viene affidata anche la parte ovest di Gerusalemme. Alcuni territori palestinesi, coinvolti nel complicato mosaico di tensioni del Medio Oriente, sono occupati dagli stati arabi prima e poi da Israele. Privati quindi della prospettiva di avere un proprio stato, per i palestinesi inizia una condizione drammatica. Alcuni fuggono negli stati arabi vicini, ammassandosi in enormi e invivibili campi profughi; altri, che vivono nei territori della Cisgiordania e della striscia di Gaza, vedono i loro territori occupati dagli israeliani con la forza (1967). Questi eventi sono noti come nakba (tragedia) presso i palestinesi.

L’OLP e l’intifada

Nel 1964 si costituisce l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), con a capo Yasser Arafat. L’OLP è un’organizzazione politica e paramilitare nata con  l’obiettivo della creazione di uno Stato arabo in Palestina. Nata come organizzazione che appoggia la lotta armata e il terrorismo contro Israele, sostiene poi lintifada (letteralmente, la “rivolta”) dei giovani palestinesi nei territori occupati. Oggi cerca in gran parte di risolvere i conflitti per via diplomatica. Per questa sua evoluzione in senso diplomatico, l’OLP è criticata dai gruppi più radicali, quali Hamas (oggi molto influente a Gaza, sebbene non universalmente riconosciuta nella Striscia).

Negli stessi anni viene istituita un’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), per l’autogoverno dei territori occupati. Una seconda intifada scoppia a settembre 2000. Da allora, le guerre cessano, ma la questione palestinese è irrisolta, e azioni di violenza e terrorismo sono all’ordine del giorno.

Vivere in Palestina oggi

Un territorio occupato

Oggi la Palestina è uno Stato (costituito da striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est), di fatto in gran parte in mano a Israele, che l’ha occupato dopo la cosiddetta “Guerra dei Sei Giorni” (1967). È tutt’ora privo di un’organizzazione statuale tipica e di un esercito regolare. Le varie zone sono sotto controllo israeliano o di varie organizzazioni palestinesi: la Striscia di Gaza, per esempio, è come si accennava in mano agli estremisti di Hamas (organizzazione politica e paramilitare di ispirazione islamista, riconosciuta come organizzazione di matrice terrorista tra gli altri dall’UE).

La condizione in Palestina è molto complessa. A partire dal 2002 in Cisgiordania è iniziata la costruzione di un muro, la barriera di separazione da Israele. Secondo le autorità israeliane l’azione ha lo scopo di proteggere dagli attentati, mentre secondo i palestinesi il muro è uno strumento di segregazione. Gerusalemme Est, una parte della città che comprende numerosi luoghi considerati sacri da ebraismo, cristianesimo e islam, merita invece un discorso a parte. Il territorio è infatti amministrato da Israele ma viene rivendicato dalla Palestina, che l’ha proclamata come capitale, nonostante il suo centro amministrativo si trovi a Ramallah (in Cisgiordania).

A causa dell’occupazione militare israeliana, nei territori palestinesi la vita è particolarmente dura. L’occupazione militare rimane infatti un ostacolo nella vita quotidiana dei palestinesi. La libertà di movimento è fortemente limitata a causa dei posti di blocco, del muro di separazione e di un regime restrittivo. Queste limitazioni si concretizzano in una serie di difficoltà che inficiano la qualità della vita, del lavoro e della salute dei palestinesi. Spostarsi per motivi lavorativi è complicato e l’occupazione limita spesso anche la circolazione dei professionisti del settore medico e delle attrezzature mediche vitali (anche e soprattutto in occasione dei frequenti raid, cosa che non di rado provoca vittime tra i civili).

I campi profughi

A causa della situazione particolarmente complicata, molti palestinesi vivono oggi in quanto profughi. I campi profughi palestinesi vengono creati dopo la guerra arabo-israeliana del 1948 per accogliere i rifugiati palestinesi espulsi in seguito al conflitto. Molti campi si trovano negli stati vicini (Libano, Giordania e Siria), mentre altri si trovano nei territori occupati (Cisgiordania e Gaza), tra i quali figura lo stesso campo di Jenin. In totale la UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente) gestisce 5,6 milioni di profughi, divisi in cinquantanove campi diversi.

 

Credits

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.