La Roma ideale di Antonio Finelli

L’aria di Roma

Niente può consolare la vita come la bellezza

Dal 10 luglio al 7 agosto 2022 Palazzo Merulana espone i dipinti di Antonio Finelli. La Fondazione Elena e Claudio Cerasi torna ad organizzare una mostra che ha come soggetto Roma, pensata per rafforzare ulteriormente il rapporto con i propri cittadini. Palazzo Merulana è nato per volere della stessa famiglia Cerasi, la quale ha recuperato il vecchio Ufficio di Igiene per offrire alla comunità la loro ricca collezione. Se il piano terra accoglie il visitatore con una caffetteria, un bookshop e le le sculture di Ceroli, Fazzini e Drey; è nel primo piano che si entra nel vivo della collezione della famiglia.

Da De Chirico a Balla, passando per il tonalismo romano di Capogrossi e Donghi, fino al realismo magico di Scipione e Mengs. Una collezione che si direbbe romana e che spinge Palazzo Merulana a relazionarsi con la contemporanea pittura e con gli artisti che lavorano partendo dalla città di Roma. Proprio qui risiede l’incontro tra Palazzo Merulana, Antonio Finelli e Medina Art Gallery, la quale ha collaborato nella organizzazione della mostra.

Con più di trenta opere, l’ultimo piano del palazzo ospita la idealizzazione del rione Esquilino, che Finelli dipinge con semplicità ed eleganza. Il rione storico nei suoi pennelli assume un’aura calma e quieta, una rarità per la città di Roma. Una mostra quindi che rappresenta sia la crescita artistica della città che una crescita gestionale, in quanto vede due istituzioni private dialogare tra di loro. L’incontro tra il museo, notoriamente come luogo conservativo, e la galleria che è un luogo produttivo, è il plus di questa mostra. Due luoghi in crescita che ben rispecchiano la vivacità artistica romana e internazionale.

Chi è Antonio Finelli

Antonio Finelli, Palazzo Merulana, olio su tela, cm 53 x 40.

Antonio Finelli nasce a Roma, dove si laurea in filosofia e si diploma in pittura presso la Scuola Comunale d’arte San Giacomo. Finelli è sempre rimasto legato a Roma e al suo rione, l’Esquilino, dove è nato e dove tutt’ora risiede. La sua pittura lo porta presto ad esporre sia in Italia che, soprattutto, in Germania. Sia nel 2004 che l’anno successivo, Finelli espone a Berlino, così come nel febbraio del 2009, presso l’Istituto Italiano di Cultura a Berlino. Nel 2011, dopo alcune mostre in Italia, torna nella capitale tedesca; mentre nel 2012 sbarca in Marocco. Qui Finelli evolve le sue ricerche, in quanto al tonalismo rigoroso aggiunge la luce del Nord Africa che, prima di lui, aveva ad esempio colpito Ingres e Klee. Infatti, nella galleria “Re” di Marrakech, Finelli espone i lavori realizzati durante i suoi diversi soggiorni in Marocco, posti in dialogo con i dipinti nati a Roma.

Nel 2013 Berlino e Marocco si incontrano nell’Ambasciata marocchina della città; mentre a novembre partecipa alla mostra collettiva 3 Tage Kunst alla Kommunale Galerie di Berlino. Il rientro ufficiale e stabile, per quanto riguarda la scelta di sedi espositive, lo si deve alla galleria Medina di Roma. Qui Finelli, nel 2019, ritrova la sua Roma, il suo rione e soprattutto i luoghi che egli dipinge. Esordisce con la mostra La luce di Roma a maggio, per esporre una seconda volta a ottobre del 2020, dove si indaga il rapporto tonale e coloristico tra Roma e Marocco. Il percorso di Finelli, come si può leggere, è stato in costante crescita negli ultimi venti anni; con una pittura calma e ragionata che gli ha concesso il successo soprattutto in Europa. Ma Finelli è adesso riconosciuto anche in patria, l’Esquilino, dove oggi una istituzione come Palazzo Merulana, ospita una sua personale.

Le opere in mostra, ricordi da Via Merulana

Antonio Finelli, Via Merulana, olio su tela, cm 47 x 47.

Nella sala espositiva è possibile camminare con la vista in tutto il rione, cogliendo immagini quiete e risolute. Una immagine questa che rispecchia la realtà, in quanto il primo momento ideativo Finelli lo esegue mentre gira in sella alla sua bici. Una passeggiata intellettuale, alle prime luci dell’alba, che gli permettono di cogliere il momento in cui la città dorme ma si sta per svegliare. Una sensazione di risveglio che Finelli riesce a filtrare a seconda della luce stagionale, restituendoci una Roma inedita, per molti, e ideale, per tanti. Se il primo punto è solo per chi vive la città in un determinato orario, il secondo è per ogni cittadino romano. Questo, infatti, strabuzzerà gli occhi vedendo il piazzale di San Giovanni sgombro dalle autovetture.

La piazza è realizzata con un taglio orizzontale, da via dell’Ambaradam, dove il traffico di solito scorre nervoso. Un piatto cielo azzurro si staglia dietro l’obelisco di Sisto V e i palazzi sabaudi, segno delle eterne lotte che Roma ha visto sul suo suolo. La costruzione del dipinto avviene in modo geometrico sia nel tratto che nel riempimento delle zone tonali. Qui la pittura romana degli anni Trenta viene in soccorso di Finelli, il quale costruisce la scena con colori caldi, come il marrone, il rosa scuro e il rosso mattone.

Scendendo verso Santa Maria Maggiore, incontriamo Palazzo Merulana. Se la basilica lateranense è colta di inverno, Palazzo Merulana invece è invaso da una calda luce estiva. Gli elementi architettonici ben equilibrati dialogano con la luce che si espande sulla loro superfice, mentre nelle vetrine della caffetteria tutto è fermo. Anche qui Finelli lavora per stasi e per sovrapposizione, realizzando un dipinto di grande qualità, dove il soggetto è il pensiero. La mente è anche lo strumento espressivo del dipinto raffiguratovi il Teatro Brancaccio. Qui Finelli svuota la facciata dai cartelloni luminosi e ci offre una immagine pura dello stabile. Il teatro diventa in questo modo un luogo della memoria, che tutti i romani utilizzano per orientarsi all’interno del rione.

Piazza Dante e Piazza Vittorio

Queste piazze sono i due luoghi preferiti da Finelli. Piazza Dante, con il suo rivalutato giardino, incorniciato da palazzi antichi, è il primo punto di ritrovo della comunità: Finelli, con la sua riconoscibile pastosità, ricostruisce l’incastro tra vicoli e palazzi in maniera impeccabile. Questi, con le loro finestre ancora chiuse, vigilano sulla comunità che si ritrova, della quale restano solo le auto parcheggiate; che a volte sono riconoscibili. A Piazza Dante non sempre arriva la luce, ed ecco allora che, per realizzare veramente una pittura di tono solida e compatta, Finelli deve spostarsi a Piazza Vittorio.

Antonio Finelli, La fontana dei giardini di Piazza Vittorio, olio su tela, cm 78 x 50.

Un luogo amato anche da André Derain, il quale negli anni Venti la considerava la più bella piazza di Roma. Circondata dalle costruzioni ottocentesche e svalutata con l’ampliamento della stazione Termini, Piazza Vittorio negli ultimi anni ha ritrovato i suoi fasti. Come i Trofei di Mario, dipinti da Finelli nella loro incompiutezza e magnificenza, che oggi svettano nei giardini della piazza. Le grandi ombre dipingono sul manto terroso la loro presenza, così come la fontana, realizzata dallo scultore Mario Rutelli nel 1910, ruba l’occhio del fruitore. Il gruppo marino, composto da un delfino, tre tritoni e un polipo, nel quadro di Finelli trovano la loro definitiva consacrazione. Infatti, questa in origine doveva ornare piazza Esedra ma, rifiutata dalla popolazione, viene trasferita nella collocazione odierna. Finelli, quindi, coglie la verticalità della costruzione cercando di restituire solidità al paesaggio.

Le figure si sviluppano in un moto centripeto riflettendosi nell’acqua, catturando la tiepida luce invernale mattutina. Lo stesso avviene per le vedute del grande giardino, dove lo stile “hopperiano” della calma apparente guida il sapiente pennello dell’artista.

Roma dall’alto della sua storia.

Da Piazza Vittorio, come è noto, è possibile prendere il tram per scendere verso il Colosseo, oppure arrivarci a piedi, dal Parco del Colle Oppio. In entrambe le occasioni Finelli offre la sua immagine ideale. Se nel primo caso realizza dipinti dove il trasporto pubblico è il soggetto, nel secondo caso al centro della sua ricerca è il ricordo di una passeggiata solitaria. Il Colosseo si apre alla vista del pedone nelle sue forme mediate da una tenue luce primaverile, dove la vegetazione incornicia il monumento. Il tutto, poi, è reso in maniera lineare e solida, come nei dipinti di Salvo, dove la città viene considerata come strumento di indagine storica e ricostruttiva.

Finelli fa lo stesso con i dipinti dei Mercati di Traiano e la Colonna Traiana. La pittura diventa più rigorosa nei dettagli e meno ricercata nella costruzione cromatica. Gli scavi sono restituiti nella loro essenza, ma sempre con l’occhio del cittadino romano, il quale li considera antenati di una Roma che non ci sarà mai. L’armonia della vegetazione e delle architetture realizzano un dipinto topografico, dove l’elemento umano è celato da colori caldi e tenui, dove il paesaggio è immaginato e non materialmente realizzato.

Infine, Finelli ci porta nei punti panoramici di Roma, per congedarci dalla sua pittura. Che sia dal Gianicolo, da Via Dandolo, dal Quirinale o dall’Altare della Patria, i tetti di Roma si mostrano ai suoi e ai nostri occhi. Un incasellamento di cupole e rettangoli che si sviluppa a perdita d’occhio sotto un piatto cielo azzurro. In questi dipinti il colore viene utilizzato in funzione idealizzata ma costruttiva, per far in modo che l’uomo resti sempre presente. Infatti, è l’uomo che abita la città e che su di essa lascia il segno. Possiamo ammirare Roma dall’alto a qualsiasi ora, ma non possiamo dimenticare che tra quei palazzi vivono delle persone che Finelli considera come elementi costruttivi del paesaggio.

Antonio Finelli e la storia dell’arte

Finelli cattura la luce del giorno tra le architetture della città, per realizzare un’atmosfera senza la presenza dell’essere umano. Un mondo immobile dove la costruzione scenica lo porta a confrontarsi con le nature morte e la meditazione tonale della Scuola Romana. La sua è una pittura intellettuale, come si evidenzia anche dal piccolo formato, che si sviluppa con la meditazione e l’osservazione del reale, il quale viene filtrato in maniera espressiva. Nelle sue opere è possibile rintracciare tutta la vivacità della Roma dei pittori del Novecento. I colori sono vivi, il soggetto è la città con le sue architetture e la sua vegetazione, il tutto per realizzare un percorso immaginario ma interpretato in maniera puntuale e topografica.

Una Roma che, scomodando la collezione Cerasi, si presenta in maniera metafisica, come una grande metafora dell’umanità dei cittadini. L’apporto della pittura di Trombadori, di Donghi, Capogrossi e Mafai è evidente, ma Finelli ha guardato anche alla pittura internazionale, Derain, Klee e Hopper in testa. La calma apparente e la solitudine dell’artista americano si ritrovano nei dipinti di Finelli, il quale le ricodifica secondo la calda luce romana, glissando sulla presenza umana, tanto cara ad Hopper.

Case, vicoli, palazzi, giardini e la loro essenza estetica non possono non far pensare a Sironi e Di Cocco. Da quest’ultimo Finelli recupera i contorni indefiniti e sfaldati dalla luce, dove il tonalismo è l’elemento costruttivo; mentre per quanto riguarda Sironi, Finelli guarda l’eleganza maestosa della città. Due figure di Roma diverse negli anni, ma che si trovano a dialogare sulla propria solitudine e sul proprio futuro. Le periferie di Sironi si ritrovano nei palazzi di Finelli interpretate con uno sguardo delicato, che gli restituisce dignità. Roma e la sua aria si mantengono nel corso dei decenni, anche e soprattutto grazie ad artisti come Finelli. Il paesaggio quindi, non come rappresentazione ma come presentazione, in linea con le ricerche artistiche della seconda metà del Novecento.

 


Fonti

Antonio Finelli, La luce di Roma, Tecnostampa editore, Roma 2019.

Antonio Finelli, L’aria di Roma, Tecnostampa editore, Roma 2022.

palazzomerulana.it

Credits

Tutte le immagini sono a cura del redattore

 

 

 

 

 

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