Beni confiscati: la rinascita dei luoghi strappati alla mafia

Acquistati con i soldi del cosiddetto riciclaggio, alcuni dei beni che erano delle associazioni di stampo mafioso sono oggi di nuovo proprietà dello stato. È il fenomeno della confisca dei beni alle mafie e della loro rinascita sociale. Da Nord a Sud, le attività e i territori strappati in Italia alla criminalità organizzata sono molti e il loro riutilizzo costituisce un simbolo per la cittadinanza, per le istituzioni e per la stessa criminalità organizzata.

Mafia: cos’è e come funziona

Usato nel suo significato più ampio, il termine “mafia” indica un sistema di criminalità organizzata, ben radicato in un territorio. Questo sistema di potere si esercita tramite l’utilizzo della violenza e dell’intimidazione e mira a rafforzare il controllo su quello stesso territorio in cui è ancorato e sui commerci e attività imprenditoriali che vi hanno luogo. È un vero e proprio sistema di potere che sfida quello statuale: per questa ragione è spesso definito come anti-Stato.

Ogni tipo di organizzazione mafiosa si basa, inoltre, su di un’impostazione fortemente gerarchica e su un rigido rispetto delle regole, tra le più famose quelle legate all'”onore”. Nel suo significato più specifico, il termine “mafia” è spesso utilizzato per indicare la criminalità organizzata sicula, chiamata anche Cosa Nostra. Nell’isola, la mafia è presente fin dal XIX secolo. La criminalità si è però presto organizzata anche in altre regioni italiane, dove ha assunto nomi diversi. In Campania è presente la Camorra, in Calabria la ‘Ndrangheta, e la Sacra Corona Unita in Puglia.

Dall’infiltrazione al radicamento

Il binomio che vedeva legata la mafia al solo Sud Italia si sgretola velocemente nel XXI secolo, quando una serie di inchieste giudiziarie dimostra la presenza di gruppi mafiosi radicati anche nelle regioni del Nord. Gli anni decisivi sono il 2010 e il 2011, quando si dimostra il passaggio dall’infiltrazione al radicamento delle mafie nel tessuto politico ed economico del Nord. La magistratura scopre infatti l’esistenza di una struttura ’ndranghetista in Lombardia, Piemonte e Liguria (scelta in particolare per costituirvi articolazioni logistiche per il riciclaggio di capitali e per l’investimento in attività imprenditoriali). La presenza della ‘Ndrangheta si riscontra anche in Emilia Romagna, Veneto e Lazio, anche se nelle prime due è prevalente la presenza dei clan camorristici, in particolare quello dei Casalesi, e di storiche famiglie di Cosa Nostra.

Oggi le organizzazioni mafiose sono punite dal Codice Penale italiano, che le ha rese reato nel 1982 con la promulgazione della legge n. 646. Il fatto che esista un reato specifico per le associazioni di stampo mafioso si traduce nella punizione del sistema mafioso in quanto tale e delle sue regole, indipendentemente dalle realtà locali in cui si manifesta, dalle persone che ne fanno parte o dai singoli reati commessi dal gruppo criminale.

Beni confiscati alle mafie

La pratica del riciclaggio

Per trovare le mafie è sufficiente seguire i soldi. La criminalità organizzata va infatti là dove c’è guadagno. Come spiega Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica a Catanzaro, nell’incontro “Mafie d’Europa ai tempi della pandemia”, tenutosi ad aprile 2022, le mafie trafficano droga. Soprattutto cocaina. In seguito, con i guadagni derivati da questi traffici illegali, comprano tutto ciò che è in vendita. È il fenomeno del riciclaggio, uno dei pilastri su cui si fonda la macchina mafiosa. Il riciclaggio è la pratica di dare una finta provenienza legale a quei capitali che, in realtà, sono stati acquisiti illegalmente. È, per dirlo in altro modo, un lavoro di “ripulitura” dei soldi, che mira a rendere più difficile l’identificazione del capitale e il suo eventuale recupero. Questa azione è ovviamente illegale e, in quanto tale, è punita come reato dal codice penale italiano. L’articolo 648 bis è infatti dedicato al riciclaggio e alle pene che questo comporta. La norma non dice nulla riguardo al modus operandi del riciclaggio, è quindi ovvio che ci si trovi davanti ad un reato plurioffensivo, che può quindi avere diverse nature.

Come funziona quindi il riciclaggio praticamente? Riciclare denaro sporco consiste nell’investire capitale illeciti in attività lecite. Questo può essere fatto in diversi modi. Generalmente i soldi vengono “ripuliti” investendo in attività quali la ristorazione, l’edilizia, i compraoro e i carburanti, ma tante sono oggi anche le attività sportive legate a questo utilizzo, prima fra tutte il calcio. La pratica del riciclaggio si traduce, quindi, nell’esistenza di un gran numero di terreni e attività di proprietà della mafia, spesso acquistate tramite un prestanome.

I Beni confiscati: una nuova vita (legale)

Negli anni ’80, sull’onda della lotta alle mafie, lo Stato italiano ha adottato una normativa in merito ai beni di proprietà della mafia: essendo stati questi beni acquisiti illegalmente, la normativa ne prevedeva il ritiro. La legge n. 646, del 13 settembre 1982, nota come legge “Rognoni-La Torre”, introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. Questa legge aveva però un limite, quello del recupero dei beni, che rimanevano di fatto spesso bloccati e inutilizzati.

A questo proposito ha agito Libera, associazione antimafia fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti. Cosa ha fatto Libera?

L’associazione, dopo la sua creazione, in pochi mesi, ha raccolto oltre un milione di firme a sostegno di una nuova legge che destinasse ad un uso sociale beni immobili e aziende confiscate. Il 7 marzo 1996 compare in Gazzetta ufficiale la legge 109, che rende la società civile protagonista della lotta alle mafie, attraverso la possibilità di riappropriarsi di spazi e crearne di nuovi.

Si è creato così uno dei principali strumenti della lotta antimafia in Italia, tuttora all’avanguardia nel mondo. La legge implica infatti due aspetti da non sottovalutare: da una parte permette allo Stato di riappropriarsi di risorse che gli sono state sottratte dalle associazioni mafiose e dall’altra permette una riconversione dei beni confiscati, quindi con una storia di violenza e illegalità alle spalle, in attività utili alla società (scuole, cooperative o altri servizi). È importante sottolineare, a questo proposito, che Libera non gestisce direttamente i beni confiscati, ma vi promuove progetti e formazioni che mirano a incrementare la coesione sociale e al reinserimento del bene nel tessuto locale.

Da nord a sud: la disposizione geografica dei beni confiscati

La mafia al Nord: un modello economico che piace

Al contrario di quanto si pensa comunemente, la mafia non è un fenomeno rilegato alle regioni del Sud Italia: al contrario il fenomeno è ben trapiantato al Nord. La mafia non è più soltanto una questione meridionale e questo è dimostrato dalla localizzazione dei beni confiscati. Confiscati Bene 2.0, progetto nazionale per la trasparenza e la promozione del riutilizzo dei beni confiscati, ha infatti raccolto i dati riguardanti la confisca dei beni e li ha classificati a seconda della loro provenienza geografica. Come si vede dall’ultima mappa pubblicata, in testa alla classifica per il maggior numero di beni confiscati ci sono Sicilia (6416), Calabria (2674), Campania (2237) e Puglia (1566). Queste regioni sono seguite a pochissima distanza dalla Lombardia, che conta 1193 beni confiscati, dal Lazio (608) e dal Piemonte (178).

Il caso della Lombardia è in sé molto significativo: la provincia di Milano, capitale economica italiana, detiene il maggior numero di confische, simbolo ancora una volta del fatto che le mafie si trovano lì dove si trova il denaro. A Milano seguono le province di Brescia e Varese. In Lombardia, la maggior parte dei beni confiscati (il 49%) viene destinata agli Enti territoriali. Una gran parte di questi sono riutilizzati come appartamenti o box. L’idea principale è infatti che i beni confiscati alle mafie rinascano con un fine strettamente sociale. In effetti, i dati 2015 sull’utilizzo dei beni confiscati in Lombardia evidenziano come la prima finalità sia quella di assistenza sociale: il 42% dei beni è usato per finalità di housing sociale, il 10% con finalità educativa (centri educativi, asili etc.) e il 16% per assistenza ad anziani o disabili.

Beni confiscati nel mezzogiorno

Come dimostrato dai dati di Confiscati Bene 2.0 è evidente che le regioni con il maggior numero di beni confiscati restino nel mezzogiorno. Le quattro regioni del sud (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) vantano il 65% dei patrimoni sequestrati. Al Sud la situazione dei beni in mano alle mafie è più complicata. Nel caso di queste regioni, infatti, i beni sono spesso distrutti dagli ex proprietari prima della confisca in segno di sprezzo o si trovano in condizioni tali da richiedere pesanti lavori di restauro e bonifica. Le aziende, invece, si imbattono spesso in condizioni difficili di reinserimento nel tessuto sociale. Il prefetto Bruno Corda, a capo dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità, dice:

Queste aziende hanno lavorato sempre sul mercato nero, con liquidità sporca. Confrontandosi con il mercato reale, soccombono. Quello che servirebbe è un’operazione economico-culturale in cui un intero territorio dovrebbe farsi carico di reimmettere queste aziende sul mercato, ad esempio privilegiando i loro prodotti.

Al Sud ancora più che al Nord è quindi fondamentale il lavoro di reinserimento socio-territoriale dei beni sequestrati. Il valore simbolico dei patrimoni confiscati è massimizzato là dove questi sono restituiti alla cittadinanza. È un processo che, come sottolinea anche Corda, comporta un lungo lavoro di recupero, ancora più lungo nel caso del mezzogiorno, che spesso si confronta con beni in condizioni disastrose.

Beni al Sud: il caso di Cinisi

Per i beni confiscati si può parlare spesso di una rinascita. Così è stato per l’ecovilaggio solidale “Fiori di Campo” di Marina di Cinisi (Palermo). L’ecovillaggio nasce dalle rovine di un bene tolto alla mafia durante la maxi confisca del 1993 all’imprenditore Vincenzo Piazza. Piazza riciclava il denaro sporco dei fratelli Graviano, reinvestendolo nell’edilizia pubblica e privata, in Sicilia e in altre regioni italiane. Il terreno su cui sorge “Fiori di Campo” oggi era la residenza estiva della famiglia. Il bene è stato ripulito e riconvertito, anche grazie alle operazioni di Libera che, insieme ai lavori, ha tenuto per anni nel campo corsi di formazione sulle organizzazioni mafiose. Il campo è grande circa un ettaro ed immerso nella vegetazione mediterranea. Dopo la confisca e i lavori, il bene ospita oggi gruppi, famiglie, associazioni, comunità e anche singoli.

Lo scopo del villaggio è quello di accogliere tutti senza discriminazione, motivo per cui una particolare attenzione è rivolta a minorenni, anziani, diversamente abili e scuole. Quello di “Fiori di Campo” è un esempio di quei beni che sono stati effettivamente ridonati alla collettività e che sono rinati da un passato di illegalità. Il passato rimane però tuttora presente nel campo, dove si possono svolgere diverse attività, quali il ripristino del bene confiscato, laboratori sul riciclaggio, lavori di pubblica utilità, animazione territoriale, formazione sui temi della legalità o partecipazione a iniziative anti-mafia.

 

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