(S)vevo e la sua psicologia, attuali dopo più di 160 anni

Chi era Italo Svevo?

fotografi in bianco e nero di Italo Svevo

Pseudonimo di Ettore Schmitz, Italo Svevo nasce in una Trieste multiculturale nel 1861, quando ancora la città apparteneva all’impero austro-ungarico e godeva della fama di importante luogo commerciale.

Fin dalla giovinezza, infatti, Ettore Schmitz sostiene l’italianità triestina e decide quindi di scrivere i suoi romanzi in italiano. Ciononostante, il poeta percepisce un forte legame con la Germania, dove ha completato gli studi in una scuola di avviamento al commercio.

Proprio per le origini triestine, la sua produzione letteraria si distacca dall’acclamata tendenza esteta in voga in quel periodo, motivo per cui i suoi primi due romanzi Una Vita (1892) e Senilità (1898) non ottengono il successo sperato, suscitando molta delusione nel poeta, che smetterà di scrivere per venticinque anni che dedica agli affari lavorando come esperto contabile. Durante questo periodo di pausa dalla scrittura -il suo “vizio”- Svevo decide di ricominciare a suonare il violino e inizia a fumare per resistere alla tentazione di comporre, attività che sospende perché criticata dai suoceri. Nonostante la società del tempo non accettasse questa sua naturale inclinazione, la profonda passione per la letteratura che Ettore ha coltivato fin dall’adolescenza torna a essere centrale nella sua vita per l’analisi del proprio io.

Nel 1923 pubblica il suo capolavoro, la Coscienza di Zeno per il quale ha avuto grande sostegno dallo scrittore irlandese James Joyce, che lo aiutò nello studio dell’inglese. La sua opera non ha immediato successo finché il libro non viene scoperto dal ligure Eugenio Montale, che si innamora della sua scrittura, che ritiene un capolavoro.

Infatti, pochi anni dopo, Montale pubblicizza un intero saggio dedicato a Italo Svevo, che ottiene finalmente successo. Tuttavia, senza la possibilità di fruire del proprio trionfo, il letterato muore pochi anni dopo a causa di un incidente stradale.

Oltre all’amicizia con James Joyce ed Eugenio Montale, quella di Italo Svevo è stata una vita ricca di incontri: tra cui il triestino Umberto Saba e lo psicanalista Sigmund Freud, con cui potè avvicinarsi alla psicologia e alla psicanalisi.

Il legame di Svevo con Freud e la psiche umana

La conoscenza di Svevo con Freud avviene a causa dei problemi psichici del cognato Bruno Veneziani, il quale ha beneficiato delle cure dell’illustre padre della psicanalisi.
Fino al 1800, le malattie psichiche non erano concepite come delle malattie ed erano ritenute “curabili” solo attraverso un ricovero in manicomio, considerato che ancora non esistevano delle cure adeguate. A partire dal XIX secolo, malattie come la pazzia e la schizofrenia iniziarono a essere considerate malattie sperimentali, dati i visibili miglioramenti ottenuti tramite la psicanalisi, cura che prevede una fase di ricerca e di ascolto con lo scopo di far emergere il subconscio del paziente, il quale si racconta tramite dei quaderni terapeutici in base a ciò che conosce del proprio io; il compito dello psicoanalista è quello di raccogliere le tracce del subconscio che emergono dal dialogo.
fotografia piano medio in bianco e nero di Sigmund Freud con un sigaro in manoLa frequentazione di Svevo con Freud durò un solo pomeriggio, sufficiente per fargli apprezzare la sua filosofia dell’ego e del subconscio, in cui quest’ultimo viene concepito come il frammento della mente che non vede e non ricorda, e che l’uomo non può percepire né controllare perché sfugge alla consapevolezza. Il subconscio freudiano determina l’essenza dell’uomo perché incamera le esperienze e le lascia emergere in determinate fasi della vita. In certi momenti la nostra coscienza reagisce e turba l’uomo; lo psicanalista dunque fa’ in modo che il paziente capisca autonomamente le proprie sensazioni emotive attraverso il dialogo con sé stesso.

La difficoltà della psicanalisi è la mancanza di un distacco tra i due interlocutori perchè lo psicanalista entra nella sfera d’influenza del paziente ma ha l’obbligo di rimanergli estraneo, compito che non può completamente rispettare perché presenta un subconscio a sua volta. Ciò comporta che sia un paziente lo specialista stesso, che reagisce anche tra sé e sé alle rivelazioni del paziente.

Lo psicanalista sottolinea la necessità di non scrivere un diario in ordine cronologico, ma bensì racchiudere memorie e sfoghi tematici in quaderni da cui comprenderà sfumature del subconscio del paziente.

La psicanalisi come concepita da Freud emerge protagonista nella struttura e nella storia dell’opera maestra di Svevo: La Coscienza di Zeno

Zeno e l’inetto come specchio della società odierna

Il protagonista del capolavoro di Svevo è Zeno Cosini, che si reca dal dottor S. -forse Sigmund Freud o Hector Schmitz, l’autore stesso- perché certo di essere matto ma ignaro della malattia di cui soffre.

Il romanzo si apre con il diretto intervento del dottor S. in prima persona, che dichiara di voler pubblicare per vendetta i quaderni dell’ex paziente dopo che questo l’ha deluso e non pagato interrompendo la terapia. La voce passa poi allo stesso Zeno Cosini attraverso la lettura del suo diario terapeutico.

Enorme novità che il romanzo dona alla letteratura è l’assenza di un ordine cronologico narrativo, procede infatti per capitoli di tipo tematico come i quaderni del paziente. Nelle pagine, Zeno racconta le sue fragilità e i suoi problemi, come il vizio del fumo e il rapporto controverso con la moglie.

Un tema essenziale del romanzo è la costante opposizione tra malattia e salute: Zeno si considera malato, ma persino i sani sono descritti con i loro limiti; dichiara di voler guarire dalla sua malattia ma si oppone alla guarigione, fino ad arrivare alla conclusione di essere finalmente guarito. Tuttavia, la salute non può avere connotazione positiva perché in una società fondata sulla lotta per la sopravvivenza non c’è possibilità di progresso. Il romanzo termina con la prospettiva di una catastrofe che cancelli l’uomo dalla Terra come unico mezzo per liberare il pianeta dalla sua malattia.

La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze.

Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile […]. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto dove il suo effetto potrà essere il massimo.

Con il personaggio di Zeno, Alfonso Nitti -protagonista di Una Vita– e Emilio Brentani -protagonista di Senilità-, Svevo rappresenta la figura inedita dell’inetto: un uomo dubbioso, ignavo e privo di coerenza. I protagonisti sveviani sono accomunati dall’inettitudine alla vita e dalla convinzione della propria superiorità culturale, che viene solitamente rimarcata nei confronti delle donne disinvolte e sicure di sé che tentano di educare e salvare, oltre che sedurre, ma in tutti i casi falliscono. Risultano incapaci di compiere e di decidere, e inabili di sostituirsi a un Bene Supremo e per questo appaiono paralizzati.

In contrapposizione al sentito e sorpassato personaggio del romanzo ottocentesco appartenente a una notevole classe sociale, Svevo presenta un personaggio innovativo che risalta per essere detestabile e inaffidabile.

L’uomo tenta senza successo di elevarsi da una società inconsistente che ti fa sentire inadatto, come Svevo dopo le sue prime fallimentari pubblicazioni, oscurato dall’apprezzatissimo estetismo, è stato portato a considerare se stesso un inetto e la sua grande passione per la scrittura “un vizio inutile e dannoso”. È la società a trattenere le passioni e gli interessi umani, fatti di emozione e turbamento, snaturandoli e limitandoli a mere tentazioni irrazionali.

Tra la spiritualità universale romantica e la potenza distruttrice futurista, Italo Svevo racconta le debolezze, i vizi e le contraddizioni umane, la normalità, il grigiore, la malattia dell’uomo e l’inguaribile malattia del mondo.

Nel 1927 Svevo scrive in una lettera a Cyril Ducker: “lo scrittore deve scrivere ogni sera la storia della sua giornata. È l’unico modo per ottenere una grande sincerità, la qualità più importante, credo”, eppure la qualità che più contraddistingue i personaggi di Italo Svevo e Svevo stesso -attraverso Zeno, il suo alter-ego– è un’incorreggibile necessità di mentire a loro stessi e a chi li circonda, che caratterizza inoltre la realtà più intima dell’uomo contemporaneo.

I protagonisti sveviani sono infatti lo specchio del senso di inettitudine umana: la preliminare illusione di sentirsi superiore per celare la limitatezza delle nostre azioni e dei nostri pensieri di fronte a un mondo in cui il flusso vitale pare insostenibile.

Se prodighi cavalieri ed eroi antichi sono sempre stati ben lontani da ciò che l’uomo è in verità, gli inetti del Decadentismo sveviano rappresentano fino quasi all’esasperazione della glorificazione della pochezza e fragilità umana, ricolma di ostacoli e confini. Con disincantata ironia, con Svevo crollano finalmente i grandi progetti, le pretese e le assurde aspirazioni attraverso l’uso di discorsi che non possono essere presi troppo sul serio perché l’uomo è ridicolo nella sua incapacità di vivere.

Con aspro sarcasmo, Hector Schmitz racconta la realtà disillusa di fronte cui ci troviamo quando capiamo l’assurdità che si cela dietro leggende e fantasie giovanili che ci allontanano dal senso di inadeguatezza e precarietà che si prova semplicemente vivendo.

 

FONTI

Una grande esperienza di sé 6, A. Terrile, P. Biglia, C. Terrile, 2019, Pearsons Italia

rollingstone.it

CREDITI

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