La plastica novecentesca di Francesco Messina

Quello che cerca soprattutto Francesco Messina nella sua scultura è di raggiungere la bellezza dell’aspetto plastico con le forme giuste e finite; la finezza del modellato, il carattere risultante dall’osservazione acuta e dalla lunga elaborazione; il tutto unito ad eleganza e buon gusto; questi due fattori sono indispensabili ad ogni vero artista.

Giorgio De Chirico, 1938

Vita, i primi anni

Francesco Messina nasce a Linguaglossa, alle pendici dell’Etna, nel 1900. La sua famiglia, come molte all’epoca, era povera; e pertanto, nel 1901, si trasferisce a Genova con l’obiettivo di raggiungere l’America. Tuttavia, considerata la loro condizione economica, Messina resterà a Genova, dove frequenterà la scuola. Nel 1909 viene avviato alla lavorazione del marmo nelle botteghe Ricci e Callegari dove esplora le capacità manuali e creative che caratterizzeranno tutta la sua carriera. Nel corso degli anni Dieci, Messina estende i suoi studi artistici, sia dal punto di vista formale che materico. Infatti, accanto allo studio del disegno e della statuaria antica, esegue lavori in gesso e i primi esperimenti in bronzo. Nel 1915 Messina tiene la sua prima collettiva al Ristorante Olimpia di Genova, mentre nel 1916 è presente alla mostra annuale della Società Promotrice delle Belle Arti di Genova, dove esporrà quasi ininterrottamente fino al 1932.

Negli anni Venti inizia la vera attività, che sarà ricca sia di opere che di successi. Messina vanta le prime partecipazioni alla Biennale di Napoli, di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Una attività espositiva che lo vedrà protagonista anche nei due decenni successivi e che è valorizzata dalla partecipazione alla mostra del Novecento Italiano nel 1926. Tre anni più tardi avviene la sua prima importante personale presentata da Carlo Carrà, il quale riconosce il grande valore che esiste nelle sue opere:

Nulla di convenzionale e di materialistico appare nelle raffigurazioni di Francesco Messina. E’ ciò accade perché la scultura – alla guisa di tutte le manifestazioni estetiche – è un’operazione magica. Pensiero, sogno, fantasia, volontà e intuizione si collegano in questi bronzi con armonia di forme e di espressione.

Vita, il successo mondiale

La mostra curata da Carlo Carrà, inevitabilmente, lancia Messina nel mondo dell’arte mondiale. Nel 1929 partecipa all’Esposizione Internazionale di Barcellona, mentre la Galleria d’Arte Moderna di Torino acquista il Pugilatore, il Kunsthistorische Museum di Vienna il Ritratto del pittore Piero Marussig e la Galleria d’Arte Moderna di Roma il Ritratto di un poeta. Nel 1931 viene nominato accademico di merito all’Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova e nel 1932 si trasferisce a Milano. Qui, nel 1936, ottiene la cattedra all’Accademia di Brera, che manterrà fino al 1944, mentre, nel 1943 è nominato Accademico di Italia. La guerra scorre e la sua materia si evolve. I rapporti con Carrà e soprattutto Martini si fanno più solidi, tanto che ottiene mostre sia in Italia che in America. Gli anni Quaranta e Cinquanta sono anni molto impegnativi per lo scultore etneo, il quale si spartisce tra opere sacre e profane.

Numerose sono le commissioni per privati laici e cattolici, i quali cercano Messina per avere le sue opere scultoree da collocare negli spazi pubblici. Come ad esempio accade nel 1964, con il grande cavallo morente della RAI di Viale Mazzini a Roma; oppure per le opere della Galleria Vaticana realizzate tra il 1973 e il 1974. Per volere di Paolo VI, Messina esegue nella sala Borgia venti opere a carattere sacro, simili ai gruppi scultorei realizzati alla fine degli anni Sessanta a Milano per Pio XI. Le sue opere abitano nei luoghi sacri di tutta Italia così come negli spazi urbani con naturalezza e stupore, cifra stilistica di Messina. Una scultura moderna e umanista, che vede la sua fine nel 1995, quando Messina si spegne a Milano, ottenendo il Premio alla Cultura dalla Presidenza della Repubblica.

La mostra a Villa Torlonia

Veduta della prima sala.

Francesco Messina. Novecento contemporaneo, fino al 4 settembre, propone le sue opere in dialogo con la contemporaneità. La mostra ha l’obiettivo di presentare una carriera che si è sviluppata durante tutto il Novecento, influenzata dai più grandi artisti come dagli scrittori. Montale ad esempio, ma soprattutto Giacomo Manzù, Arturo Martini e Marino Marini, i quali sono considerati i maggiori esponenti della scultura figurativa italiana.

Francesco Messina si colloca in questo olimpo e le sculture in mostra sono l’esempio esaustivo della sua grande attività. La mostra ricostruisce una personalità dinamica che ha saputo sviluppare un nuovo approccio alla tradizione, di volta in volta rielaborata e adeguata al linguaggio del proprio tempo e che ha dimostrato, nella sua produzione, di anticipare i temi e i tempi della ricerca figurativa e scultorea. Un artista che ha visto all’antico, i bronzi di età romana come Michelangelo, ma anche al contemporaneo. Ed è per questo che nelle sale del Casino dei Principi di Villa Torlonia trovano collocazione:

81 opere (soprattutto bronzi, terrecotte e gessi) che appartengono alla collezione permanente dello Studio Museo Francesco Messina e opere di quindici artisti contemporanei (cyop&kaf, Vanni Cuoghi, Salvatore Cuschera, Giovanna Giachetti, Alberto Gianfreda, Andi Kacziba, Giulia Manfredi, Francesco Merletti, Daniele Nitti Sotres, Francesca Piovesan, Nada Pivetta, Dominique Robin, Daniele Salvalai, Elisabeth Scherfigg, Andreas Senoner), che si confrontano con le sculture di Francesco Messina e che illustrano, per tappe significative, la linea programmatica e l’attività di valorizzazione condotte dallo Studio Museo negli ultimi anni.

Un percorso che si snoda tra l’ieri e il futuro tenendo sempre ben presenti i legami e le ricerche artistiche di Messina. L’archeologia e la contemporaneità sono indagate secondo il colore e il movimento anatomico dei figure e degli animali che Messina realizza, arricchendo il tutto con due video-interviste del 1973 che mostrano Francesco Messina all’interno del suo Studio Museo.

Le sculture di piccole dimensioni

Francesco Messina, Nuotatore, 1932, bronzo.

Negli anni Venti, Messina si confronta con la scultura di piccole dimensioni. Una scelta che ha due motivi: uno commerciale e l’altro storico-artistico. Se il primo risponde a necessità economiche e produttive, il secondo pone Messina in dialogo con la storia dell’arte. Il riscatto del bronzetto e della terracotta, la cui esecuzione è magistrale, porta Messina a dialogare con i manufatti di età romana. La figura del pugilatore piuttosto che il bambino con gli utensili da caccia, sono risultati figurativi che escludono però una connotazione strettamente archeologica. Infatti, Messina inserisce dettagli contemporanei come i guantoni da boxe o le scarpe.

L’attenzione ritorna anche nel dopoguerra, come dimostrano le sculture Alice, Narciso e Davide. Eleganti e raffinate, le sculture sembrano appartenere ad un repertorio rinascimentale, che troverebbero una collocazione all’interno di uno studiolo senza sfigurare. Sono sculture dalla fattura quasi impressionista, che Messina ha potuto conoscere a Parigi e che si ritrova anche nel Nuotatore del 1932.

Tuttavia, Messina predilige la realizzazione di vibranti figure danzanti femminili. Il paragone, d’obbligo, è con le ballerine di Edgar Degas, anche se, tuttavia, Messina se ne discosta per umanità e movimento. Le donne di Messina sono connotate da una forte presenza scenica e intima, dove il movimento, di tradizione futurista, descrive la loro anima. Gambe e braccia in equilibrio, bacino in tensione e sguardo profondo sono i loro segni distintivi, che distaccano Messina dalla fissità ottocentesca per lanciarlo nella voluttuosità della prima metà del Novecento.

La scultura monumentale

Negli anni Sessanta Messina è impegnato nella realizzazione di sculture dalle grandi dimensioni. Il decennio inizia con il concorso per il Monumento a Pio XII da collocare nella cappella di San Sebastiano in San Pietro a Roma. Dopo vari tentennamenti (Messina stava lavorando al Monumento di Santa Caterina per Castel Sant’Angelo) è direttamente il papa che nel 1962 gli affida l’incarico. Messina realizza un ritratto molto somigliante al vero e in grado di restituire il carattere volitivo di Pio XII, senza escludere i suoi tipici e moderni occhiali da vista.

Il monumento lo porta alla ribalta nazionale. Nel 1964 il vicedirettore RAI Marcello Bernardi incarica l’artista di realizzare un cavallo in bronzo da inserire nel giardino della sede di Viale Mazzini. Messina, per l’occasione, elabora uno dei cavalli in miniatura esposti, modellato nel 1958 probabilmente per un monumento a Simon Bolivar, mai realizzato. Il tema dei cavalli era stato già affrontato da Messina negli anni Trenta, quando lavora alla statua del Regisole di Pavia e una quadriga in bronzo per l’E42.

Tuttavia, negli anni Cinquanta Messina va oltre il modello classico del Marco Aurelio capitolino. Infatti, Messina guarda alla monumentalità di Marini per utilizzare l’animale come simbolo del dramma storico ed emotivo-esistenziale dell’essere umano. Da questo concetto nasce la serie dei cavalli in movimento, le cui pose sono molto espressive e tendenti alla innaturalezza. Una attenzione poi ai dettagli anatomici dell’animale, porta la manualità dei Messina tra le più puntuali ed apprezzate del Novecento.

Francesco Messina e il rapporto con l’antico

Ho affondato le radici nello studio degli antichi, ho sezionato cadaveri di uomini e animali per impadronirmi della grammatica e delle forme. Ho disegnato migliaia di nudi per scoprire i movimenti che determinano l’architettura plastica di una statua e che sognavo mi portassero a quella musica formale che non m’illudo di aver mai raggiunto. 

Francesco Messina, Poveri Giorni, 1974

Messina è un artista colto, interessato sia all’essenza del movimento che alla sua resa plastica ed estetica. La scultura antica viene plasmata da Messina come un magma storico che assume le forme del contemporaneo. La danza come la lotta non vengono rappresentare bensì presentate nella loro essenza concettuale. L’antico a cui guarda Messina è sia quello di età romana, che quello rinascimentale con Michelangelo capofila. E proprio dell’artista toscano, Messina conservava nel suo studio il calco in gesso della Pietà Rondanini, il testamento di Michelangelo, donato nel 1999 ai Musei Vaticani.

Michelangelo è una delle massime fonti di ispirazione. Un’opera tanto cara all’artista per la sua aura di capolavoro e di testamento lasciato ai postumi, artisti e non. Il calco è stato in compagnia delle opere di Messina per più di mezzo secolo, guidando l’artista nell’esplorazione monumentale delle sue opere. Un’artista contemporaneo sia del suo tempo che della storia, figlio di un secolo, il Novecento, che ha visto l’esplosione delle ricerche archeologiche. Ed ecco che la sua produzione, minuta e monumentale, si colloca su questo doppio binario della storia, che vede conservazione e produzione dialogare costantemente. Una ricerca artistica completa che inserisce la “matericità” plastica alla ricerca spirituale di figure fissate eternamente nel bronzo. Come nell’antica Roma, ma senza fini propagandistici, politici e apotropaici.

 


Fonti

Alessandro del Puppo, L’arte contemporanea. Il secondo Novecento, Einaudi, Milano 2013.

Federica Rovati, L’arte del primo Novecento, Einaudi, Milano 2015.

fondazionemessina.it

museivillatorlonia.it

 

Credits

Tutte le immagini sono a cura del redattore.

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