“The Alpinist – Uno Spirito Libero”: un eroe incosciente

The Alpinist – Uno Spirito Libero è l’essenza stessa del documentario. Non per una qualche manifesta superiorità di genere dal punto di vista tecnico o drammaturgico, bensì per la capacità dell’opera di trasformarsi, di adeguarsi al mutevole susseguirsi degli eventi narrati. Un’opera in cui l’occasione di sfida, il desiderio di conoscenza e l’ambizione reportistica volta a fotografare un atipico frangente di vita divengono all’improvviso memoriale, omaggio, necessità di ricordare il bagliore di una luce consumatosi troppo in fretta.

Distribuito nelle sale italiane dal 7 al 9 marzo 2022, il film commemora il giovane alpinista canadese Marc-André Leclerc, scomparso prematuramente nel 2018 a soli 25 anni, e si inserisce nel filone dei documentari sportivi dedicati all’arrampicata in solitaria priva di imbragatura protettiva, ormai da qualche anno salita alla ribalta grazie a Free Solo (vincitore agli Oscar nel 2019).

“As any parent knows, raising children is a tough job, but I am thankful that at least God granted me the grace to understand this about my son, to not stand in the way of his passion for the mountains.”

 

Lasciatemi solo

I registi Peter Mortimer – veterano del settore, autore di The Dawn Wall (2018) – e Nick Rosen provano a ricostruire l’intensità della breve vita di Leclerc delineandone i primi passi nel mondo del free climbing, i sogni, i rapporti con la madre e con la fidanzata Brette Harrington, e sforzandosi di restituire la profondità intima della passione che legava il giovane scalatore alla montagna. Il voice over di Mortimer si mescola alle parole di vere e proprie star d’alta quota – fra le quali Reinhold Messner e Alex Honnold (protagonista di Free Solo) –

alle riprese del Marc-André in azione e alle testimonianze di chi lo ha incontrato, fondendosi nel ricordo di un giovane dal carattere sfuggente. Un giovane timido, nomade, difficile da imprigionare all’interno delle quattro pareti di un’inquadratura, protagonista volutamente fuori campo di una visione quasi sacrale dell’arrampicata.

“Of course I worried. What mother doesn’t worry about the children she’s raised to leave her and go out into this beautiful but dangerous and broken world?”

 

La “follia” di un sogno fatale

Eroismo, superumanesimo o incoscienza? Un quesito che, con ogni probabilità, è destinato a rimanere tale. Perché il racconto delle difficoltà produttive del film, la narrazione al cardiopalma delle imprese di Leclerc (una su tutte la solitaria invernale compiuta sulla Torre Egger in Patagonia) e la celebrazione in epilogo della sua memoria non sono altro se non, al contempo, cuore pulsante del documentario e occasione per fermarsi a riflettere. Sul valore di una vita spesa a coltivare i propri sogni quandanche fatali e dunque sull’universalità di una contraddizione che, per ammissione stessa del regista, è insita nell’alpinismo. Un mondo contornato dal mistero, terra di confine tra idealismo e tragedia.

Un dualismo apparentemente inconciliabile, riflesso non solo nella scelta di cineasti che come Mortimer e Rosen scelgono di assaporare la “follia” di questi solisti dell’arrampicata correndo il rischio di trasformarsi in spettatori impotenti, ma anche nell’impossibilità di definire in maniera soddisfacente figure come Marc-André Leclerc che, giorno dopo giorno, affidano la propria vita alla presa di un polpastrello o all’aderenza del proprio piede sulla nuda roccia.

I believe Marc-André lived the life he was intended to live. That he was meant to scale mountains, stand on summits, find his way into lonely valleys…and love one woman with all his heart, his little B.

 

A spasso per i cieli

Non è mai facile sentirsi impotenti; alzare lo sguardo e osservare un amico, un figlio o un compagno mettere a repentaglio se stesso nel nome di un qualcosa destinato a sfuggire, almeno in parte, alla nostra comprensione. Una impotenza che sottende l’intero documentario e che solo il sorriso di un innamorato come Leclerc sembra poter disporre in secondo piano.
Sullo sfondo la melodia dell’Ave Maria di Schubert, le cui note – in questi ultimi giorni associate all’oscurità del Batman di Matt Reeves – si incaricano di accompagnare l’ultimo saluto della madre di Marc-André, un eroe incosciente, senza mantello, ma a spasso per i cieli; vissuto e scomparso alla sua maniera: silenziosamente e fuori campo.

“Tolkien in The Hobbit says: “There are no safe paths in this part of the world. You’re over the edge of the wild now.” Well, Marc-André, you are truly over the edge of the wild now. I hope the mountains there are amazing and the sunsets are beautiful. We are all richer for calling you son, brother, partner and friend.
Thank you for giving us 25 remarkable years.”

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