Wölfli

Adolf Wölfli e la schizofrenia nell’arte

Adolf Wölfli, artista quasi sconosciuto, è stato uno dei maggiori esponenti della cosiddetta Art Brut. Parliamo in quest’occasione della sua vita e della sua opera.

Adolf Wölfli: cenni biografici

Nato nel 1864 in Svizzera, precisamente a Bowil, Adolf Wölfli è costretto fin da subito a scontrarsi con una realtà particolarmente complessa. Sua madre lavorava come lavandaia, mentre suo padre era un intagliatore di pietre con gravi problemi di alcolismo. Oltre alla dipendenza, il padre del giovane Adolf aveva anche ingenti debiti per i quali finisce diverse volte in carcere e in seguito abbandona la sua famiglia, lasciando così sua moglie e i loro sette figli.

Le già precarie e misere condizioni della famiglia peggiorano quindi in breve tempo; i bambini sono costretti a separarsi dalla casa natale e a lavorare presso alcuni contadini. All’età di dieci anni Wölfli perde anche sua madre ma continua a guadagnarsi da vivere facendo il bracciante, nonostante i soprusi e i maltrattamenti che gli vengono inflitti.

I primi segni di disagio e malattia mentale li ritroviamo nel 1890, quando Adolf viene condannato a due anni di carcere per tentato stupro di una bambina. Dopo essere uscito di prigione, tenta di inserirsi di nuovo in società ma, proprio come suo padre, sviluppa una dipendenza da alcol, contrae la sifilide e viene nuovamente arrestato nel 1895 ancora per un tentativo di stupro.

Condotto in una clinica psichiatrica a Waldau, vicino Berna, gli viene diagnosticata una schizofrenia psicotica acuta, con intense crisi allucinatorie; diagnosi che porterà i medici a decretare l’internamento di Wölfli. Adolf trascorre tutta la sua vita all’interno del manicomio di Waldau, fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1930 a causa di un tumore allo stomaco.

L’opera artistica

Nei trentacinque anni trascorsi nel manicomio, Adolf Wölfli realizza opere letterarie, musicali e numerosi disegni, molti dei quali sono andati persi e distrutti.

Le opere non sono mai state divulgate, ma nel 1945, durante un viaggio in Svizzera, l’artista francese Jean Debuffet entra in contatto con le realizzazioni di Wölfli e conierà l’espressione Art Brut. Si tratta di una particolare corrente artistica dove i presupposti e le basi dell’arte occidentale sono distrutti e annullati. A praticare un’arte simile sono quei personaggi che non hanno una percezione e un’esigenza sensoriale ed espressiva che rientra nei canoni, come gli uomini di poca cultura, i malati mentali o i bambini.

Le prime opere giunte a noi di Adolf Wölfli sono del 1904; ma tre anni dopo, grazie anche all’arrivo in clinica del dottor Morgenthaler, l’attività creativa dell’uomo sarà sempre più fiorente. Wölfli raffigura il proprio mondo interiore, consapevole, però, della realtà in cui si trova, ossia un istituto psichiatrico. La sua opera si caratterizza per la ripetitività delle forme; il pittore utilizza in particolare motivi ornamentali, simboli, parole, numeri e note musicali.

I suoi disegni sono spesso stati paragonati a dei tappeti persiani del momento che tutti gli elementi rappresentati sono sempre incorniciati in una specie di recinto.

La sua opera si contraddistingue anche per il rapporto che ha con la scrittura: delle volte i suoi disegni sono illustrazioni di testi, mentre in diverse occasioni le parole sono didascalie dell’immagine. Il suo procedimento formale può essere definito infantile per l’assenza della prospettiva e per il linguaggio che racconta un modo delirante e immaginario.

Adolf Wölfli  e il dottor Morgenthaler

Come è stato già accennato, il dottor Morgenthaler ha avuto un ruolo primario per l’attività artistica di Adolf Wölfli. Il medico, studioso della creatività psicopatologica, infonde fiducia al paziente e gli fornisce i materiali necessari affinché possa esprimere al meglio il suo potenziale creativo. Morgenthaler capisce che per Wölfli l’arte è una necessita psichica e fisica, con la quale riesce a far emergere la propria interiorità.

Con il passare del tempo il pittore giunge a un vero e proprio stile personale, caratterizzato dalla singola ripetitività dell’immagine. Infatti in molte opere si nota come Wölfli abbia inserito gli stessi elementi e motivi descrittivi, a intervalli regolari; realizzando così particolari effetti decorativi, simili ai mandala dei monaci tibetani.

Il dottor Morgenthaler documenta l’attività artistica di Wölfli. Nel 1921 esce il volume Ein Geisteskranker als Künstler, dove per la prima volta in assoluto l’opera di un malato psichiatrico viene riconosciuta come forma d’arte. Lo psichiatra realizza questo saggio partendo da un quesito: cos’è l’arte di Wölfli? Espressione della sua malattia psichica o un linguaggio in grado di conferire ordine al suo caos mentale? Dallo scritto possiamo apprendere che Adolf viveva la sua arte come una missione, un qualcosa da compiere che richiedeva una grande concentrazione. Ed è per questo motivo che il pittore ha richiesto l’isolamento; solo la totale solitudine gli consentiva la capacità di ascoltare il suo delirio interiore.

Il potere dell’arte e l’influenza di Wölfli

La creatività di Wölfli è stato un pretesto per studiare il ruolo che ha l’arte nei pazienti psichiatrici. Le cartelle cliniche di Adolf registrano le sue numerosi crisi avute quando rimaneva senza materiale, durante le quali aveva un atteggiamento aggressivo o era in preda ad allucinazioni, sia visive che uditive.

L’opera di Wölfli ha avuto una grande influenza sugli artisti delle epoche successive. Esponenti del calibro di Jackson Pollock o Jean Michel Basquiat hanno risentito ampiamente dell’opera di Adolf Wölfli. Come è facile immaginare, la vicenda di Wölfli ha suscitato interesse anche nello psichiatra Sigmund Freud e ammirazione negli esponenti dell’Avanguardia surrealista. Andrè Breton, scrittore del Manifesto del Surrealismo del 1924 sostiene che Wölfli è un esempio di automatismo psichico, tema centrale dell’Avanguardia surrealista.


 

 

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