Gianfranco Fini, una biografia di destra

Gianfranco Fini torna in televisione. In maniera un po’ inaspettata, in un fine gennaio, alla trasmissione di Lucia Annunziata, “Mezz’ora in più”. Pacato, un po’ invecchiato e vestito scuro. Ha promesso di ritornare. Promessa mantenuta il 19 febbraio. In realtà, aveva fatto una prima apparizione, passata un po’ in sordina dal punto di vista mediatico, alla puntata del 30 ottobre 2022, in occasione dell’insediamento del governo Meloni. 

La fiamma tricolore

La sua biografia politica è intessuta nello sviluppo post-fascista dei movimenti di destra italiani. A 16 anni entrò a far parte della sezione studentesca del Movimento Sociale Italiano. Si trattava di un partito di ispirazione neo-fascista che all’epoca, sotto la guida di Giorgio Almirante, stava vivendo una fase di rilancio. Fu proprio Almirante a sostenerlo e incoraggiarne la carriera fino a proporgli nel 1987 il ruolo di segretario come suo sostituto. 

Già dall’inizio degli anni Novanta però, Fini indirizzò il partito verso un sentiero diverso. La strategia era di aprirsi ai nuovi spazi creatisi dopo Tangentopoli. Una destra ex-democristiana e liberale. In questo modo si presentarono alle elezioni, vinte da Berlusconi, del 1994. L’anno successivo la fiamma tricolore del MSI si trasformò in AN, Alleanza Nazionale. Si parlò della “svolta di Fiuggi“, dal nome del posto in cui si tenne il convegno. Di fatto l’obiettivo era uno sganciamento definitivo del movimento di destra dalla tradizione fascista, rendendo così possibile un’apertura alla destra conservatrice e cattolica. “Io voglio guardare alla storia che c’è domani”, diceva Fini dal palco.

La metamorfosi del partito

L’esperienza di AN fu decisamente felice. Alle elezioni del 1994 – anche se la transizione da MSI ad AN non era conclusa – si presentò nella coalizione vincente di Berlusconi, il “Polo della Libertà”. Ma il vero successo – dopo essere stato il terzo partito, pur perdente, nel 1996 – fu quello raggiunto nel 2001. Infatti, il secondo governo presieduto dal Cavaliere si collocava in un contesto molto più stabile e l’esperienza si mantenne per tutti i cinque anni previsti. Anche Fini ebbe ruoli rilevanti nell’esecutivo sia come vicepremier, sia, in sostituzione di Frattini, come ministro degli Esteri.

Nel 2003 Fini si recò anche in visita a Gerusalemme dove definì il fascismo come “male assoluto”. Un paio di anni dopo si esprime a favore di tre dei quattro quesiti proposti nel referendum sulla procreazione assistita (votando “no” solo alla fecondazione eterologa) spiazzando i compagni di partito, fortemente contrari a tutte le proposte. L’inquietudine andò aumentando portando all’uscita di diversi elementi dal partito. 

L’inizio della fine

Per tamponare le ferite e vincere le elezioni la destra si presentò nel 2008 con una forza “nuova”, il Popolo della Libertà (PdL), nato dalla fusione di AN con Forza Italia. Iniziò il quarto governo Berlusconi con quattro ministri di Alleanza Nazionale, tra cui una giovane Giorgia Meloni, e lo stesso Fini come Presidente della Camera. Sembravano tornati i tempi d’oro, ma l’idillio durò poco e presto la personalità decisionista del Presidente del Consiglio rivelò quanto fosse ingombrante in un partito comune e non personalistico. Gli scontri furono molteplici e deflagrarono in quel “che fai, mi cacci?” al congresso dell’aprile 2010. E sì, Silvio lo stava cacciando. 

Ma non solo. Nell’agosto dello stesso anno ebbe inizio un’aggressiva campagna mediatica guidata da «Il Giornale» e «Libero» che portò alla luce delle presunte irregolarità rispetto alla gestione di soldi in conti esteri e un appartamento a Montecarlo affittato al cognato («Il Post» per saperne di più). La credibilità politica e personale di Fini subì un tracollo.

Fratelli d’Italia o figli di Fini?

Il colpo di grazia alla sua idea di destra e il termine ultimo del suo progetto di partito si ebbe nel dicembre del 2012 quando Guido Crosetto, Ignazio La Russa e Giorgia Meloni – tutti ex  di AN confluiti nel PdL – fondarono un partito di estrema destra. Un nome, Fratelli d’Italia, e un simbolo, la fiamma tricolore, che vogliono riprendere le radici del MSI che Fini aveva, gradualmente, cercato di interrare. In dieci anni, come è noto, è riuscito a diventare il primo partito d’Italia, votato dal 26% della popolazione. 

A dieci anni fa risale anche l’ultima avventura politica del nostro eroe stroncata dal risultato elettorale (0,47% delle preferenze) del febbraio 2013. Dopo trent’anni di militanza si ritrova escluso dal Parlamento e con un procedimento giudiziario che lo vede coinvolto in corso. Ha pensato bene di ritirarsi a vita privata, pur non rinunciando alla fondazione “Fare Futuro” e a qualche intervista e apparizione pubblica qua e là. Il suo recente ritorno televisivo ha fatto pensare a una sua volontà di rientrare in scena, se non da attore principale, almeno come regista. È difficile crederlo anche considerando il fatto che negli anni ha espresso posizioni dure nei confronti di Giorgia Meloni. Sarebbe sbagliato considerare FdI parte del progetto che Fini aveva per la destra. La storia politica di Fini è quella di un uomo senza eredi.

La vera eredità

A portare il marchio di Gianfranco Fini sono due leggi molto discusse tuttora e risalenti al periodo Berlusconi II. La prima è la legge Bossi-Fini, del 30 luglio 2002, che norma l’immigrazione. In estrema sintesi, è possibile ottenere un permesso di soggiorno solo per coloro che sono in possesso di un contratto di lavoro. Il punto più critico sta nel fatto che vengono ammessi i respingimenti dei barconi in acque internazionali. Questo mina il rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (articolo 18) e della Convenzione di Ginevra che impongono l’accoglienza dei rifugiati. Il che non è possibile se le imbarcazioni sono respinte a priori senza effettuare verifiche sullo status delle persone a bordo. 

L’altra è la legge Fini-Giovanardi, risalente al 2006, che ha cancellato l’equiparazione tra le cosiddette droghe leggere (marjuana e hashish) e quelle pesanti (come eroina, cocaina, oppiacei ecc.), inasprendo le misure contrarie all’importazione e alla vendita. Oltre al fatto che venne dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale (ma solo nel 2014), questa legge ha favorito il sovraffollamento delle carceri, portando alla detenzione di piccoli spacciatori e tossicodipendenti. Secondo uno studio dell’associazione Antigone quattro detenuti su dieci sono in carcere per reati di droga.

Delle idee e della “Destra” di Fini questo è quello che ci resta.

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