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Pirandello nell’epoca dei Social

Le parole scritte all’inizio del secolo scorso da Luigi Pirandello sono destinate a far riflettere ancora adesso. Le sue storie, infatti, sembrano un pretesto per esporre un pensiero sempre attuale, che parte dall’analisi della vita di tutti i giorni. I suoi racconti hanno sempre come protagoniste persone comuni che si pongono interrogativi validi ancora oggi, sebbene viviamo in un’epoca che sembra lontanissima.

Davide Perria fa una lucida analisi di questi temi di grande interesse nell’articolo pubblicato su Lo Sbuffo e intitolato Pirandello: alla Ricerca della Propria Identità.

Chi sono?

Uno dei temi maggiormente emblematici degli scritti di Pirandello è quello dell’identità dei singoli esseri umani. “Chi sono?” è la domanda che i personaggi fanno a se stessi, percependo tutta la difficoltà di dare una risposta. Non è semplice comprendere la propria personalità, i desideri, gli obiettivi senza lasciarsi condizionare dall’insicurezza e dal timore per il giudizio degli altri. Con fatica, i personaggi pirandelliani comprendono che da un lato si pone l’immagine che ciascuno ha di se stesso e dall’altro c’è l’immagine che ciascuno dà di sé agli altri.

Per contro, non si può essere così ingenui da credere che una volta rivelata l’identità personale di ciascuno l’enigma sia risolto. Per Pirandello infatti, la vita è un flusso in divenire e quindi anche l’essere umano e i suoi pensieri sono in continua evoluzione. Tutto evolve e assume nuove identità: il cambiamento è il senso stesso della vita. Per questa ragione, l’indagine sulla propria identità è destinata a non finire mai e porta a constatare una serie di cambiamenti dentro ciascun individuo.

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della tua vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”

Luigi Pirandello immagine copertina

La teoria delle maschere

I personaggi pirandelliani prendono coscienza anche di un altro curioso fenomeno: a seconda della prospettiva di chi guarda e del momento, ciascuno si trasforma in uno, nessuno e centomila individui diversi. Ciascuno crede di avere una personalità unica, ma in realtà non ne possiede nessuna in modo definitivo. Centomila invece sono le identità che vengono attribuite dagli altri a causa del bisogno umano di classificare le persone. Attribuire un ruolo, una maschera, soddisfa il bisogno di avere certezze socialmente accettabili. E così si finisce inevitabilmente a constatare che “io sono ciò che mi si crede”.

La maschera, nel parlare comune, è spesso intesa come metafora di un atteggiamento non autentico che l’uomo assume in determinate circostanze, spesso sotto la pressione delle convenzioni sociali. Quindi, quando una maschera viene usata con la volontà di nascondersi prevale un senso di inganno. Talvolta, invece, la si indossa in modo inconsapevole: quando si cerca di sembrare migliori a causa di insicurezza o pudore, o a causa della sensazione di non essere degni di mostrarsi agli altri. Altre maschere sono invece quelle che le persone attribuiscono agli altri individui per definirli. Altre ancora, quelle che la società e le istituzioni impongono alle persone, attribuendo ruoli che limitano la spontaneità e l’autenticità.

Ciascuno, per Pirandello, consciamente o inconsciamente recita una parte che la società esige da lui o che egli stesso si impone in base ai suoi ideali morali.

Le alternative possibili

Le maschere non solo nascondono la vera identità delle persone, ma sono anche fonte di frustrazioni e di difficoltà nel comunicare spontaneamente con gli altri. Le alternative a questo punto non sono molte: la più facile può esser quella di adattarsi passivamente al proprio ruolo, oppure al contrario rifiutare di nascondersi dietro a una maschera, accettando invece la vera identità in divenire del proprio essere.

I protagonisti di Pirandello sono esseri liberi e pertanto scelgono questa seconda opzione. La ribellione, che potrebbe portare a una genuina consapevolezza del proprio essere e dunque alla felicità, si rivela però sempre come socialmente non accettabile e viene definita come pazzia.

Uno, nessuno e centomila

Parlando di maschere è inevitabile far riferimento a Uno, Nessuno e Centomila. Pubblicato nel 1926, è stato definito dallo stesso Pirandello come il “romanzo più amaro di tutti”.

Il protagonista, Vitangelo Moscarda, passa dal considerarsi unico, a concepire di essere una nullità in quanto costituito da una semplice costruzione artificiale, ovvero quella che si mostra al mondo, fino alla presa di coscienza delle molteplici maschere in divenire che ciascun individuo assume nel suo rapporto con gli altri.

Questa consapevolezza da parte del protagonista nasce da un evento apparentemente insignificante: la moglie, Dida, gli fa notare una serie di piccole imperfezioni fisiche di cui egli non si era mai avveduto. Questo porta Vitangelo a scoprire che l’immagine che lui ha di sé non coincide con quella che gli altri hanno di lui. Da quel momento la sua vita cambia, sconvolta dalla domanda “Chi sono?”. La risposta è disorientante. La realtà sembra perdere ogni oggettività per assumere i contorni del relativismo. Il forte desiderio di distruggere quelle maschere che gli altri hanno modellato sul suo volto fanno apparire il protagonista come pazzo agli occhi degli altri. Nel tentativo di recuperare la vera essenza del proprio essere, tra molte peripezie e inganni, Vitangelo si ritrova nuovamente al punto di partenza e dovrà accettare una nuova ennesima maschera.

Il Fu Mattia Pascal

Di qualche anno precedente è Il Fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904, romanzo di denuncia di un’epoca di crisi morale che mette in luce i paradossi umani, polemizza e ironizza sulle convenzioni sociali entro cui l’individuo è costretto a vivere.

Mattia Pascal, così come Vitangelo Moscarda, si perde nel triste e assurdo gioco delle maschere. Assume identità diverse in situazioni diverse, vive vite parallele per poi ritrovarsi a sperimentare sul finale una sconfitta amara: l’impossibilità di comprendere fino in fondo sé stesso e chi lo circonda.

I personaggi pirandelliani hanno in comune una certa attitudine nel vivere un alto grado di menzogna e una propensione ad inventare stratagemmi macchinosi per ottenere risultati. Si avvalgono di atteggiamenti fittizi atti a nascondere i veri interessi, salvo poi, essere pervasi da un senso di onestà e di sconfitta. Finiscono per comprendere a loro spese le regole del gioco e le accettano un po’ mestamente.

Per Pirandello siamo pupazzi nelle mani del Fato

Pirandello, forse per via dell’epoca delle crisi delle certezze in cui è vissuto, vede in ciascuno l’incapacità di autodeterminarsi e di autodefinirsi. Per Pirandello siamo tanti “pupi” nelle mani di un burattinaio invisibile e capriccioso: il fato. Quando nasciamo ci troviamo inseriti per puro caso in una società precostituita, regolata da leggi inviolabili che non dipendono dalla nostra volontà. La domanda “Chi sono?” ci porta spesso a constatare l’irrisolvibile contrasto tra essere e apparire: talvolta quello che si è realmente non coincide con l’immagine che di noi stessi diamo o pensiamo di dare al mondo.

In un momento storico diverso da quello in cui Pirandello scriveva le sue constatazioni, nella società occidentale di oggi, possiamo ambire a manifestare noi stessi con maggiore sincerità rispetto a quello che potevano fare i nostri coetanei vissuti a inizio Novecento. Ma nonostante le liberà di cui godiamo e una sempre crescente consapevolezza di quanto ciascuno sia portatore di una propria bellezza personale, tendiamo in ogni caso a nascondere noi stessi per molteplici ragioni.

La paura del giudizio

Per Pirandello, nascondiamo noi stessi dietro a una maschera principalmente per paura del giudizio degli altri. In certi casi si tratta di un giudizio che neppure si manifesterà o se lo farà, rivelerà da solo la propria intrinseca inutilità. I suoi personaggi arrivano a constatare a loro spese che, per contro, ribellarsi alle regole sociali per poter essere sé stessi, implica il dover accettare il peso del confronto e il dover mettere in discussione le proprie idee con il pericolo che vengano demolite. È di certo più facile e meno rischioso occultare il proprio volto dietro una maschera, vivere ai margini della mediocrità, senza abbracciare apertamente alcuna posizione. Chi non si mostra non ha il pericolo di perdere, ma allo stesso tempo non può stabilire autentici legami con l’altro.

Pirandello maschere immagine stilizzata

Tutte le maschere della nostra esistenza

Vale la pena, anche solo per gioco, fare una riflessione su quante persone siamo a seconda di chi ci guarda. Siamo davvero Uno, nessuno e centomila. E vale la pena fare una riflessione anche su chi eravamo fino a poco tempo fa e di quali cambiamenti sono avvenuti in noi stessi nel corso del tempo.

Oggi più che mai, la varietà di occasioni di incontro con persone in diversi contesti ci porta a sperimentare la nostra naturale capacità di adattare noi stessi e i nostri comportamenti a seconda di dove ci troviamo. Nel contesto lavorativo, con il partner, con gli amici delle vacanze, davanti ai familiari. In situazioni ufficiali è necessario mantenere la dovuta formalità, con i conoscenti si indossano maschere che possano risaltare i pregi caratteriali, con il partner ci si sforza di mostrare il lato migliore.

Pirandello e i social

Impossibile non fare una constatazione anche su quali maschere indossa ciascuno di noi ogni giorno sui profili social. Le fotografie e tutto il materiale pubblicato passa attraverso una selezione finalizzata a evidenziare le doti o per nascondere i difetti. Così come il timore del giudizio altrui, anche il voler sembrare migliori è naturale e spontaneo. Chi avrebbe voglia di sembrare peggio di quello che è? E poi, siamo sinceri: è capitato a tutti di avere una sensazione di benessere ricevendo molti commenti lusinghieri per un selfie pubblicato. A chi non piacciono i complimenti? Ma a pensarci bene, quanto è autentica la nostra immagine riflessa nei nostri profili social?

L’attualità di Pirandello

Siamo animali sociali e in quanto tali necessitiamo del rapporto con gli altri. Il giudizio altrui incide sulla percezione di noi stessi. Abbiamo bisogno di piacere. Abbiamo bisogno di approvazione. Vogliamo essere come gli altri. Abbiamo bisogno di far sapere al mondo quanto siamo felici, anche se poi non è davvero sempre così.

Sarebbe opportuno chiedersi quando si supera una certa soglia e si passa da una condizione naturale a un eccesso dai profili patologici. Qual è il limite tra una naturale vanità e il voler dare a tutti i costi una splendida impressione di se stessi? Si è forse mossi dal desiderio di non essere da meno rispetto agli altri? Si è forse mossi dal timore che una qualche diversità possa costare l’esclusione dal “branco”?

Cambiando prospettiva, pensare che sia tutto vero quello che gli altri mostrano di se stessi appare come un atteggiamento piuttosto ingenuo. E che cosa rimane allora all’uomo se non può conoscere se stesso e non può conoscere davvero gli altri? Quale via d’uscita si pone davanti a una realtà fatta di apparenze? È lo stesso Pirandello a suggerire una risposta quando dice:

Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.

Forse basta semplicemente ammettere e accettare la possibilità che vi possano essere dei cambiamenti in se stessi e negli altri e provare ad essere quanto più possibile sinceri con il proprio Io e con chi è di fronte a noi.


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