Naufragio

Il giorno in cui ci siamo lasciati una nave è naufragata.

In origine le navi erano due. Solcavano le onde una a fianco all’altra, osservavano la stessa luna di notte e si nutrivano della medesima brezza pungente di giorno. I timonieri delle due navi guardavano insieme verso l’orizzonte, ed entrambi dietro di esso vi scorgevano possibilità infinite. La potenza del sublime agitava ogni singola molecola delle loro membra e lo sconvolgimento che ne conseguiva era linfa vitale per quei corpi in costante movimento. Fuoco, entusiasmo e vita erano ciò che gli occhi del primo timoniere cercavano al di là del mare. Fuoco, entusiasmo e vita erano tutto ciò per cui pulsavano le arterie del secondo timoniere.

Le navi solcavano il mare insieme, ma capitava spesso che le onde le facessero scontrare. Nelle notti più turbolente le collisioni erano così violente da far presto incamerare acqua alle imbarcazioni. Quando le stive avevano cominciato ad allagarsi, le navi continuavano a galleggiare. I timonieri sapevano che il peso sarebbe presto diventato insostenibile, che a breve l’acqua in eccesso le avrebbe trascinate giù, ma la vista da fuori era così splendida che rinunciarvi sarebbe stato impossibile.

Un giorno, però, una corrente sconosciuta ha allontanato una delle due navi dal tragitto percorso fino a quel momento. L’ha trascinata in un luogo mai visto prima, un luogo in cui non esistevano tempeste e nessuna collisione aveva mai danneggiato componenti essenziali dell’imbarcazione. Un luogo in cui non c’era spazio per l’altra nave.

Una ritrovata leggerezza era perdurata fino a quando le due navi non si erano incrociate nuovamente. Qualcosa però era cambiato. L’orizzonte a cui i timonieri guardavano non era più lo stesso, ma solo uno dei due ne era consapevole. L’uno, reduce di quella traversata seducente, aveva maturato l’elitaria convinzione che la nuova rotta intrapresa non fosse all’altezza di ogni viaggiatore. L’altro, la cui imbarcazione non aveva mai smesso di incamerare acqua, vedeva ancora davanti a sé migliaia di chilometri da percorrere fianco a fianco. Nonostante le collisioni, nonostante gli scompartimenti allagati.

Ma a volte la forza di volontà non è sufficiente ad annullare quella di gravità.

Quando la stiva, la carena e la prua delle due imbarcazioni erano completamente sommerse, qualcosa nella seconda nave ha distrutto quel precario equilibrio. Un’entità esterna, forse una creatura marina o un’onda più violenta delle altre, si è scagliata sul fianco dell’imbarcazione e l’ha trascinata a fondo. Nessuna opposizione, nessuna manovra estrema da parte del timoniere per evitarlo.

A galla rimanevano soltanto una nave e l’inesorabile vuoto che un naufragio improvviso e troppo repentino lascia dietro di sé. Il timoniere superstite era disorientato. E sfinito. Il peso della nave era divenuto intollerabile e gli sforzi per poterlo contrastare ormai vani.

Nessuno ha più avvistato tra le acque quella nave sopravvissuta. Probabilmente la sua carcassa vaga ancora tra le onde di un mare un tempo in subbuglio e ora immobile, inesorabilmente trasportata dal tempo e dall’inerzia. Il timoniere, forse ancora vivo, nell’orizzonte non scorge più nulla.

Ma il mare non è infinito. Prima o poi la mano di quel timoniere superstite toccherà una nuova terra. E magari reimparerà a navigare con una sola nave.

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