Iran: dopo 40 anni di sanzioni, il momento dell’ascesa?

Tra le infinite negoziazioni sul nucleare e un rafforzamento dell’asse Mosca-Teheran in seguito all’invasione dell’Ucraina, il 2022 sembra riportare l’Iran al centro della politica internazionale. Scalfita, rallentata, a tratti indebolita da decenni di sanzioni, la Repubblica Islamica sembra comunque avere un ruolo essenziale (per certi versi in ascesa) all’interno dello scacchiere geopolitico.

Decenni di sanzioni ai danni di Teheran

Le sanzioni

Da più di quarant’anni (dal 1979) l’Iran vede la sua economia indebolita e rallentata da pesanti sanzioni, prima solo statunitensi, poi anche perpetrate dalle Nazioni Unite e dall’UE. Con “sanzioni” si intende uno strumento di politica estera: si esercita pressione economica su un Paese che ha violato un obbligo o che ha avuto un comportamento ritenuto “scorretto”. Le prime sanzioni sono calate su Teheran dopo la crisi degli ostaggi presso l’ambasciata americana. Dopo 444 giorni di sequestro e in risposta alla decisione del 1951 di nazionalizzare la florida industria petrolifera iraniana (nonostante l’opposizione americana), le conseguenze imposte ai danni di Teheran furono pesanti. Gli USA congelarono infatti miliardi di beni iraniani, tra cui molti depositi bancari e oro.

Le sanzioni hanno continuato ad aumentare da parte degli Stati Uniti, portando a un embargo sulle armi e a uno petrolifero. È nel 1995 infatti che l’allora presidente americano Bill Clinton emanò un ordine che vietava di fatto il commercio di petrolio con l’Iran alle aziende di tutto il mondo, pena l’applicazione di sanzioni commerciali nei loro confronti. Nel 2006 e nel 2007 l’ONU e l’Unione Europea imposero degli embarghi sulle armi ai danni dell’Iran, aggiungendosi in tal modo alle pesanti sanzioni già messe in atto dagli Stati Uniti. Le sanzioni delle Nazioni Unite e dell’UE avevano soprattutto lo scopo di fermare il programma di arricchimento di uranio di Teheran.

L’Iran nonostante le sanzioni

Nonostante le sanzioni abbiano impedito una vera e propria crescita economica, l’Iran non si è mai veramente fermato a causa di questo conflitto con l’Occidente. Il Paese, infatti, si è sempre basato su un’industria petrolifera molto ricca. Le sanzioni hanno portato Teheran a desiderare l’autosufficienza economica, simbolo di indipendenza dalle potenze straniere, ma l’importazione di molti prodotti alimentari non ha ancora permesso l’adempimento di questo obiettivo. Nel frattempo il Paese sembra essere in ascesa: molti settori (industria petrolchimica, automobile, tecnologie di informazione etc.) sono in sviluppo, l’adempimento del programma nucleare è alle porte e, in un momento di crisi energetica, il petrolio iraniano sembra poter giocare un ruolo di rilievo (ad esempio sostituendo la Russia come fornitore per l’Occidente).

Le infinite trattative sul nucleare

Dagli anni ’50 alle sanzioni Ue

Il primo programma nucleare iraniano vede la luce negli anni ’50, quando l’allora Presidente degli USA, Dwight David Eisenhower, donò un piccolo reattore nucleare all’Iran. Era l’epoca d’oro dei rapporti tra i due Paesi. Dopo la crisi degli ostaggi e la definitiva rottura del rapporto con gli USA, il programma nucleare, considerato immorale, venne chiuso. Venne segretamente riaperto durante la guerra con l’Iraq (1980-1988). La manovra costò a Teheran l’inserimento nelle liste americane degli stati terroristici e l’aumento delle sanzioni. Negli anni ’90 il Paese firmò un accordo con la Russia per completare la costruzione dei reattori nucleari: fu l’inizio del rapporto Mosca-Teheran. Nel 2006 il Consiglio di Sicurezza ONU approvò un insieme di sanzioni per spingere l’Iran a interrompere il programma. Nuove sanzioni arrivarono negli anni successivi, stavolta da parte dell’UE. Lo scopo era sempre lo stesso: disincentivare il nucleare iraniano.

La storia infinita del Jcpoa

Il 2015 segnò i primi passi avanti in materia di nucleare: venne infatti firmato il Jcpoa (Piano d’azione congiunto globale). Il Jcpoa fu un accordo internazionale sull’energia nucleare stipulato tra l’Iran e il P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU e l’Unione Europea). Secondo l’accordo, l’Iran avrebbe accettato di  diminuire il suo programma nucleare in cambio della cessazione delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni  Unite. Nel 2018, però, gli Stati Uniti del Presidente repubblicano Donald Trump si ritirarono unilateralmente dall’accordo, riattivando le sanzioni. Con la nomina del nuovo Presidente USA Joe Biden gli accordi sul nucleare sono stati ripresi lentamente, nonostante la resistenza di Teheran.

In effetti dopo più di un anno di trattazioni, gli iraniani non hanno ancora firmato l’accordo. La resistenza è in gran parte dovuta al cambiamento del contesto globale con la guerra in Ucraina. Oggi il mondo sembra andare verso la divisione in due blocchi, in un remake della guerra fredda, ed entrambi i fronti vedono schierate potenze nucleari. L’idea di un Iran nuclearizzato è molto poco incoraggiante. Da una parte, infatti, ci si troverebbe davanti all’ennesimo Paese non-democratico armato di armi di distruzioni di massa. Dall’altra parte, nello scenario che vede  contrapporsi ONU e Russia, Teheran potrebbe rappresentare un nuovo test per la leadership statunitense, già fortemente contestata.

Asse Mosca-Teheran

L’asse tra Teheran e Mosca, i cui primi contatti risalgono agli anni ’90, ha visto nuovi e importanti sviluppi nell’estate 2022. Dall’inizio della sua carica (ad agosto 2021), il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha messo in atto una look east policy. Questa politica significa che, nei rapporti dell’Iran con l’Occidente e l’Oriente, il Paese tenderà a inclinarsi maggiormente verso Est. Concretamente questa decisione si è tradotta in una resistenza nel miglioramento dei rapporti con l’Occidente (soprattutto con gli USA) e di uno sviluppo dei rapporti con l’Oriente, in primis la Cina. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, il 20 febbraio 2022, la politica iraniana si è invece avvicinata anche alla Russia.

Nonostante i due Paesi rimangano concorrenti in alcuni campi, primo fra tutti il commercio di idrocarburi, più eventi hanno reso chiaro l’interesse reciproco per una politica di vicinanza. «Reuters» ha infatti reso nota la notizia secondo la quale l’Iran avrebbe inviato alcuni dei suoi droni a Mosca, mentre l’interesse diplomatico è stato ufficializzato con la visita di Vladimir Putin a Teheran lo scorso luglio. Il viaggio è stato simbolico e di grande risonanza mediatica: quello in Iran è stato infatti il primo spostamento di Putin fuori dai confini dell’ex spazio sovietico dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Il meeting è stato letto come una minaccia verso l’Occidente: la Russia non è sola e, al suo fianco, sembra esserci anche l’Iran. Secondo fonti diplomatiche occidentali, riportate da «La Repubblica», Mosca ha una buona reputazione a Teheran: “Putin può vantare un credito diplomatico nei confronti dell’Iran, che ha difeso sia nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che all’AIEA, sulla questione nucleare”.

La politica interna

Per quanto riguarda invece la politica interna, proteste di vario tipo attraversano continuamente il Paese. In parte a causa delle sanzioni, in parte dell’incompetenza della politica, l’economia iraniana vive una situazione difficile: l’inflazione è alta (circa il 54% su base annua), le infrastrutture non funzionano e il malcontento è diffuso. Gli iraniani scendono spesso in piazza per manifestare. Tra di loro ci sono per esempio gli insegnanti, che protestano per ottenere il salario minimo e le pensioni. Alla forte inflazione si aggiungono le crisi di alcuni settori (primo fra tutti quello alimentare, che si basa quasi totalmente sull’importazione dei viveri) e la scarsità di acqua che, con le alte temperature estive, ha portato alla carenza idrica in diverse province. Le proteste e il malcontento sottolineano quanto la situazione economica sia uno dei maggiori fattori che minacciano la stabilità nazionale.

All’economia si aggiungono anche le minacce sociali. Nel Paese, una Repubblica Islamica Presidenziale Teocratica, esistono diversi gruppi estremisti, fortemente conservatori, legati a credenze religiose radicali. Questi gruppi, a volte dominanti, hanno portato più volte a eventi molto gravi. Risale ad agosto l’accoltellamento dello scrittore Salman Rushdie, autore de The Satanic Verses. Rushdie, preso di mira da un giovane di origini libanesi, era stato condannato a morte dall’Ayatollah Khomeini alla fine degli anni ’80, in seguito alla pubblicazione del suo libro. Anche se l’Iran ha negato ogni coinvolgimento diretto, è difficile non notare che il Paese non ha mai formalmente ritirato la fatwa contro di lui.

Ancora più recenti sono le proteste che sono seguite all’uccisione della ventiduenne Mahsa Amini. La giovane, arrestata dalla polizia morale perché portava male il velo, è morta il 16 settembre in carcere. In seguito alla sua morte, migliaia di ragazze e donne sono scese in piazza per protestare, in un insieme di sommosse e manifestazioni come non si vedevano da anni. All’urlo di “zan, zendegi, azadi”, cioè “donna, vita, libertà”., la stabilità della politica iraniana sta subendo, nonostante i tentativi di repressioni, duri colpi.

La rivoluzione che scuote il paese (e non si placa)

La mobilitazione popolare

Da settembre le proteste infuocano il paese e fanno vacillare il regime teocratico degli ayatollah, senza dare segni di recessione. La mobilitazione è popolare, collettiva, coinvolge ormai donne e uomini, studenti soprattutto ma anche adulti, sportivi e celebrità. Il centro delle proteste è Teheran, la capitale, ma la rabbia e le richieste degli iraniani non risparmiano il resto del Paese, arrivando a toccare 161 città e tutte le trentuno province. Le proteste, inizialmente scatenate dalla morte di Amini, hanno poi acquisito un respiro più ampio: il dissenso è ora rivolto contro l’opprimente Repubblica islamica, la polizia morale e la Guida Suprema Ali Khamenei. Alle proteste che chiedono ogni giorno una maggiore libertà e più diritti, il governo risponde in modo duro e repressivo. Le morti e gli arresti tra i manifestanti sono, infatti, all’ordine del giorno. A dicembre, Human Rights Activists News Agency, organizzazione che promuove la difesa dei diritti umani in Iran, conta 488 morti fra i manifestanti e più di 18 mila arresti. La violenza del Governo si dispiega in mille modi, fino ad arrivare all‘interruzione a più riprese di Internet e all’imposizione di blocchi ai social media, primo fra tutti Instagram.

La violenza del regime

La repressione del governo si è concretizzata, in dicembre, in diverse condanne a morte di manifestanti. Due giovani uomini, Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard, sono stati uccisi, impiccati a seguito di una condanna per “moharebeh” (inimicizia contro dio). Shekari è stato giustiziato per aver ucciso due basij, paramilitari al servizio delle Guardie della rivoluzione. La colpa di Rahnavard è molto simile: quella di aver partecipato alle rivolte contro il regime iraniano. I gruppi per la difesa dei diritti umani hanno condannato entrambi le morti, giudicate sommariamente e in processi a porte chiuse. I tribunali agiscono infatti perlopiù sotto l’influenza del regime e delle forze di sicurezza. La stampa europea parla di soli due condannati a morte a causa delle proteste, ma diverse fonti riportano numeri molto più alti. Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale, parla infatti di almeno dieci manifestanti non violenti giustiziati sommariamente.

L’apice della violenza del regime si è concretizzata però il 21 di dicembre. Ha fatto molto scalpore la morte di una giovane di quattordici anniMasooumeh. La giovane era stata arrestata perché non portava il velo a scuola, in segno di protesta. La quattordicenne, originaria di un quartiere povero di Teheran, è stata identificata tramite le registrazioni delle telecamere di sorveglianza della scuola. Dopo essere stata arrestata, la ragazza è stata successivamente trasferita in ospedale dove sono state rilevate gravi lacerazioni vaginali, a causa delle quali è morta. È una notizia simbolo della repressione, che ricorda la morte di Amini e quella della sedicenne Nika Shahkarami, vista mentre bruciava il velo durante le proteste e che è stata ritrovata morta qualche giorno dopo.

La forza della rivoluzione: i vip si uniscono alle proteste

Nonostante la violenza della repressione, le manifestazioni continuano e aumentano. Risalgono infatti a novembre le notizie delle atlete iraniane che gareggiano nelle competizioni internazionali senza velo. Un gesto che non è passato inosservato. Tra queste si ricorda Niloufar Mardani, appartenente alla squadra nazionale di pattinaggio da oltre dieci anni, che, dopo aver gareggiato senza hijab in segno di protesta, è anche salita sul podio a capo scoperto. Il ministero dello sport persiano ha subito preso le distanze dalla pattinatrice.

I personaggi più popolari, che si stanno a mano a mano avvicinando alle proteste, non sembrano però immuni a condanne e arresti. Ha fatto molto scalpore in dicembre l’arresto dell’attrice Taraneh Alidoosti, uno dei volti più noti in Iran, vincitrice di un premio oscar per Il Cliente. L’arresto si è svolto una settimana dopo che l’attrice aveva pubblicato un post su Instagram in cui esprimeva solidarietà con il primo manifestante giustiziato per presunti crimini commessi durante le proteste nazionali. Alidoosti aveva già espresso il suo sostegno alle proteste con diverse foto in cui figurava senza velo.

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