Flesh: Warhol & The Cow

Un nuovo spazio culturale nato per Roma

Settembre è iniziato con l’inaugurazione di un nuovo spazio culturale ed espositivo: il Casale del Castellaccio. Conosciuto a Roma come La Vaccheria dell’Eur, il municipio ha deciso di donare questo luogo alla comunità con una mostra molto interessante e scientificamente valida. Flesh: Warhol & The Cow. Le opere di Andy Warhol alla Vaccheria, a cura di Giuliano Gasparotti e Francesco Mazzei, visitabile gratuitamente fino al 30 ottobre, offre un vasto spettro della produzione dell’artista con ottanta opere esposte: dalle Mucche ai Barattoli Campbell, da Liza Minelli a Marilyn, alle copertine di dischi e riviste. Un esordio importante per una comunità che ha sempre più necessità di riprendersi gli spazi abbandonati.

Accanto viene proposta l’esposizione Sacro o Profano…? che propone una selezione di opere realizzate da sedici artisti, professionisti e autodidatti. Questo luogo sarà utilizzato successivamente per organizzare mostre temporanee di alto valore in modo da poter portare l’arte in un quadrante di Roma spesso dimenticato. Il Municipio IX, in collaborazione con il Comune di Roma, ha eseguito un importante lavoro di valorizzazione sia artistico che sociale. Queste le parole del Sindaco Roberto Gualtieri il giorno della inaugurazione:

Quella di oggi è una giornata molto importante per l’Eur e per tutta Roma. Il recupero della Vaccheria, frutto di un bel lavoro di squadra, consegna alla città uno straordinario spazio culturale che ospiterà progetti di grande valore, come la bellissima mostra di opere di Andy Warhol e la rassegna di artisti del territorio che segnano l’inizio di questo percorso così promettente. Questo intervento di recupero darà un grande impulso alla valorizzazione dell’intero quadrante ed è un tassello rilevante della strategia che realizzeremo in tutta la Capitale: restituire ai cittadini quartieri sempre più inclusivi e vivi, con servizi di prossimità diffusi ed efficienti, e riqualificare spazi con il pieno coinvolgimento dei Municipi per creare luoghi di aggregazione, socialità e cultura. Il nostro impegno resta quello di lavorare con la massima energia per promuovere lo sviluppo dei nostri territori e rendere la nostra città una comunità sempre più unita e solidale

L’arte come sociale

Prima di passare alle opere è bene fare una riflessione sul concetto di arte come valore sociale. La potenzialità che ha l’arte di fare comunità da sempre coinvolge artisti e committenti. Basti pensare alla Firenze dei Medici, o alla Roma di Sisto V e Napoleone, i quali hanno modificato il volto della città. Così come alla Roma di Mussolini, anche se tra le polemiche (storicistiche e a volte infondate), la quale ancora oggi sopravvive. Ma il progetto della Vaccheria ha altri punti di riferimento, in quanto si tratta di un progetto di rivalutazione urbanistica, il quale utilizza la cultura sia come mezzo che come fine. Allora è il caso di citare esempi più contemporanei italiani e soprattutto stranieri, dove le potenzialità sociali dell’arte sono state il motore di una crescita sociale ed economica.

Partendo da Londra, in un immaginario viaggio verticale fino in Italia, l’esempio è quello della Tate Modern, nata in una zona industriale in disuso. Poi è la volta di Bilbao che ha visto rivalutata la sua zona portuale grazie all’intervento del Guggenheim, togliendo di fatto la città dal giro criminale che l’aveva vista protagonista negli anni Ottanta. Infine, giusto per portare pochi esempi, abbiamo il MAXXI e il Macro di Roma, che hanno cambiato il volto di due zone, una militare e una industriale. L’effetto che si vuole ottenere oggi all’EUR è lo stesso ottenuto in questi nuovi musei, spesso dalla costruzione futuribile. Tuttavia, al Casale è bastata una ristrutturazione, che gli ha permesso di mantenere il suo volto originale.

L’arte, quindi, assolve il valore taumaturgico di elevazione sociale, e la scelta di Warhol non è stata casuale. Con il suo Pop egli ha registrato la modernità lavorando sulla spinta della presenza della morte, riproducendo i valori della società dei consumi. Un monito quindi piuttosto che una celebrazione di un luogo donato alla comunità, la quale dovrà farne buon uso.

Andy Warhol e la Business Art

La caratteristica dell’arte di Warhol è la serialità, ossia il metodo di produzione in serie inaugurato da Ford negli anni Venti del Novecento. Questo metodo permette quindi a Warhol di non attribuire alle proprie opere una qualità autonoma artistica, dando all’artista la funzione di creatore esterno. Una novità quindi che consente a Warhol di essere artista ideatore e produttore non solo di opere ma anche e soprattutto della sua immagine e della sua celebrità. Il processo di registrazione del dato reale e della sua riproduzione con tecniche moderne ha portato Warhol alla teorizzazione della Business Art:

La Business Art è il gradino subito dopo l’arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business. Dopo aver fatto la cosa chiamata arte, o comunque la si voglia chiamar, mi sono dedicato alla Business Art. Voglio essere un Business-Man dell’Art o un artista del Business. Essere bravi negli affari è la forma d’arte più affascinante. Durante l’epoca hippy la gente aveva rifiutato l’idea del business e diceva: “I soldi fanno schifo” e “Lavorare fa schifo”, ma far soldi è un’arte, lavorare è un’arte, fare affari è la migliore forma d’arte. 

Lavorando in maniera seriale con tecniche meccaniche come la serigrafia, Warhol produce in maniera quantitativa. Le sue opere, alcune in esposizione a Roma, sono la trasposizione di un procedimento produttivo che caratterizza il sistema capitalistico, con una particolare attenzione alla morte. Le serigrafie di Marilyn Monroe e di Elizabeth Taylor non sono ritratti classici bensì l’immissione della loro immagine nella società che li venera come icone sacre. Quindi, non sono le opere d’arte ad essere pop ma è il pop, con le sue tecniche, a rendere le personalità arte. Vengono presentate con la loro aurea indistruttibile in barba alla loro caratteristiche umane. Questo fa il Pop di Warhol: registra la distruzione e la morte dell’anima in favore di una produzione seriale e consumistica del quotidiano.

Le opere esposte

Sono convinto di rappresentare gli Stati Uniti con la mia arte, ma non sono un critico sociale. Semplicemente dipingo questi oggetti perché sono le cose che meglio conosco. Non provo a muovere una critica agli Stati Uniti, non cerco di mettere in risalto nessuna bruttura. 

Andy Warhol, Brillo Box, 1964, serigrafia su legno, cm 51 x 51 x 43, Museum Of Modern Art, New York.

In Warhol l’opera d’arte diventa anche lo specchio di una America piatta, dove tutti bevono Coca-Cola, mangiano zuppa Cambell’s, comprano nei mega store e consumano denaro senza accorgersene. Brillo Box del 1964 e Cambell’s Soup Box del 1967 sono due esempi della società dell’abbondanza e dello spreco rappresentata da Warhol in forma tridimensionale con queste due scatole in legno. Brillo è la marca di pastiglie di detersivo usate dalle casalinghe americane fin dal 1913, epoca in cui gli Stati Uniti erano in piena crescita economica. La prima apparizione delle scatole Brillo avviene nel 1964 alla Stable Gallery di New York, il cui allestimento richiamava un supermercato. In questo modo, per volere di Warhol, l’oggetto di consumo diventa opera d’arte pronta all’uso, certificando di fatto una sostituzione. L’oggetto diventa arte e viceversa, come per la zuppa Cambell’s, pronto ad essere mangiato e consumato.

Questa sostituzione d’uso e comprensione avviene in tutta l’opera di Warhol, dai fiori e alla frutta fino alle immagini di personaggi famosi riportati su carta. Marylin del 1967, grazie alla tecnologia, in mostra fluttua in una stanza, mentre la Taylor vigila sui visitatori che si muovono nella sala. Warhol non riproduce il personaggio ma il livello di celebrità che questo emana, così come accade con Two Dollars, Declaration of Indipendence del 1976, dove il volto di George Washington viene riportato per quello che è famoso, essere sulla banconota di un dollaro.

Oltre alle copertine dei dischi per i Velvet Underground, Liza Minelli e gli Stones in mostra troviamo anche le bellissime composizioni floreali e di frutta. Space Fruit and Flowers sono per Warhol un ritorno alla natura per cercare di recuperare il concetto di unicità che è scomparso nel sistema del consumo. Solo che la tecnica che utilizza è la stessa per le altre sue opere e così facendo riduce il tutto ad una valenza estetica. Il fiore e la pesca sono considerati per il loro valore cromatico e seriale, utilizzato dalle persone comuni per riconoscerli, e non per il loro valore biologico che rappresenta l’unico metodo per distinguerli.

Warhol e la mostra

La scelta d’esordio non è stata casuale. In un luogo dove si producevano prodotti alimentari tramite allevamento intensivo arriva un’arte che registra con taglio critico quei processi. Le mucche disposte lungo gli abbeveratoi sono le antenate dell’allestimento che ben valorizza la serialità organizzativa e operativa di Warhol. Colui che ha ribadito il valore dell’artista e della sua funzione sociale si riafferma oggi con la scelta di esporre le sue opere in un luogo destinato alla comunità, spesso criticata dall’artista americano.

Warhol disdegnava i concetti di unicità e di sacralità dell’opera d’arte per realizzare in maniera infinita lavori che oggi sono difficili da quantificare. Inoltre, è difficile fare una differenza tra cosa è arte e cosa invece si riduce al grado di feticcio. L’idolatria delle stelle del cinema è un prodotto dello show business così come gli scaffali riprodotti e portati in galleria dai grandi supermercati americani. Il fatto che sia arte poi ha permesso a Warhol di avere un’aurea che lo anticipava, come nel caso nel futuro ognuno sarà famoso per almeno 15 minuti. Oggi sono diventati 15 secondi, grazie ai social, e dobbiamo chiederci se la produzione delle mostre sia divulgazione scientifica oppure la promozione di un feticcio artistico. Ossia la parvenza di partecipare attivamente alla visita in museo oppure di avere la stessa sensazione di essere in un grande centro commerciale.

Era questo il dubbio di Warhol. Una registrazione attiva del suo presente dal quale non ha potuto fare a meno di essere e fare l’artista contemporaneo. Ossia di assumere la figura di critico e di assecondare la produzione di oggetti che vengono acquistati perché appaganti e soddisfacenti. La migliore opera d’arte di Andy Warhol è stata se stesso. 

 


FONTI

Warhol, a cura di Flaminio Gualdoni in I Maestri dell’Arte Moderna, Skira, Milano 2017.

I testi di Giuliano Gasparotti, Francesco Mazzei e Gianfranco Rosini sono inseriti nel catalogo della mostra e consultabili al seguente link: cloud.zetema.it

 

CREDITI

Tutte le immagini sono a cura del redattore.

 

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