Tunisia: l’inizio di una nuova Primavera Araba?

La Tunisia sta vivendo un luglio particolarmente caldo dal punto di vista sociale. A causa del rincaro dei prezzi, dello spettro della crisi alimentare che aleggia nell’aria e dei cambiamenti politici, i cittadini scendono regolarmente in piazza a protestare. La proposta della nuova Costituzione, pubblicata il 30 giugno, a meno di un mese dal referendum che dovrebbe approvarla, scinde la popolazione in due. Il rischio è quello di una nuova Primavera Araba.

La nuova Costituzione

Il 30 giugno, in Tunisia, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la bozza di una nuova Costituzione. Il testo è stato reso pubblico a meno di un mese dal referendum che dovrebbe approvarla, previsto per il 25 luglio, e comporta diversi problemi.

La bozza, composta di 142 articoli divisi in dieci capitoli, non è stata frutto del lavoro di un’assemblea costituente, ma di un’istanza formata da cinque o sei esperti, scelti direttamente dal Presidente Kaïs Saïed (in carica dal 2019). In una lettera pubblica al giornale «Assabah», Sadok Belaïd, giurista capo della commissione incaricata di scrivere la nuova Costituzione, scrive di non riconoscere assolutamente il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il testo pubblicato “non è affatto simile a quello che abbiamo elaborato e presentato al Presidente”, ha dichiarato Sadok Belaïd. I giuristi della Commissione sono i primi a criticare la bozza riportata nella Gazzetta, che sembra derivare direttamente dal Presidente ed essere pronta  probabilmente già da anni.

Kaïs Saïed, Presidente della Tunisia

La bozza ha sollevato diverse critiche, soprattutto da parte dei giuristi, dei sindacati e della politica. La nuova Costituzione della Tunisia, che sostituirebbe quella del 2014, è composta da una serie di articoli che riprendono il vecchio testo e da altri nuovi. Sono soprattuto questi ultimi a essere problematici: mirano ad accrescere i poteri del Presidente, limitando al massimo il Parlamento (sospeso già a luglio 2021). La nuova Costituzione porterebbe il Paese a una forma molto più autoritaria: la Tunisia passerebbe così da una Repubblica semi-presidenziale a una presidenziale. Questo governo è esattamente il punto che il testo del 2014, frutto di un compromesso politico, cercava di evitare.

Dissenso e consenso

In Tunisia, il mese di luglio si è aperto con critiche e proteste indirizzate verso la bozza della nuova Costituzione. Accuse e minacce sono state fatte al Presidente, che nel frattempo ha aumentato i controlli e la militarizzazione della città. Nuove misure sono state prese anche contro l’opposizione politica, già esclusa dalla stesura del nuovo testo costituzionale, soprattutto contro Ennahda (partito politico islamista tunisino). Come riporta «France24», il 6 luglio sono stati congelati i conti bancari di Rached Ghannouchi, leader di Ennahda e capo del Parlamento sciolto.  Il partito islamista è stato escluso dalle elezioni legislative di dicembre.

Vincent Geisser, ricercatore all’Institut de Recherches et d’Études sur les Mondes Arabes et Musulmans (Iremam) nonchè uno dei massimi esperti di Tunisia, dice:

È chiaro che vuole un cambio di regime ed è ostile alla democrazia rappresentativa. Si va verso un cambio istituzionale, nel frattempo è in corso un processo di controllo della vita pubblica da parte dell’apparato di sicurezza. Lui dice che vuole costruire una nuova democrazia con un legame diretto con il popolo, ma conserva di fatto una centralizzazione totale dei poteri.

Davanti a questa centralizzazione, gran parte del popolo scende in piazza. È recentemente nato un movimento di critica: i Cittadini contro il Colpo di Stato. Risalgono a una manifestazione contro il referendum, svoltasi a Tunisi il 19 giugno,  le parole di Ezzeddine Hazgui, il leader del movimento che definisce le nuove misure istituzionali come una “masquerade“, una “messinscena”. Accanto ai protestanti, si schierano anche  i sostenitori di Ennahda, dell’opposizione.

Dall’altra parte si posizionano i cittadini che sostengono Saïed. Il Presidente gode ancora del sostegno di una parte della popolazione, che  rivede in lui il solo mezzo per sradicare la corruzione (ancora troppo diffusa nel Paese). Si ricorda, infatti, che Saïed era stato eletto nel 2019 dopo aver promesso in campagna elettorale di mettere in atto una serie di operazioni per contrastare la corruzione e l’accentramento delle ricchezze nelle mani di poche famiglie. Questi cittadini vedono ancora nell’autorità del Presidente l’unica soluzione alla degenerazione della Tunisia.

Il testo

I nuovi articoli della Costituzione comportano non pochi problemi. Nel suo tentativo di aumentare i poteri presidenziali, indebolendo il Parlamento, il testo chiarifica che il Presidente non può mai essere destituito. Nella Costituzione del 2014, invece, il Presidente avrebbe subito l’impeachment se avesse sciolto il parlamento per due volte. Nel testo del 2014 si leggeva che il Presidente non poteva prolungare da solo suo mandato, mentre, secondo la nuova bozza, lo può prolungare per “pericolo imminente”. Nella Costituzione ora attiva si legge che i deputati sono eletti a suffragio universale diretto, mentre nel testo di Saïed questo non è specificato.

Una parentesi a parte potrebbe essere aperta per la religione. La Costituzione del 2014 scrive infatti che l’Islam non è più la religione di Stato. L’articolo 5 della nuova bozza afferma che l’Islam non è la religione di Stato, ma aggiunge che la Tunisia fa parte della nazione islamica e che lo Stato deve lavorare per raggiungere “gli obiettivi dell’Islam puro nel preservare la vita, l’onore, il denaro, la religione e la libertà”. Per quanto riguarda i diritti fondamentali, nonostante rimangano molto vaghi, dovrebbero continuare a essere garantiti. Si parla della libertà di stampa, del diritto allo sciopero (ma non per giudici, polizia ed esercito), del diritto a manifestare.

Uno dei punti più problematici della bozza rimane il fatto che l’approvazione del testo sembra essere predeterminata: non si conoscono ancora le modalità di voto del referendum ed è quasi certo che non ci sarà un quorum.

Il secondo luglio caldo

Questo luglio caldo è il secondo consecutivo per il Paese che si affaccia sul Mediterraneo. Dopo le proteste del 2021 contro la sospensione del Parlamento, questo mese i manifestanti gridano contro la bozza della nuova Costituzione, ma non solo. Il Paese è infatti messo in ginocchio da una situazione economica difficile. L’inflazione è in aumento e ha già raggiunto le percentuali del periodo antecedente la Primavera Araba del 2010-2011. La Banca mondiale parla per il 2022 di un’inflazione media del 6,5%, pari a quella del 2021. A marzo, l’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato un comunicato che registra un rialzo dell’inflazione (7,2%) per il terzo mese consecutivo, dopo i rialzi di febbraio e  gennaio.

Il tasso di corruzione, nonostante le promesse di Saïed, è ancora alto. Nei rapporti di Transparency International, che misura il CPI (indice di Percezione della Corruzione) nei vari Paesi, la Tunisia ha un punteggio di 44 su 100. Il suo alto tasso di corruzione la porta alla posizione 70 su 180 nell’elenco dei Paesi con più corruzione al mondo. L’Italia si classifica 42esima su 180 nel ranking mondiale, con un punteggio di 56 su 100. Nel Paese aleggia la minaccia della crisi alimentare. Ad aprile, nei forni che non ricevono sussidi, si è registrato un aumento del 25% del costo del pane. Quasi la metà del grano tunisino dipende infatti dai rifornimenti ucraini che, vista la guerra, sono bloccati nei porti di Mariupol, Kherson e Odessa. A questo si aggiunge una diminuzione della già insufficiente coltivazione locale, causata dall’erosione del suolo e dalla sua salinizzazione. Sono aumentati i costi dell‘energia e, in seguito a questi, anche quelli della produzione.

Una nuova primavera araba?

Davanti a una situazione di disagio generale, molte persone sono scese in piazza a manifestare, in uno scenario che ricorda pericolosamente il 2010, quando iniziò la serie di proteste che prese il nome di Primavera Araba. È proprio in Tunisia che, il 17 dicembre 2010, Mohamed Bouazizi si diede fuoco in segno di protesta contro le condizioni economiche del suo Paese. Il suo gesto diede vita alla Rivoluzione dei Gelsomini, ossia la rivoluzione tunisina del 2010-2011, a cui seguirono movimenti in tutto il Nordafrica e il Medio Oriente. Le motivazioni che guidavano le proteste e che hanno portato anche alla caduta di molti dei vecchi regimi (come in Tunisia, Egitto, Libia) erano soprattutto economiche. I Paesi versavano infatti nella crisi a causa della disoccupazione, dei rincari alimentari e della corruzione. Questo creava condizioni di vita generalmente pessime.

Oggi in Tunisia le manifestazioni per la crisi economica che investe diametralmente il Paese si inseriscono nel fiume delle proteste nate a luglio dell’anno scorso e si uniscono alle nuove contestazioni contro il regime presidenziale che Saïed vuole istituire. In uno scenario come quello su cui si affaccia la Tunisia, si teme che i manifestanti vengano zittiti con la repressione e che questo porti a una seconda ondata di rivoluzioni, una seconda Primavera Araba.

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