Curating Italian Fashion di Matteo Augello

È in corso da molti anni un dibattito sulla necessità di istituire un Museo della Moda in Italia. Nel 1981, in seguito alla proposta di costituire un museo della Moda lanciata da due associazioni industriali, il comune di Milano aveva istituito un progetto e formato una commissione coordinata da Enrica Morini, storica della moda. Tale progetto non fu mai portato a compimento. Come si è evoluta la questione? Ce ne parla Matteo Augello in Curating Italian Fashion.

Tutti ne parlano… Dal 1981

Da allora sono stati fatti diversi tentativi  e gli appelli non sono mancati: Andrea Batilla, strategist e scrittore, nel 2017 scriveva su «Linkiesta» che in Italia “esiste un museo della stregoneria e uno del flipper, ma neanche mezzo museo dedicato alla moda e nei magazzini impolverati giacciono collezioni milionarie”.

Gabriele Monti, professore associato di Teoria e critica della Moda allo IUAV di Venezia, nel 2019 arricchisce ulteriormente il dibattito con la pubblicazione Moda, curatela, museo: un dibattito lungo un decennio, un decennio lungo quarant’anni. Qui scrive: “una delle questioni centrali in Italia è una latitanza delle istituzioni nella promozione di un museo nazionale della moda, in grado di confrontarsi compiutamente con il panorama internazionale”.

Anche Maria Luisa Frisa, nel 2022, pubblica il volume Cara Moda ti meriti un museo, esito del corso di pratiche curatoriali tenuto all’Università IUAV di Venezia e censimento sulle mostre di moda organizzate in Italia fino a oggi.

Il comun denominatore a tutti questi contributi è la proposta di istituire un museo sul modello del Palais Galliera di Parigi o del Victoria and Albert Museum di Londra. Un museo della Moda e del costume in cui esporre una collezione permanente e in cui organizzare esibizioni temporanee.

Quest’anno grazie alla pubblicazione di Curating Italian Fashion di Matteo Augello, ricercatore dell’Istituto Marangoni di Londra, il dibattito si è aperto a una nuova chiave di lettura: il problema italiano risiede davvero nella mancanza di un museo della moda?

È un male che a Milano non ci sia un museo della moda?

Il volume indaga la peculiarità italiana dei musei di moda asserendo la presenza di un paradigma unico nel panorama internazionale. Milano è l’unica capitale della moda priva di un museo e dunque di un luogo deputato alla riflessione e alla istituzionalizzazione della moda come pratica culturale, ma questo secondo Augello non è un male. Egli offre una nuova interpretazione: e se proprio l’assenza di un museo fosse distintiva del caso italiano?

L’autore sostiene che in Italia sia stata possibile una “terza via” curatoriale a metà tra l’autoreferenzialità delle istituzioni e l’anarchia delle curator-star. Questo ha permesso che non si creasse un solo polo culturale della moda, come è accaduto in altre città, ma che si potesse mantenere un dialogo costante in tutta la penisola.

Del resto, sarebbe difficile decretare una sola città capitale della moda italiana. Anche se Milano è oggi la capitale indiscussa, occorre ricordare che altre città sono state centrali nello sviluppo della moda italiana. Firenze ha ospitato la prima sfilata di moda in Italia ed è la sede del Museo della Moda e del Costume (Palazzo Pitti) e della manifestazione più importante di moda maschile: Pitti Uomo.

Roma è la città dove, nel dopoguerra, si è sviluppata un’arte sartoriale finalmente indipendente dalle influenze francesi grazie a boutique storiche come quelle delle Sorella Fontana, la sartoria Farani, Tirelli costumi e tanti altri. Napoli, infine, è la patria dell’eleganza maschile già dal 1351 quando a Sant’Eligio al mercato nasceva la confraternita dei Sartori.

Ma che ruolo ha l’industria?

Inoltre, un ruolo sempre più centrale (anche questo è sottolineato da Augello) è quello dell’industria. All’interno del volume l’autore indaga su quale sia stato il ruolo delle aziende nella creazione di un discorso culturale attorno alla moda e come esse abbiano avuto un primato nel fare dell’heritage una forma di marketing.

Sono numerosi gli esempi di privati che si sono prodigati (e si stanno prodigando) per la diffusione di contenuti culturali di vario genere. Gucci con la sponsorship al V&A Museum per la mostra Fashion Masculinities e Valentino come finanziatore del padiglione Italia della Biennale di Venezia, sono solo esempi recenti di una pratica che conserva radici in un passato assai lontano del quale Matteo Augello fa una magistrale rassegna.

Una proposta per il domani

L’innovatività della proposta di Augello risiede nel fatto che egli non auspica la creazione di un museo della moda italiano sul calco del V&A o del Galliera, quanto la creazione di poli culturali, “think tank” in cui discutere di che cosa sia la moda, luoghi in cui studiosi, curatori, pensatori e appassionati possano ritrovarsi per discutere e poi mettere in pratica un comune progetto in luoghi già esistenti, appoggiandosi anche ad enti privati.

L’industria, secondo Augello, ha un ruolo cruciale nel futuro sviluppo della cultura della moda (e della curatela di moda) e dovrà sempre più bilanciare i bisogni “corporate” e quelli civili.

FONTI:

Augello, M. (2022). Curating italian fashion. London: Bloomsbury.

Gabriele Monti, G. M. (2019). Moda, curatela, museo: un dibattito lungo un decennio,un decennio lungo quarant’anni,. Zone Moda.

Enrica Morini, Marialuisa Rizzini, Margherita Rosina, Moda Arte Storia Società Omaggio a Grazietta Butazzi

CREDITI:

 

https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fcommons.wikimedia.org%2Fwiki%2FFile%3AComme_des_Garcons_at_the_Met_%252862467%2529.jpg&psig=AOvVaw38_Q4XUVoX6tpvubl0tFcf&ust=1671711466849000&source=images&cd=vfe&ved=0CBAQjRxqFwoTCMDwu9PYivwCFQAAAAAdAAAAABAE

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