“La congiura degli innocenti”: un Hitchcock all’inglese

Colpevole fino a prova contraria.
Disorientati? Confusi? Dopotutto assecondare lo spettatore non è mai stata una prerogativa di Alfred Hitchcock. E La congiura degli innocenti, film del 1955 distribuito nelle nostre sale l’anno successivo, ne è solo l’ennesima dimostrazione.

Ma che cos’è l’innocenza? Certo un qualsiasi vocabolario di lingua italiana la definirebbe come “la mancanza assoluta di colpa, morale e giuridica”. Una purezza semantica che il regista anglo-americano si diverte a rimodellare con la consueta calma, lasciando che il materiale narrativo si dispieghi davanti ai nostri occhi a rivelare l’impurità insita nell’essere umano e nei suoi machiavellici ragionamenti. Un’intenzione ulteriormente chiarificata dall’adattamento italiano dell’opera, o quantomeno del suo titolo. L’originale The trouble with Harry, sebbene altrettanto enigmatico, risulta infatti meno efficace in termini di restituzione di senso della pellicola; una pellicola che fa dell’ambiguità il suo principale punto di forza e gioca su atmosfere mistery improbabili, in apparenza poco hitchcockiane, eppure assolutamente fedeli ai principi cardine del maestro del brivido.

 

Harry Worp

Alfred Hitchcock - movie director (1899-1981) | Ross Dunn | Flickr

Prodotto e distribuito dalla Paramount Pictures e tratto dal romanzo di Jack Trevor Story, il film trasporta lo spettatore tra le amenità di Highwatwer, un piccolo paesino rurale del Vermont. La pace e la tranquillità dei suoi abitanti vengono però presto sconvolte dal ritrovamento di un cadavere. Il corpo senza vita appartiene a un certo Harry Worp, ma le cause della sua morte non appaiono facilmente determinabili. Tra errate convinzioni, false piste e moventi plurimi, la piccola comunità di Highwatwer avrà un bel da fare per tentare di scoprire chi o che cosa abbia ucciso il signor Worp.

Uscito a distanza di un solo anno da La finestra sul cortile, La congiura degli innocenti è il sesto lungometraggio a colori del regista; una serie cominciata nel 1948 con Nodo alla gola e che, di lì a qualche anno, avrebbe portato ad altri immancabili capolavori del cineasta (La donna che visse due volte, Intrigo internazionale, Gli uccelli, Marnie). Un contesto di appartenenza di fronte al quale, a una visione superficiale, questa pellicola del ’55 potrebbe forse risultare estranea.

Al di là di un cadavere e di un mistero da risolvere il film sembra infatti non aver nulla di che spartire con i suoi più celeberrimi compagni e le più consuete atmosfere da thriller psicologico e spionaggio sono qui sostituite da un giallo bucolico umoristico, fondato sui geniali contrasti creati dalla mescolanza di morte e ironia. Un contrasto all’interno delle cui pieghe si insinua la mano invisibile ma fortemente riconoscibile di Hitchcock. Intrighi, suspence, segreti, personaggi bizzarri e misteriosi; una ricetta dal sapore familiare, trasformata dall’abilità camaleontica del suo autore.

 

Highwatwer

La brillante ed esilarante sceneggiatura elaborata da John Michael Hayes è solo uno dei pregiati tasselli tecnici di una pellicola impreziosita dalla puntuale regia del maestro, dalle musiche del grande Bernard Hermann (qui alla sua prima collaborazione con il cineasta) e dalla fotografia rassicurante di Robert Burks. Elementi complementari a disegnare un locus amoenus colorato, una rasserenante scacchiera al di sopra della quale i protagonisti del film si muovono come pedine; o, se preferite, come docili (ma non troppo) marionette, i cui fili, mossi dal grande burattinaio Hitchcock si intersecano l’uno con l’altro per ingarbugliare una trama di complicata risoluzione.

Albert, Sam, Miss Ivy, Mrs Wiggs, il vice sceriffo Calvin Wiggs, Jennifer e il figlio Johnny. Questi i nomi degli abitanti di Highwatwer, personaggi per lo più tratteggiati superficialmente e per questo difficilmente penetrabili dall’occhio dell’osservatore, costretto a muoversi a tentoni in cerca di risposte che l’autore non manca di esplicitare, attraverso però una lunga e paziente costruzione del puzzle narrativo. Un puzzle a cui Hitchcock regala volti di grandi prestigio, dal premio Oscar Edmund Gwenn (Il miracolo della 34° strada, 1947) a John Forsythe (il Charlie di Charlie’s Angels, 1976-1981), passando per Mildred Natwick (futura candidata all’Oscar per A piedi nudi nel parco, 1967) e una giovane ed esordiente Shirley MacLaine. Una parata di star (passate e future) a cui la pellicola affida un raffinato humor all’inglese, giocando su ripetizioni narrative che fungono da nucleo tematico del film ed esasperando la ricerca di una verità sfuggente.

La congiura degli innocenti (o forse sarebbe meglio dire dei non colpevoli) si attesta dunque come parto atipico, ma convenzionale, figlio solo apparentemente illegittimo di una poetica onnipresente e pervasiva, risultato pregevole di una coraggiosa ambizione del suo autore:

Questo film rispondeva al mio desiderio di stabilire un contrasto, di lottare contro la tradizione, contro gli stereotipi. Ne La congiura degli innocenti tolgo il melodramma dalla notte buia per portarlo alla luce del giorno.

 

 

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