La siccità che affama la Somalia

Indebolita dalla guerra civile e messa in ginocchio dalla siccità, la Somalia sta attraversando un periodo di grave carestia. Non c’è acqua, non c’è cibo, gli animali soffrono, i raccolti non vengono irrigati, i bambini sono denutriti e le persone muoiono di fame. Le associazioni umanitarie hanno creato dei campi per i rifugiati dentro e fuori il paese, per provare a fornire gli aiuti necessari.

Somalia: instabilità politica e siccità

Povertà e politica

La Somalia è un paese dell’Africa orientale, situato nella penisola del Corno d’Africa. Presenta un tasso di natalità molto elevato (43,7‰, secondo i dati del 2009), unito a una mortalità infantile tra le più alte del mondo (109,1‰) e a un’aspettativa di vita inferiore ai cinquant’anni. Il tasso di analfabetismo è molto elevato, circa l’80% della popolazione. È inoltre uno degli stati più poveri del continente, con il 61% della popolazione che vive con meno di 1,9 dollari al giorno. Questi dati sono indicativi di un livello di sviluppo socioeconomico basso e di condizioni di vita estremamente difficili, rese drammatiche dalla guerra civile. La Somalia è infatti ufficialmente una Repubblica Federale, ma l’instabilità politica e la corruzione pervadono il paese da decenni.

Dopo un passato coloniale, la Somalia si è resa indipendente nel 1960. Dagli anni ’80, il Paese si trova in una condizione di costante guerra interna, tra i diversi gruppi che si sfidano per il potere. Dal 2006, la guerra civile vede scontrarsi il regime internazionalmente riconosciuto prima con i ribelli dell’Unione delle corti islamiche (coalizione delle varie corti dell’area di Mogadiscio) e poi con Al-Shabaab, groppo terroristico. All’instabilità si aggiunge infatti la massiccia presenza del terrorismo: Al shabaab (organizzazione terroristica di matrice islamica) rimane la principale minaccia alla sicurezza in Somalia, che tormenta tramite attacchi e estorsioni. La situazione politica particolarmente complessa ricade direttamente sulla popolazione di quasi 16 milioni di persone, già messa in ginocchio a causa di una situazione di siccità che dura da cinque anni.

Il “new normal” somalo: la siccità

La situazione somala rientra in quello che, nel settore umanitario, viene  definito new normal, la nuova normalità. Questo termine si riferisce al fatto che gli shock climatici, tra i quali si annovera anche la siccità, non sono più considerati improbabili, com’era fino a qualche decennio fa, ma sono diventati probabili se non, addirittura, normali. La nuova normalità, imposta dal cambiamento climatico, è particolarmente vera per la zona del Corno d’Africa, in ginocchio dopo aver mancato cinque stagioni delle piogge. La siccità impatta notevolmente sulla società somala. Si traduce, infatti, non solo in mancanza di acqua e cibo, ma anche nella disoccupazione cronica, per esempio nelle zone a prevalenza agricola, dove non c’è più la possibilità di irrigare i campi. Si traduce in un attacco diretto alla società e alle economie locali, che devono adattarsi a un cambiamento molto (troppo) rapido, e nella drastica  riduzione della produzione interna, fatto che porta all’obbligo di importare prodotti dall’estero e, quindi, alla vulnerabilità economica.

La carestia somala: figlia della siccità

Come spiega la giornalista Francesca Mannocchi, inviata dalla capitale Mogadiscio:

Vivere in una situazione di siccità significa che si perdono gli animali, che la terra diventa arida e che la popolazione comincia a morire di fame e a contare i morti finché questi non diventano talmente tanti che la morte a causa della fame prende il nome di carestia.

Ed è di carestia che si parla in Somalia, dove il numero di persone in condizione di insicurezza alimentare è oggi di circa 6,7 milioni. La Famine Review Committee (FRC), la commissione di esperti che ha il compito di dichiarare ufficialmente una condizione di carestia, ha stabilito un sistema di early warning, ossia di allerta precoce, in Somalia. L’allerta si basa sui dati al momento disponibili, che permettono di proiettare con ragionevole probabilità il possibile concretizzarsi di una situazione di carestia. In un solo anno, infatti, il numero di persone in Somalia che devono affrontare i livelli più alti di fame estrema è aumentato del 91%, secondo i dati dell’International Rescue Committee (IRC).

Il Paese soffre infatti particolarmente gli effetti degli shock climatici perché, a causa dell’instabilità politica decennale, dei continui attacchi terroristici e della povertà, non è in grado di fornire una risposta rapida ed efficace ad una situazione di emergenza. La situazione continua nel frattempo a peggiorare. A fine 2022, le Nazioni Unite riportano che almeno il 20% dei nuclei famigliari fosse in “estrema mancanza di cibo”, ossia nell’impossibilità di accedere ad un pasto per un’intera giornata per più di un giorno a settimana. Almeno il 30% dei minori soffrono di malnutrizione acuta. A essere a rischio sono soprattutto i distretti di Baidoa e Bukhaba, nella regione del Bay, a sud del paese, oggi ampiamente controllata da Al-Shabaab.

L’esodo verso i campi

Verso Dadaab

Per la Somalia si parla di una crisi alimentare e climatica. La prolungata siccità, causa di carestia, e il conflitto in corso si stanno così traducendo in un vero e proprio esodo. Negli ultimi mesi del 2022, un milione di persone sono state obbligate a lasciare i villaggi somali e a spostarsi alla ricerca di acqua e cibo. Molti vanno verso il Kenya, a Dadaab (città situata nella parte est del paese, al confine con la Somalia), dove l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR) ha istituito un campo per i profughi. Aperto nel 1991, il campo è diventato nel 2011 (anno della grande carestia nel Corno d’Africail più grande al mondo. Oggi a Dadaab l’UNHCR sta fornendo alle famiglie arrivate assistenza in denaro, acqua potabile e strutture igieniche, oltre a servizi mirati per i più vulnerabili, ad esempio per i bambini malnutriti. Più di 80 mila somali sono arrivati a Dadaab negli ultimi anni, 45 mila solo nell’ultimo anno.

Dai villaggi alle città

Molte persone invece lasciano i villaggi, dove trovare acqua e nutrimento è più difficile, e si muovono verso le città, dove le associazione umanitarie offrono aiuti. A causa di questa fuga dalle campagne, si stanno così creando dei veri e propri campi di sfollati, presenti soprattutto nelle maggiori città della regione di Bay, la più colpita. Nei campi la vita è difficile. Molte famiglie non hanno nulla (cibo, vestiti), le tende sono sovraffollate. I pasti si riducono spesso ad un po’ di riso, l’acqua scarseggia. Le madri fanno fatica ad allattare i loro figli perché non si nutrono a sufficienza. I bagni sono pochi e insufficienti. I bambini muoiono di fame o malattia: in Somalia 1,8 milioni di bambine e bambini soffrano di malnutrizione grave e più di 500 mila di questi di malnutrizione acuta grave.

Nei campi della regione di Bay, alla difficoltà di aiutare un gran numero di persone, si aggiungono problemi del terrorismo e della diminuzione dei fondi. Gran parte della regione è infatti assediata da Al shabaab, che rende molto difficile e pericoloso il lavoro delle associazione umanitarie. Le stesse organizzazioni riescono con difficoltà a sostenere l’alto numero di persone che si trovano in una condizione di insicurezza alimentare: se il numero delle persone bisognose cresce, i fondi, al contrario, si esauriscono troppo velocemente. Fino ad ottobre 2022, per esempio, il World Food Program (WFP) aveva ricevuto dai donatori internazionali la cifra di 9,47 miliardi di dollari, insufficienti però a coprire le necessità di centinaia di milioni di persone stimate in insicurezza alimentare in tutto il mondo.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.