Il Commonwealth sopravviverà alla morte della Regina?

Il lunghissimo regno di Elisabetta II è giunto al termine. Simbolo di saggezza, dedizione al lavoro e stabilità, la Regina d’Inghilterra ha lasciato la corona sul capo del primogenito Carlo, figura controversa e non sempre apprezzata dentro e fuori il Regno Unito. La morte di Elisabetta II potrebbe anche rivelarsi un’occasione per riflettere sul ruolo della monarchia inglese, sia come legame tra i regni del Commonwealth, sia come istituzione e autorità all’interno dell’UK.

Re Carlo III d’Inghilterra

Il settantatreenne Charles ce l’ha fatta: finalmente la corona d’Inghilterra è sua, dopo decenni di paziente attesa. Molti si sarebbero aspettati che, vista l’età avanzata, il diretto successore di Elisabetta avrebbe preferito cedere il trono al figlio William, amato nipote della dipartita Regina. La figura di Carlo ha fatto molto discutere durante il regno della madre, soprattuto per quanto riguarda la sua tempestosa relazione con la consorte Diana Spencer, da cui divorziò nel 1996. La vicinanza temporale tra la morte dell’amatissima Lady D, deceduta in un tragico incidente in Francia, e il matrimonio di Carlo con Camilla Shand, sua storica amante, ha alimentato voci in tutto il mondo su un possibile complotto. L’ipotesi non è mai stata dimostrata e sempre smentita dalla Casa Reale, ma ha pesato molto sulla popolarità di Carlo e Camilla, rimasti per decenni una coppia malvista dall’opinione pubblica mondiale.

Con queste premesse era lecito aspettarsi che il legittimo erede di Elisabetta preferisse lasciare la corona a una figura meno controversa, in modo da non intaccare la credibilità di un’istituzione che ormai è sempre più puramente simbolica. Infatti, per quanto sia sicuramente vero che il monarca inglese possiede nel Regno Unito e su tutti i regni del Commonwealth il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, i tre poteri sono stati assunti da organi politici democratici, corrodendo i campi d’azione decisionale della Corona.

I regni del Commonwealth

Subito dopo la dipartita dell’anziana sovrana, diversi regni del Commonwealth hanno alzato la voce sulla loro volontà di abbandonare la Corona inglese. Forse per la necessità di allontanarsi da un’istituzione ormai considerata da molti anacronistica, forse per affermare la loro completa indipendenza, forse per chiudere finalmente il capitolo dell’imperialismo britannico, le isole di Antigua e Barbuda hanno già annunciato di volersi distaccare dal Commonwealth, previa la consultazione della popolazione tramite un referendum. Nello stesso modo anche le Barbados e la Giamaica hanno fatto presente la loro intenzione di imitare Antigua e Barbuda.

Ma che cos’è esattamente il Commonwealth? Si tratta di un’organizzazione che comprende cinquantasei Stati indipendenti, nata formalmente nel 1926 allo scopo di non dissolvere completamente il rapporto tra la Gran Bretagna e i suoi territori coloniali. La partecipazione al Commonwealth (ossia bene comune) è del tutto volontaria. Negli ultimi decenni l’istituzione si è trasformata in una rete di rapporti economici simile all’Unione Europea, in cui i Paesi membri possiedono delle facilitazioni per quanto riguarda il passaggio e lo scambio di merci.

Il progetto di Boris Johnson

Quando nel 2020 l’UK è ufficialmente uscito dall’Unione Europea, l’attenzione economica delle sedi del potere inglese si era rivolta verso il Commonwealth. Boris Johnson, autore indiscusso della Brexit, sperava di rendere l’Inghilterra il perno di un nuovo assetto economico tra Stati alleati, costruendo la definitiva indipendenza inglese da Bruxelles. L’economia del Commonwealth sembrava infatti promettente, dal momento che negli ultimi 40 anni ha registrato una crescita del 2.6% in più rispetto all’Eurozona.

Non è avventato dire che il progetto di Bo-Jo pare essere andato a rotoli: il suo governo è caduto a luglio di quest’anno e i regni del Commonwealth sembrano non aver aspettato altro che la giusta occasione per poter rivendicare la loro completa indipendenza. Il fatto che questa occasione sia stata costituita dalla morte della Regina e non tanto dalla caduta del Governo di Johnson, sottolinea che il senso di appartenenza alla monarchia inglese, o forse il senso di fedeltà a Elisabetta II, giocava ancora un ruolo importante nell’identità dei paesi del Commonwealth. Con il cambio di Sovrano questo deterrente sembra essere venuto meno, dando libero sfogo a un’insofferenza che probabilmente già si covava da anni.

Diversamente da quanto sperato da Boris Johnson, il Commonwealth si sta disfacendo dal suo interno, soffrendo delle spinte centrifughe dei suoi Stati membri. Infatti, solo il Primo Ministro australiano, Anthony Albanese, ha affermato senza mezzi termini l’identità monarchica parlamentare del suo Paese, tranquillizzando la Corona sulla completa disponibilità dell’Australia a continuare a far parte del Commonwealth.

Commonwealth o Unione Europea?

Tentare di sostituire la partecipazione all’UE con una più attenta considerazione delle opportunità economiche date dal Commonwealth non si è rivelata una mossa vincente. Avvisaglie del probabile fallimento di questa politica si erano già notate durante il referendum per la Brexit, quando tra i reami della Corona inglese non si erano contate voci a favore dell’uscita dell’Inghilterra dall’Europa. Anzi, Justin Trudeau, Presidente canadese, aveva commentato affermando che «non c’è alcun dubbio: si è più forti insieme. La Gran Bretagna è sempre stata una voce positiva al tavolo dei negoziati. Quindi speriamo che il voto del 23 giugno continuerà ad assicurare al Ceta il supporto necessario». Il Ceta è l’accordo commerciale tra Canada e Europa. Il messaggio, insomma, era già chiaro allora: l’Europa è un’istituzione economica imprescindibile e l’attrattiva verso l’economia Britannica dipende in gran parte dalla sua adesione a essa.

Anche Patricia Scotland, segretaria generale del Commonwealth, in un’intervista per Reuters aveva ricordato che «Commonwealth e Comunità Europea non sono in competizione, piuttosto hanno una vera e propria partnership. Per quanto mi riguarda – aveva continuato ai microfoni di Reuters – una partnership è migliore di qualsiasi separazione. Di più: non si può sostituire la Ue con il Commonwealth, piuttosto si dovrebbero integrare».

Tra una corona che perde appeal e un vantaggio economico sempre meno consistente, il Commonwealth è giunto alla resa dei conti: si tratterà di un’istituzione capace di rinascere dalle proprie ceneri o, come pare più probabile, di un accordo giunto al suo disfacimento?

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