Sanzioni alla Russia: mossa vincente o suicidio economico?

Lo scoppio del conflitto russo-ucraino ha messo l’Europa nelle condizioni di dover prendere una posizione. E la posizione che è stata presa, unanime, compatta, non negoziabile, è stata a difesa del popolo ucraino. Le modalità con cui i vari paesi dovrebbero esprimere la loro vicinanza al Paese occupato sono tutt’ora argomento di dibattito. Basti vedere quanto il tema dell’invio di armi all’Ucraina sia stato un punto scottante e divisivo delle nostre elezioni politiche.

Non tutti sono d’accordo con il mantenimento dell’esportazione di materiale bellico a Kiev, che secondo alcuni non farebbe altro che alimentare la guerra, rendendoci partecipi e complici della violenza che si sta svolgendo alle porte d’Europa. Tutti invece, con scarsissimi casi di ambiguità, hanno chiesto e continuano a chiedere che la Russia di Vladimir Putin sia sanzionata, economicamente e diplomaticamente. L’obiettivo di queste misure è ovviamente quello di isolare Mosca dal resto del mondo, causandone un tale sfinimento a livello economico e sociale da impedire al governo di portare avanti lo sforzo bellico. Dopo mesi di conflitto, è ora di tirare le somme rispetto allo strumento delle sanzioni, passandolo al vaglio della realtà dei fatti. L’accanimento internazionale contro Vladimir Putin ha funzionato?

Quali sanzioni

Le sanzioni contro Mosca potrebbero essere divise in tre gruppi: economiche, diplomatiche, culturali. Gli stati europei e non solo hanno posto severe restrizioni verso l’economia russa, in particolare nell’ambito della finanza, del commercio, della difesa, dell’energia e degli investimenti. Alcune di queste misure erano già state adottate nel 2014, ribadite nel 2015 in virtù della mancata ottemperanza della Russia agli accordi di Minsk e infine esacerbate con l’inizio della guerra in Ucraina.

È stato inoltre vietato l’accesso nei Paesi europei ad alcuni dei più importanti esponenti della politica russa, tra cui il Presidente Vladimir Putin e il Ministro degli Esteri Lavrov. Diversi cittadini russi si sono anche visti sottrarre il diritto alla cessione per via preferenziale dei pass per entrare in Europa, misura con la quale si è tentato di raggiungere un isolamento diplomatico che rendesse chiaro tutto il peso della presa di posizione europea.

Infine, la Russia è stata coinvolta in una sorta di demonizzazione culturale. Per volontà indipendente di singole organizzazioni, i partecipanti russi sono stati esclusi da importanti eventi sportivi, da meeting internazionali e da iniziative di ogni tipo. A tal proposito, aveva fatto molto discutere la proposta dell’Università degli Studi di Milano di sospendere un corso sulla letteratura russa incentrato su Dostoevskij. Questo tipo di misure sono state le più contestate dall’opinione pubblica occidentale, interrogatasi su quanto fosse lecito prendersela con cittadini che non fossero partecipi alle decisioni politiche del proprio leader.

Focus sulle sanzioni economiche: come sta andando?

L’Europa dunque ha giocato le sue carte. Si pensava che misure come il divieto dell’importazione di gas dalla Russia, l’esclusione di alcune banche russe dal circuito mondale SWIFT, il divieto di finanziamenti o investimenti pubblici e le altre pesanti sanzioni sarebbero state una condanna a morte per l’economia russa, già traballante da decenni. Dopo nove mesi dall’inizio di tali misure è l’ora di fare due conti. E se la matematica non è un’opinione, i conti che sono stati fatti deludono alquanto le aspettative.

Nell’aprile 2022 la Banca Mondiale ha pubblicato un report all’interno del quale si stimava che l’economia russa sarebbe precipitata di undici punti percentuali grazie all’applicazione delle sanzioni europee. L’export di Mosca avrebbe subito una decrescita del 30.9% mentre le importazioni avrebbero registrato un crollo del 35.2%. Fin qui tutto rose e fiori (si fa per dire, naturalmente), ma le statistiche non sono sempre affidabili come si vorrebbe. A luglio sono arrivati gli aggiornamenti del World Economic Outlook, che ha evidenziato un andamento dell’economia di Mosca, seppur sempre negativo, decisamente meno in difficoltà di quanto prospettato dalla Banca Mondiale: regressione di appena sei punti percentuali rispetto agli undici previsti ad aprile. Anche l’«Economist» ha messo in luce quanto l’economia Russa non sia in caduta libera come si sperava e che anche l’inflazione, stimata inizialmente al 22%, starebbe tornando sotto controllo.

L’economia occidentale

Come era previsto, le sanzioni verso la Russia non potevano lasciare indisturbati i mercati europei. I costi di energia e grano, la prima legata all’importazione di idrocarburi dalla Russia, il secondo prodotto largamente in Ucraina, sono schizzati alle stelle, con un aumento del 600% in pochi mesi. Non solo. Le principali banche centrali stanno registrando grosse difficoltà, costrette ad aumentare i tassi per cercare di porre un freno all’inflazione. Il quadro che emerge sembra essere in generale abbastanza drammatico, con l’economia europea rimasta decisamente scossa dagli effetti delle sanzioni.

Ad agosto l’inflazione nell’Eurozona ha toccato il record negativo del 9,1%, confermando un trend che preoccupa non poco i mercati. È infatti il nono mese consecutivo che si registra un rincaro dei prezzi nell’area Euro.

In questo quadro allarmante, l’Italia si inserisce a pieno titolo.
Da qualche settimana i quotidiani gridano dalle loro prime pagine la gravità della crescita dei costi energetici e paventano l’inizio di una drammatica recessione. I rischi sono concreti: l’aumento dei costi della benzina prima e dell’energia poi hanno influito negativamente sulle possibilità economiche delle famiglie, con conseguenze nel settore dei beni e dei servizi. Allo stesso tempo, anche la produzione industriale è caduta in crisi nei mesi di maggio e giugno, registrando solo una pallida ripresa a luglio (+0,4%). Tutte queste dinamiche influiscono negativamente sul PIL, che a settembre è infatti sceso di 1,4 punti percentuali rispetto ad agosto.

La Russia recede, l’Europa pure. I dati confermano che le sanzioni non sono state un bagno rigenerante per l’economia di Mosca, ma al contempo non hanno raggiunto gli obiettivi sperati e hanno danneggiato, come un’arma a doppio taglio, i mercati dei Paesi europei. Anche l’America di Joe Biden è rimasta coinvolta in un’obbligata ridefinizione dei rapporti economici internazionali, tanto che la FED, banca centrale americana, ha registrato una flessione dei tassi di interesse del +0,75%.

La resa dei conti

Davanti a questo quadro alcuni si sono chiesti se le sanzioni economiche alla Russia fossero l’unica alternativa per dimostrare il proprio sostegno all’Ucraina. La voce più diretta in questo senso è stata sicuramente quella di Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, che su Telegram ha scritto: «Roberto Cingolani ha presentato il suo piano per ridurre la dipendenza dell’economia italiana dagli idrocarburi russi. È chiaro che questo piano viene imposto a Roma da Bruxelles, che a sua volta agisce su ordine di Washington, ma alla fine saranno gli italiani a soffrirne».

Non si può evitare di notare che la voce autrice di questo commento sia quella di una funzionaria russa, ovviamente di parte e interessata a sottolineare le criticità economiche dei Paesi nemici. D’altra parte, osservando le bollette di gas e luce che si alzano sempre di più, è impossibile non notare che l’Italia sia in evidente difficoltà.
Una posizione simile a quella di Zakharova è stata presa anche dal Presidente turco Erdogan, per il quale l’Europa sta ora «raccogliendo ciò che ha seminato» sanzionando così pesantemente la Russia.

Eppure, una posizione andava presa. È evidente che i principi di pace e solidarietà tra Stati che animano lo statuto dell’UE abbiano giocato un ruolo fondamentale nella definizione dello schieramento europeo in favore dell’Ucraina, ma non si tratta solo di questo. Il rischio di apparire troppo pallidi nella condanna dell’iniziativa bellica di Mosca poteva tradursi in un pericolo per i confini orientali europei, nonché nel rischio di compromettere i rapporti interni alla Nato, con rivolgimenti negativi sul piano economico e della diplomazia internazionale. Stretta in una simile morsa, costretta a scegliere l’alleato più potente invece di essere essa stessa l’ago della bilancia, l’Europa non può che riflettere sulla sua posizione e sul suo peso politico in uno scacchiere internazionale che sempre di più sposta il suo focus al di là dei confini dell’Eurozona.

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