“The Outfit”: un gangster movie sartoriale

1956, Chicago. Leonard Burling (Mark Rylance) è un cutter inglese che confeziona abiti su misura per i propri clienti. Il suo atelier è tuttavia controllato dal boss della mafia irlandese Roy Boyle (Simon Russell Beale), il quale sfrutta il negozio come covo per gli affari loschi della gang. Leonard, costretto al silenzio in cambio di protezione, subisce questa situazione ormai da molti anni senza però mai coinvolgere la sua segretaria, la giovane e ambiziosa Mable (Zoey Deutch).

L’esordio di Moore

Sembrerebbe la trama di un tipico film alla Quei bravi ragazzi, ma The Outfit ha un taglio particolarmente sorprendente. Presentato in anteprima mondiale al 72° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il film ha ricevuto numerosi apprezzamenti soprattutto per il fatto che si tratti di un esordio alla regia. Graham Moore aveva già infatti dato prova delle sue abilità scrivendo la sceneggiatura del film storico The Imitation Game nel 2014 — che gli è valsa una statuetta d’oro — e nel suo primo film conferma la predisposizione al racconto giallo caratterizzato da numerosi e fitti misteri e immancabili colpi di scena.

The Outfit è il tipico film claustrofobico girato e ambientato in una sola location, con pochi personaggi che dialogano tra di loro approfondendo sempre di più le dinamiche che li legano. Una versione più elegante e raffinata de Le Iene, in cui gangster assetati di potere si sparano l’un l’altro per quasi la metà del film. A questo di aggiunge l’alone di mistero che permea l’intero racconto, con delle vibes un po’ alla Hitchcock.

Leonard e gli altri

Leonard ci viene presentato come un uomo serio, amante del suo mestiere e che mette tutto il suo impegno e dedizione in ogni abito che confeziona. Un uomo, però, anche molto solo e umile che non vuole essere coinvolto in brutti affari. Al suo fianco c’è Mable, una giovane ragazza che si sente imprigionata in un contesto che non la rispecchia. Lei vuole scappare, scoprire il mondo e cambiare vita per sempre. Il loro rapporto ricalca quasi quello che ci potrebbe essere tra un padre premuroso e una figlia ricca di sogni e ambizioni: i due infatti si scambiano spesso riflessioni interrogandosi sul futuro e rivangando ricordi del passato.

Leonard ha lasciato la sua terra natale (per ragioni che ci saranno ignote fino alla fine del film) con nient’altro che le sue forbici da sarto e il sogno di ricominciare da capo dopo la perdita della moglie e della figlia in un tragico incendio avvenuto nel suo vecchio negozio. Questo mistero che aleggia intorno alla sua figura lo fa percepire come un uomo insicuro ma al tempo stesso con qualcosa da nascondere, un oscuro segreto che lo tormenta giorno e notte ma che riesce a celare con il suo eccessivo zelo.

Dall’altra parte abbiamo un altro personaggio cardine della vicenda, il figlio Richie (Dylan O’ Brien). Questo nel corso del film si mostra particolarmente risentito nei confronti del padre per il fatto che a lui preferisca un giovane più affidabile e meno impulsivo, Francis. I due ragazzi avranno molti scambi verbali — e poi fisici — pregni di rabbia e competizione, che culmineranno nella morte di uno dei due a dimostrazione che la sete di potere trascinde ogni legame affettivo.

La talpa

Il regista predilige una scrittura lenta ma — quasi — mai noiosa con dei personaggi che risultano composti e freddi. Inizialmente la situazione sembra procedere senza nessun intoppo, ma precipita appena si scopre che una talpa nell’organizzazione di Roy Boyle è sospettato di averli venduti non solo ad una banda rivale, ma anche all’FBI.

Un nastro registrato e quindi incriminato diventerà motore della vicenda per il resto della pellicola, in quanto lo scopo principale di tutti i personaggi sarà quello di trovarlo e distruggerlo senza farlo arrivare nelle mani del nemico. Si scoprirà più avanti che in realtà questo fatidico nastro non è altro che un semplice MacGuffin che aiuta la storia a procedere con un ritmo a tratti poco sostenuto. Un MacGuffin famoso nella storia del cinema è la valigetta di Pulp fiction: un oggetto o un evento che viene utilizzato come espediente narrativo ma che in realtà si rivela inutile, in quanto la sua unica funzione è quella di fornire una motivazione alle azioni dei personaggi in scena.

Un film ben confezionato

A tratti stereotipato e dall’impostazione eccessivamente teatralizzante, The Outfit rimane comunque un buon esempio di thriller denso di mistero capace di intrattenere il pubblico, soprattutto avendo una durata sopportabile per i più insofferenti. Il finale visivamente d’impatto e completamente inaspettato, riaccende l’interesse di un pubblico che potrebbe essersi perso a metà del film a causa degli intrighi familiari e ai troppi dialoghi che, tuttavia, sono parte fondamentale di un film di questo genere.

Lo stesso Leonard diventa quindi l’enigma di una vicenda che piano piano viene a galla, svelando il suo vissuto che vale la pena di indagare.

 

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