Riad trema sotto la minaccia iraniana

Dopo due mesi di rivolte che continuano a lacerare l’Iran, il governo cerca i responsabili fuori dai suoi confini. La colpa delle proteste, secondo l’intelligence di Teheran, ricade su un gruppo di paesi che hanno lanciato una serie di operazioni per destabilizzare il governo. Tra questi vengono accusati gli Stati Uniti, nemesi storica dell’Iran, Gran Bretagna, Israele, la Germania e l’Arabia Saudita. Le accuse vengono presto accompagnate da una serie di dichiarazioni dell’intelligence di Riad, che minaccia la possibilità di attacchi iraniani diretti all’Arabia Saudita e all’Iraq.

Le accuse di Teheran

Dalla morte di Mahsa Amini (giovane curda arrestata a Teheran il 13 settembre perché accusata di non portare il velo in maniera conforme al costume) l’Iran è caduto in una spirale di rivolte e proteste, che ancora dopo due mesi infiammano il Paese. Il governo, davanti alla più grande rivolta dal 2019 ad oggi, cerca un colpevole da accusare. Il dito punta fuori dai confini iraniani. La «Agenzia di Stampa della Repubblica Islamica» (IRNA) ha riportato a proposito le parole del ministro dell’intelligence iraniano Esmail Khatib:

Negli eventi recenti, la mano del regime sionista è stata la più evidente, nelle sue propagazioni anche le mani del regime britannico e saudita erano tra le più evidenti, e tutte le spese per lo spettacolo messo in atto dalla corrotta Berlino per la propaganda, per creare l’atmosfera appropriata, affittare i materiali per filmare e le strutture per la presenza dei rappresentanti dei media sono state pagate dai sauditi.

L’Iran accusa così in una sola dichiarazione gli Stati Uniti (USA), la Grand Bretagna (Uk), Israele, la Germania e l’Arabia Saudita di complotto alle spese di Teheran. Secondo Khatib, infatti, questi paesi avrebbero lanciato un’operazione per destabilizzare l’Iran. Le rivolte che sono scaturite in seguito alla morte di Amini ne sarebbero in realtà una parte. Le accuse del ministro dell’intelligence non giungono inaspettate. All’inizio di ottobre, infatti, già la suprema guida spirituale del paese, l’Ayatollah Ali Khamenei, aveva accusato Usa e Israele di aver provocato le proteste per fermare il processo di sviluppo iraniano. Le parole riportate da «Aljazeera» suonano pesanti: “Dico esplicitamente che queste rivolte e questa insicurezza sono un disegno degli Stati Uniti e del falso regime sionista occupante [Israele] e di coloro che sono pagati da loro, e alcuni iraniani traditori all’estero li hanno aiutati.”

Le stesse accuse arrivano anche da Hossein Salami, comandante delle Guardie Rivoluzionarie, un organo militare istituito dopo la rivoluzione islamica del 1979. A fine ottobre, il comandante aveva infatti rilasciato una serie di dichiarazioni in cui accusava di complotto gli stessi paesi nominati da Khatib e definiva “marcio” il regime saudita. In seguito, Salami aveva minacciato l’Arabia Saudita. Queste sono le parole rivolte a Riad e riportate da IRNA:

Attenzione, verremo da voi per aver provocato il nostro popolo e seminato discordia. Immaginate solo cosa potrebbe succedervi. Quindi, fareste meglio a non sentirvi calmi, poiché vi toglieremo la calma.

Riad trema

Come è stato anticipato dalle parole del comandante Salami, le minacce di un attacco all’Arabia Saudita sembrano essere reali e imminenti. Secondo l’intelligence di Riad, infatti, l’Iran sarebbe in procinto di pianificare un attacco contro l’Iraq e l’Arabia Saudita per distogliere lo sguardo dalle proteste che continuano imperterrite. Il livello d’allerta militare nella regione si è subito alzato. In realtà il livello di allerta è già alto da più di un mese, ossia da fine settembre, quando un missile balistico iraniano era stato intercettato e abbattuto dagli americani prima che potesse colpire un gruppo di truppe USA stanziate a Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno. Ora, secondo gli 007 di Riad, a Erbil si sarebbe aggiunto lo stesso regno saudita come bersaglio.

Uno dei portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale USA ha condiviso pubblicamente la preoccupazione americana riguardo un possibile attacco iraniano. “Siamo preoccupati per il quadro complessivo”, ha detto “e rimaniamo in contatto costante con i sauditi attraverso i canali militari e di intelligence”. Gli Stati Uniti hanno anche sottolineato che non esiteranno ad agire “in difesa dei nostri interessi e partner nella regione”.

Teheran, Mosca, Riad e Washington

L’avvertimento a Riad è arrivato, tuttavia, in un momento delicato. Nelle ultime settimane, infatti, la tensione tra USA, Arabia Saudita e Iran è notevolmente aumentata, in seguito all’ulteriore avvicinamento di Teheran a Mosca. Risalgono all’8 novembre le parole del portavoce per la sicurezza nazionale americana, John Kirby, che ha espresso la preoccupazione dell’amministrazione Biden riguardo a ulteriori rifornimenti di armi alla Russia da parte di Teheran. Gli USA temono infatti che, oltre ai droni, l’Iran possa presto fornire a Mosca missili terra-terra, che sarebbero poi utilizzati nella guerra contro  l’Ucraina.

L’avvertimento arriva in un altro momento di grande tensione, questa volta tra Riad e Washington. La causa? Il petrolio. Grandi disaccordi tra i due paesi sono infatti stati causati dalla decisione di metà ottobre dei sauditi di non rinviare di un mese (quindi fino alle elezioni americane di midterm, tenutesi martedì 8 novembre) il taglio della produzione petrolifera deciso dall’Opec, i paesi esportatoti di petrolio. L’Opec (composto da tredici membri tra cui anche l’Arabia Saudita) ha infatti deciso di tagliare la produzione di due milioni di barili di petrolio al giorno a partire da novembre. Nel comunicato finale dell’organizzazione, si legge che la decisione è stata presa “alla luce dell’incertezza che circonda le prospettive economiche e del mercato petrolifero globale e della necessità di migliorare le linee guida a lungo termine per il mercato e in linea con l’approccio vincente di essere proattivi”.

Riad ha sottolineato che la decisione è stata presa in base a motivazioni strettamente economiche, mentre per Washington il taglio della produzione petrolifera schiera il regno saudita lontano dagli Stati Uniti. Gli USA, partner strategici dei sauditi, non hanno infatti apprezzato il taglio del petrolio, considerandolo una mancanza di rispetto e un avvicinamento a Mosca. La portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, ha dichiarato infatti: “È chiaro che con la sua decisione, l’Opec+ si sta allineando con la Russia.

 

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